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alla ricerca di un'intesa

Amendola, il ministro senza nemici che il Pd vorrebbe sindaco di Napoli

Valerio Valentini

Il responsabile degli Affari europei, secondo i dem "il nome migliore che abbiamo" per il capoluogo campano, ha un buon rapporto anche con Di Maio e la frangia più barricadera dei grillini

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Roma. Chi lo conosce bene, dice che la sua principale virtù sta nell’aver fatto proprio la massima senecana per cui, piuttosto che affannarsi inutilmente a farsi tutti amici, sarebbe più saggio accontentarsi di non avere alcun nemico. E in effetti Enzo Amendola, da quando nel 2014 ha lasciato, dopo cinque anni, la guida della segreteria regionale del Pd in Campania, ha saputo sottrarsi perfino a quella guerriglia permanente che tribola da sempre la sinistra napoletana. E anche per questo, forse, il segretario cittadino dei dem, Marco Sarracino, lo considera “il nome migliore che abbiamo” per la corsa alle comunali dell’estate prossima, quando il capoluogo partenopeo dovrà scegliere il successore di Luigi De Magistris.

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Roma. Chi lo conosce bene, dice che la sua principale virtù sta nell’aver fatto proprio la massima senecana per cui, piuttosto che affannarsi inutilmente a farsi tutti amici, sarebbe più saggio accontentarsi di non avere alcun nemico. E in effetti Enzo Amendola, da quando nel 2014 ha lasciato, dopo cinque anni, la guida della segreteria regionale del Pd in Campania, ha saputo sottrarsi perfino a quella guerriglia permanente che tribola da sempre la sinistra napoletana. E anche per questo, forse, il segretario cittadino dei dem, Marco Sarracino, lo considera “il nome migliore che abbiamo” per la corsa alle comunali dell’estate prossima, quando il capoluogo partenopeo dovrà scegliere il successore di Luigi De Magistris.

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E se questa è la convinzione che ha maturato, Sarracino, è anche perché – lui che, da allievo prediletto di Andrea Orlando, l’intesa organica col M5s l’ha già sperimentata in tanti comuni della provincia – sa bene che neppure tra i grillini Amendola ha dei nemici. Ha un buon rapporto con Luigi Di Maio, rispetto al quale, pure, aveva iniziato l’esperienza di governo da un emisfero opposto: il ministro dem a incarnare la posizione più atlantista del suo partito, e il capo della Farnesina che doveva smaltire la sbornia filocinese che s’era preso sulla Via della Seta. “E invece ora si stanno perfino simpatici”, dicono nel M5s. E del resto Amendola, che da responsabile degli Affari europei s’è ritrovato sulla faglia potenzialmente più pericolosa del rapporto tra Rousseau e il Nazareno, quella che passa per il Recovery e per il Mes, ha saputo non inimicarsi mai neppure le frange più irriducibili del grillismo barricadero, forte anche di un buon rapporto con la sua sottosegretaria a cinque stelle Laurea Agea.

 

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Partita chiusa, insomma? A sentire Amendola, manco per niente. Perché il ministro che ha questo passo felpato e prudente da democristiano resta pur sempre un esponente della sinistra del Pd che ha mosso i suoi primi passi nella Fgci. E dunque sa bene che, in certi casi, non ci si candida: ci si fa, semmai, candidare. Se insomma glielo chiedono, lui, dalemianamente, non si sottrarrà. Ma fino a quel punto, perseguirà nella sua linea della fermezza: “Di Napoli continuo a occuparmi, ma da ministro”. Perfino troppo, però, a ben vedere. Così almeno dicono in città, dove hanno notato come ultimamente, con frequenza sospetta, il ministro abbia iniziato a farsi vedere più spesso: nel quartiere di San Lorenzo, dov’è nato e cresciuto prima di trasferirsi a Roma e ufficializzare la sua fede interista, e dove ancora vive sua madre; e poi al Teatro Festival, al Museo archeologico, oltre a incontri con le associazioni locali. Insomma, ci sta lavorando. E certo, andarsi a impantanare a Napoli rinunciando agli onori di ministro, proprio ora che il suo ruolo di tessitore con Bruxelles diventa così centrale nelle dinamiche di governo, pare un azzardo. E però chi ha iniziato a fare politica insieme a lui, classe ’73, ricorda bene di quanto a quell’epoca, a inizio degli anni Novanta, il clamore della stagione dei sindaci, da Rutelli a Castellani fino a Bassolino (che peraltro ha già fatto capire di volerci provare di nuovo: ché quando si vota a Napoli lui è candidato a prescindere), abbia segnato lo spirito del giovane Amendola. 

Il quale, peraltro, potrebbe perfino scampare alla iattura in cui tanti dei suoi predecessori si sono trovati impelagati. Perché, dopo le tonnare del 2011 tra Cozzolino e Ranieri e del 2016 tra Valente e Bassolino, la segreteria provinciale del Pd ha deciso che stavolta anche basta, con ricorsi e riconteggi e sceneggiate annesse. “Candidato unico e coalizione di governo”, è la linea che anche ieri Sarracino ha spiegato al Nazareno. Ricevendo in risposta un invito ad accelerare su questa strada: che prevede, dunque, la necessità di trovare un accordo su un candidato unico tra Pd e M5s, oltreché Leu e Italia viva (benché Gennaro Migliore si stia impuntando) e magari De Magistris, già in campagna elettorale, e non solo al ballottaggio. Un’alleanza vera e propria, con tanto di simboli appaiati in lista. E anche per questo un esponente dell’esecutivo sarebbe ideale (non a caso, oltre ad Amendola, è circolato anche il nome di Gaetano Manfredi, ex rettore della Federico II e ministro dell’Università): perché diventerebbe impossibile porre dei veti. E diventerebbe difficile anche per Vincenzo De Luca far sentire troppo il peso del suo consenso, essendo lui espressione di un Pd che nell’alleanza giallorossa non crede per niente. Ma comunque neppure col presidente della regione, dicono, Amendola ha mai avuto problemi: “Nemici? Ma quale nemici. Enzo non ne ha”.

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