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Senza Trump e Salvini si potrà tornare a essere popolari e deplorevoli senza complessi

Giuliano Ferrara

Se la destra sghemba lascia il Papeete, noi riabbracciamo a pieno diritto la riviera adriatica e sarà riperimetrato un cattiverio che fu il brodo di coltura di questo giornale

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Se Trump se ne ritornasse in televisione, quelli come noi potrebbero ricominciare a respirare, spostandosi un’anticchia più a destra, recuperando un pizzico di tradizionalismo, sparlando dell’ambientalismo crociato senza complessi di colpa, rimettendo mano alla polemica contro lo stato fiscale, e riassestando un pensiero della differenza biologica capace di spingersi alla critica dell’aborto come diritto e dell’aria eugenetica che tira (per non parlare dell’islamismo politico, che tornerebbe un bersaglio privilegiato, roba da gentiluomini occidentali). Scherzo, naturalmente, si cercò di mantenere la scorrettezza politica con la schiena dritta, nonostante lo scippo globale operato dal partito dei deplorables, ma con mille cautele per non ridursi in tanto cattiva compagnia. Il fatto che Greta voti Biden non è poi così luttuoso, anche se non la si ritenga maestra di pensiero critico e di politica, in fondo è sempre vero che puoi sceglierti gli avversari, non gli alleati (lo diceva Raymond Aron, forse citando qualcuno d’altro). Ma è anche vero che perfino quando eravamo incistati nella meravigliosa fronda della destra berlusconiana e del neoliberismo sfrenato, perfino allora avevamo spazio per la vocazione maggioritaria dei dem italiani, per arzigogolare su stato e mercato senza paraocchi: ma ora forse potrò dirlo chiaro e tondo al mio amico Capone, la Mariana Mazzucato è una superdonna e una supereconomista, il suo keynesismo ordoliberale è una gran trovata (oddio, che ho detto).

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Se Trump se ne ritornasse in televisione, quelli come noi potrebbero ricominciare a respirare, spostandosi un’anticchia più a destra, recuperando un pizzico di tradizionalismo, sparlando dell’ambientalismo crociato senza complessi di colpa, rimettendo mano alla polemica contro lo stato fiscale, e riassestando un pensiero della differenza biologica capace di spingersi alla critica dell’aborto come diritto e dell’aria eugenetica che tira (per non parlare dell’islamismo politico, che tornerebbe un bersaglio privilegiato, roba da gentiluomini occidentali). Scherzo, naturalmente, si cercò di mantenere la scorrettezza politica con la schiena dritta, nonostante lo scippo globale operato dal partito dei deplorables, ma con mille cautele per non ridursi in tanto cattiva compagnia. Il fatto che Greta voti Biden non è poi così luttuoso, anche se non la si ritenga maestra di pensiero critico e di politica, in fondo è sempre vero che puoi sceglierti gli avversari, non gli alleati (lo diceva Raymond Aron, forse citando qualcuno d’altro). Ma è anche vero che perfino quando eravamo incistati nella meravigliosa fronda della destra berlusconiana e del neoliberismo sfrenato, perfino allora avevamo spazio per la vocazione maggioritaria dei dem italiani, per arzigogolare su stato e mercato senza paraocchi: ma ora forse potrò dirlo chiaro e tondo al mio amico Capone, la Mariana Mazzucato è una superdonna e una supereconomista, il suo keynesismo ordoliberale è una gran trovata (oddio, che ho detto).

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E se Salvini diventasse presidente onorario della Lega, lasciando il posto a Giorgetti o a Zaia? Sarebbe un gran giorno. Tornerebbero temi come l’alternanza, ora da escludere rigorosamente, e perfino il vecchio impulso autolesionista del voto subito, del votare sotto la neve come dicevamo allora, riacquisterebbe una sua dignità. Per chi ne ha avuto lo stomaco, in istato di assoluta necessità, fu rigenerante questa stagione a sinistra, questo grillismo di governo incandescente, questo sofisteggiare a favore di un esecutivo comprensivo di Mr. Of Maio, come scrivono i traduttori automatici della subFarnesina già costretti a abituarsi a Mr. Ping. A parte il ritrovare vecchi amici, riandare a vecchie pulsioni, pur nel totale isolamento dal mondo come pretende di essere, una stagione all’inferno è il modo migliore per illustrare il brocardo del neoliberalismo, non esistere più se non in una prospettiva ultraideologica una sinistra e una destra. Sì, certo, individualisti e riccastri, diseguali per scelta e per presunzione sociale, atomi della globalizzazione, tutti questi sono diversi da collettivisti e solidali, poveri del ceto medio riflessivo, o anche non tanto poveri ma pauperisti, e militanti della cittadinanza e dei suoi diritti. Un discrimine dell’antropologia ottimista e di quella pessimista resisterà sempre, nel cinema nei fumetti nei romanzi all’opera e nella sinfonica e nelle canzonette, e forse sempre si chiamerà sinistra e destra, ma fino a un certo punto.

       

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Se la destra sghemba lascia il Papeete, noi riabbracciamo a pieno diritto la riviera adriatica, si potrà tornare a essere popolari e deplorevoli senza complessi, senza ungersi di olio di palma e di Nutella, sarà riperimetrato un cattiverio che fu il brodo di coltura di questo giornale, prima che l’arrivo dei veri cattivi ci inducesse a diventare buoni.

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