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il premier in senato

Conte: "Contro il virus ancora sacrifici e rinunce"

Le regioni che chiudono, la tensione tra rigoristi e non all'interno del governo, la strategia di comunicazione, le spire dei numeri che si stringono attorno all'idea di aspettare almeno l'effetto delle misure

Marianna Rizzini

"Ancora una volta siamo costretti a compiere una sofferta operazione", dice Conte in Senato. E non sembra neanche lo stesso Conte che al mattino rassicurava e smentiva le indiscrezioni sulle ulteriori restrizioni

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“Ai cittadini dobbiamo chiedere ancora sacrifici e rinunce, ancora una volta siamo costretti a compiere una sofferta operazione”. Il premier Giuseppe Conte è in Senato, a rispondere delle misure di contenimento-virus. Non sembra lo stesso Conte del mattino, quello che smentiva con parole rassicuranti la preparazione di un ennesimo dpcm a pochi giorni dal precedente, ipotesi ventilata da alcuni giornali. E in Senato, con voce tesa, il premier dice quello che fino a ieri diceva il ministro titolare della linea rigorista Roberto Speranza, linea che Conte aveva smorzato: “Evitate gli spostamenti non necessari”. C’è “una recrudescenza in atto”, è la frase che segna il passaggio da un Conte all’altro e da una linea all’altra, anche se il confine tra le due impostazioni è ancora labile. Sempre meno, si intuisce quando il premier, pur lodando “la resilienza dell’economia”, prefigura lo scenario delle “limitazioni alla normale condotta di vita”, confidando nella “forza d’animo e determinazione del paese”, ché “non possiamo considerarci al sicuro”.  Le spire dei bollettini di contagio si stringono attorno all’idea di mantenere il tono attendista e non allarmista del mattino, mentre dall’estero giunge la voce di Angela Merkel (“state a casa”) e da Milano arrivano le parole del sindaco Beppe Sala : “Gli anziani stiano a casa, si torni al lavoro da remoto”. Per non dire del Lazio, altra regione su cui ora pende la decisione di chiudere e limitare la mobilità di notte. “I principi che muovono oggi il Governo sono sempre gli stessi, quelli che ci hanno permesso di superare la situazione nel passato: massima precauzione, adeguatezza e proporzionalità”, dice Conte, mentre Matteo Salvini attacca al grido di “Chi ti scrive i discorsi?”, evocando le “menzogne dette agli italiani”. Il presidente dei senatori di Italia Viva Davide Faraone invita a “non usare la parola coprifuoco”, ad avere “un approccio laico sul Mes” e a “tenere aperte le scuole”. E se, nei giorni scorsi, la tensione era stata bifronte (anche con il Pd, per il Mes), ieri qualche critica arrivava a Conte dall’ala sinistra della maggioranza: il senatore di Leu Vasco Errani invitava il governo a fare “un’operazione di trasparenza” sui tamponi. 

