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Tra Baresi e Giletti

L'allegro elenco dei sindaci di centrodestra per Roma e Milano. “Perché non Walter Zenga?”

Salvatore Merlo

Accordi e disaccordi tra Berlusconi, Salvini e Meloni. Una valanga di figurine, un oceano da cui sorgono le bufere e i miraggi, tra politici, civici e imprenditori. E poi ci sono anche Napoli e Bologna

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Berlusconi e Salvini si accordano per impedire alla Meloni di candidare uno dei suoi, poi la Meloni e Berlusconi si accordano per impedire che il candidato sia uno della Lega e infine Salvini si accorda con se stesso per evitare che il candidato sia uno uguale a lui (“ci vuole uno che sa fare le cose”, esclama a un certo punto Matteo, “ci vuole uno che nella vita abbia lavorato”). E allora chissà cosa verrà fuori con questo strano metodo, quando alla fine, venerdì prossimo, i leader del centrodestra torneranno a parlarsi, a sfogliare il margheritone dei possibili sindaci da proporre a Roma e a Milano, soprattutto, ma anche a Napoli e a Bologna. Una valanga di figurine, più di venti per adesso, quelle passate in rassegna ieri negli uffici di Salvini al Senato, tra i leader e i loro colonnelli. Uno sconfinato oceano da cui sorgono le bufere e i miraggi. Così, quando Berlusconi a un certo punto propone tra gli altri anche  il grande Franco Baresi come sindaco di Milano, ecco che Ignazio La Russa – interista  – gli risponde: “Allora meglio Walter Zenga”. E quando Giorgia Meloni prova a contestare un po’ il metodo, sostenendo che anche i politici hanno la loro dignità (la leader di Fratelli d’Italia intendeva ovviamente la sua classe dirigente, quella di scuola ex An) ecco che gli altri hanno invece storto la bocca. Ed è continuato l’elenco di civici e imprenditori: l’industriale della farmaceutica Dompé, il generale della Finanza Toschi, Guido Bertolaso, l’ex presidente di Confindustria D’Amato…

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Berlusconi e Salvini si accordano per impedire alla Meloni di candidare uno dei suoi, poi la Meloni e Berlusconi si accordano per impedire che il candidato sia uno della Lega e infine Salvini si accorda con se stesso per evitare che il candidato sia uno uguale a lui (“ci vuole uno che sa fare le cose”, esclama a un certo punto Matteo, “ci vuole uno che nella vita abbia lavorato”). E allora chissà cosa verrà fuori con questo strano metodo, quando alla fine, venerdì prossimo, i leader del centrodestra torneranno a parlarsi, a sfogliare il margheritone dei possibili sindaci da proporre a Roma e a Milano, soprattutto, ma anche a Napoli e a Bologna. Una valanga di figurine, più di venti per adesso, quelle passate in rassegna ieri negli uffici di Salvini al Senato, tra i leader e i loro colonnelli. Uno sconfinato oceano da cui sorgono le bufere e i miraggi. Così, quando Berlusconi a un certo punto propone tra gli altri anche  il grande Franco Baresi come sindaco di Milano, ecco che Ignazio La Russa – interista  – gli risponde: “Allora meglio Walter Zenga”. E quando Giorgia Meloni prova a contestare un po’ il metodo, sostenendo che anche i politici hanno la loro dignità (la leader di Fratelli d’Italia intendeva ovviamente la sua classe dirigente, quella di scuola ex An) ecco che gli altri hanno invece storto la bocca. Ed è continuato l’elenco di civici e imprenditori: l’industriale della farmaceutica Dompé, il generale della Finanza Toschi, Guido Bertolaso, l’ex presidente di Confindustria D’Amato…

 
 
E poi, ovviamente anche Massimo Giletti, per Roma. “Che però s’è ritirato”, dicono tutti al telefono, salvo poi aggiungere sottovoce: “Ma potrebbe essere una tecnica. La Lega vuole che emerga sostenuto anche da Berlusconi e Meloni”. Chissà. Alla fine, di queste quasi quattro ore di riunione, oltre agli sguardi stanchi assieme a qualche sbadiglio, resta l’intesa a doversi accordare rapidamente, almeno per Roma, dove in campo ci sono già Virginia Raggi e Carlo Calenda. E resta anche un implicito e sottile gioco di veti incrociati, tra Berlusconi, Salvini e Meloni. Dove due dei tre, con fissa pendolarità, finiscono col fare comunella contro il terzo, al punto che la natura dei candidati e la filosofia più generale, lasciano intendere che né a Roma, né a Milano né a Napoli ci sarà un politico a correre per il centrodestra. Con Salvini sempre più persuaso che l’uomo del destino, in ciascuna delle tre grandi città, debba essere l’esatto opposto di ciò che lui stesso invece rappresenta in politica: concretezza contro frenesia, competenza contro rappresentazione,  “uno che nella vita abbia lavorato”, appunto. E sono le esatte parole di Salvini. Dunque ecco la caccia al candidato di richiamo, al nome prestigioso ma non politico per rendere il centrodestra sovranista più appetibile, come si fa nei ristoranti con la carota tagliata a stella o con il ghirigoro di aceto balsamico. Ma ieri il vertice tra i leader è stato poco più di un fantasioso preliminare. E a nessuno sfugge che alla fine sia a Roma sia a Milano il candidato dovrà ricevere in via preventiva i crismi di certi salotti, ambienti che poco hanno a che fare con le periferie frequentate da Salvini in campagna elettorale. Centri di potere, decadenti forse ma ancora influenti,  che per il momento almeno a Roma solo Carlo Calenda lascia intendere d’avere dalla sua parte.

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