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La lunga marcia verso il ppe

La svolta europea di Salvini consiste in un tour con Giorgetti (ancora da organizzare)

C'erano un tempo i viaggi che i dirigenti del Pci facevano coi giovani virgulti delle Frattocchie. L'idea del capo della Lega è questa: un giro per le capitali d'Europa accompagnato dal suo consigliere

Valerio Valentini

La riunione romana con gli europarlamentare serve a placare le tensioni interne. "Si sta in Lega per andare al governo", ammonisce il vicesegretario. E il leader della Carroccio giura fedeltà alla Le Pen, per ora. L'unica novità è (forse) un giro per la cancellerie

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La raccomandazione l’ha fatta cadere quasi come una lusinga, Giancarlo Giorgetti. “Io lavoro solo perché chi viene eletto con un partito che si chiama Lega Salvini premier abbia a cuore innanzitutto questo: che Salvini possa arrivare a fare il premier”. E però alle orecchie degli europarlamentari convocati a Roma in mattinata, e forse anche a quelle del segretario che gli sedeva accanto, quelle parole sono risuonate come un avvertimento: ché insomma la si smetta con le posizioni e i posizionamenti stravaganti, in Europa e non solo, che rendono inverosimile la promozione della Lega a forza di governo.

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La raccomandazione l’ha fatta cadere quasi come una lusinga, Giancarlo Giorgetti. “Io lavoro solo perché chi viene eletto con un partito che si chiama Lega Salvini premier abbia a cuore innanzitutto questo: che Salvini possa arrivare a fare il premier”. E però alle orecchie degli europarlamentari convocati a Roma in mattinata, e forse anche a quelle del segretario che gli sedeva accanto, quelle parole sono risuonate come un avvertimento: ché insomma la si smetta con le posizioni e i posizionamenti stravaganti, in Europa e non solo, che rendono inverosimile la promozione della Lega a forza di governo.

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E anche per questo gli toccherà viaggiare parecchio, a quanto pare, all’ex sottosegretario alla Presidenza. Perché l’ultima volta che l’aveva tentato in solitaria, il viaggio per farsi conoscere, per affrancarsi dall’ombra opprimente del consigliere, l’allora vicepremier del governo gialloverde non aveva affatto brillato. Era la metà di giugno del 2019, e doveva essere quella la trasvolata dell’investitura più prestigiosa, la benedizione  della Casa Bianca per vedersi assegnati i galloni da papabile presidente del Consiglio: e invece bastarono poche ore perché si capisse che  Salvini, che quella visita aveva voluto farla da solo col suo staff di fedelissimi, senza insomma la compagnia ingombrante di  Giorgetti, era stato pesato e misurato, da Mike Pompeo e Mike Pence, e trovato mancante. Aveva però fatto in tempo a farsi riprendere  nel  Lincoln Memorial mentre ricordava di “quella volta che Washington andammo a vedere la cosa, lì, la scalinata di Rocky”, davanti allo sguardo annebbiato del povero ambasciatore Armando Varricchio che, un po’ imbarazzato, lo correggeva con garbo: “Lì è Philadelphia”.

 

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E insomma si capisce perché stavolta abbiano invece deciso che sia meglio evitarle, queste velleità d’autonomia. E così nei mesi prossimi, a quanto pare, Giorgetti se lo prenderà (sempre che agli annunci seguano i fatti) e se lo porterà in giro per le capitali europee. Ci metterà una buona parola. Garantirà per lui, finché potrà. Gli mostrerà la meravigliosa complessità del mondo. Un po’ come facevano i vecchi dirigenti del Partito comunista coi giovani virgulti delle Frattocchie, quando li facevano partecipare alle spedizioni a Mosca, a Budapest: come Togliatti faceva con Berlinguer, come Berlinguer fece a sua volta con D’Alema, nel 1984, per insegnargli che i dirigenti del Cremlino mentivano sempre,  che l’agricoltura non serviva a risollevare le sorti dell’Urss, e che la caramelle avevano sempre la carta che rimaneva attaccata, nel paradiso del socialismo reale. Con la differenza che stavolta le gerarchie verranno ribaltate, essendo il vicesegretario a fare da sherpa al suo superiore.

 

Per ora la svolta europea di Salvini, il ripensamento delle alleanze  della Lega, sta insomma tutta qui (oltre che in una una nuova strategia mediatica, fatta di apparizioni più mirate e centellinate, e meno bulimia catodica): in un tour annunciato un po’ a sorpresa, abbozzato all’ultimo minuto più con l’ansia di fornire qualche titolo ai giornali,  senza che ci sia ancora alcuna tappa organizzata. La lunga marcia verso il Ppe, insomma, se mai avverrà, è ancora ai suoi primissimi passi. “Anche perché noi non tradiamo”, ha spiegato il segretario. “Tra i miei valori ci sono la riconoscenza e la lealtà: e a chi, come Marine Le Pen, ci ha sostenuto in tempi difficili, io non taglio la faccia”.  Sarà insomma un lento, tribolato riconsiderare convinzioni e posizioni. “Anche perché non ho mai detto che bisogna entrare subito nel Ppe”, ha ribadito Giorgetti, che ha semmai affermato l’esigenza di un maggior coordinamento tra Roma e Bruxelles. Con la consapevolezza che il capo della Lega dovrà per forza essere un credibile candidato premier. Ed è bene che tutti se lo ricordino, in futuro. A partire dal capo.
 

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