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“Ai cittadini dobbiamo chiedere ancora sacrifici e rinunce, ancora una volta siamo costretti a compiere una sofferta operazione”. Il premier Giuseppe Conte è in Senato, a rispondere delle misure di contenimento-virus. Non sembra lo stesso Conte del mattino, quello che smentiva con parole rassicuranti la preparazione di un ennesimo dpcm a pochi giorni dal precedente, ipotesi ventilata da alcuni giornali. E in Senato, con voce tesa, il premier dice quello che fino a ieri diceva il ministro titolare della linea rigorista Roberto Speranza, linea che Conte aveva smorzato: “Evitate gli spostamenti non necessari”. C’è “una recrudescenza in atto”, è la frase che segna il passaggio da un Conte all’altro e da una linea all’altra, anche se il confine tra le due impostazioni è ancora labile. Sempre meno, si intuisce quando il premier, pur lodando “la resilienza dell’economia”, prefigura lo scenario delle “limitazioni alla normale condotta di vita”, confidando nella “forza d’animo e determinazione del paese”, ché “non possiamo considerarci al sicuro”.  Le spire dei bollettini di contagio si stringono attorno all’idea di mantenere il tono attendista e non allarmista del mattino, mentre dall’estero giunge la voce di Angela Merkel (“state a casa”) e da Milano arrivano le parole del sindaco Beppe Sala : “Gli anziani stiano a casa, si torni al lavoro da remoto”. Per non dire del Lazio, altra regione su cui ora pende la decisione di chiudere e limitare la mobilità di notte. “I principi che muovono oggi il Governo sono sempre gli stessi, quelli che ci hanno permesso di superare la situazione nel passato: massima precauzione, adeguatezza e proporzionalità”, dice Conte, mentre Matteo Salvini attacca al grido di “Chi ti scrive i discorsi?”, evocando le “menzogne dette agli italiani”. Il presidente dei senatori di Italia Viva Davide Faraone invita a “non usare la parola coprifuoco”, ad avere “un approccio laico sul Mes” e a “tenere aperte le scuole”. E se, nei giorni scorsi, la tensione era stata bifronte (anche con il Pd, per il Mes), ieri qualche critica arrivava a Conte dall’ala sinistra della maggioranza: il senatore di Leu Vasco Errani invitava il governo a fare “un’operazione di trasparenza” sui tamponi. 


E il premier, accerchiato dai numeri prima che dagli avversari, appariva lontano ormai anche dalla sua stessa precisazione della mattina, quella che smentiva la “nuova stretta in arrivo”: una nota che comunque, pur smentendo, non riusciva a cancellare la sensazione dell’oscillare tra due strade, due impostazioni, due ritmi: “In questa fase di continua emergenza, con la situazione in costante evoluzione, certamente non si può escludere che possano essere adottati nelle prossime settimane altri provvedimenti. Ma azzardare o ipotizzare adesso nuovi e imminenti decreti rischia soltanto di creare confusione e incertezze tra i cittadini”.


E però, con il passare delle ore, la rassicurazione governativa sul fatto di “lavorare con le Regioni per coordinare l’adozione di misure specifiche” sui territori diventava escalation reale, e non soltanto percepita, verso lo scenario che Conte sperava di scongiurare. La storia dei giorni precedenti racconta infatti di un premier uscito dall’ultima, estenuante riunione pre-conferenza stampa, domenica scorsa, con parole e pensieri sintonizzati sul concetto “adesso per qualche giorno non parliamo di nuovi dpcm”. Parole e pensieri che trovavano concordi alcuni ministri e l’ala meno allarmista del Cts, quella che ha spiegato al premier l’altro concetto: se non si aspetta di vedere che effetto fanno le misure sulla curva dei contagi è inutile e controproducente creare allarme. E già sabato 18, alla vigilia dell’uscita sofferta dell’ultimo dpcm,  il premier aveva fatto capire di “non volere misure estreme”. E però poi c’erano gli altri: non soltanto il ministro della Cultura e capo-delegazione pd Dario Franceschini, non soltanto l’ala rigorista del Cts, ma soprattutto il ministro della Salute Roberto Speranza  – che ieri, poche ore prima che Conte parlasse in Senato, si era appellato direttamente agli italiani: ” Chiedo alle persone di fare uno sforzo per evitare spostamenti e uscite inutili”. Alla tensione tra due visioni del contenimento Covid si era aggiunta la variabile mediatica (vedi alla voce Rocco Casalino): un insieme di piccoli stress-test “per vedere l’effetto che fa”, come per esempio lasciar filtrare elementi che favoriscano presso i grandi quotidiani la narrazione fosca – della serie “chiudere tutto alle 23, anzi alle 22, arriva il coprifuoco, arriva il divieto di spostamento”. E un pencolare verso il remake comunicativo dei tempi drammatici di marzo-aprile, con comunicazioni del premier annunciate e rimandate di qualche ora, i social che alimentano la suspence e una rinnovata centralità di Palazzo Chigi. 

 

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