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Rottamare il nazionalismo?

Viva la destra che cerca un'alternativa al modello Salvini

Le idee sul Ppe, le divisioni sull’Europa, “la rivoluzione liberale”. Per avere un futuro, il centrodestra capisce che deve cancellare il suo passato. Ma fino a che punto gli alleati può spingersi?

Claudio Cerasa

Se per sperare di avere un futuro il centrodestra deve cominciare a cancellare il suo passato, fino a che punto il centrodestra può permettersi di cancellare il suo passato senza cancellare anche il salvinismo? Il caso Ppe, l'Europa, il modello Zaia, il metodo Giorgetti, gli alleati che borbottano e le contraddizioni della rivoluzione liberale. Alla ricerca di una destra non truce

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Gli alleati meno estremisti della Lega devono avere avuto come un sussulto quando ieri mattina, leggendo l’intervista rilasciata al Corriere dal Capitano, hanno scoperto che secondo Matteo Salvini l’Italia ha bisogno “di una rivoluzione liberale”. Salvini, nella stessa intervista, dice anche che l’Italia che ha in mente, per non perdere il treno della “rivoluzione liberale”, avrebbe il dovere di mettersi sulla scia del modello Orbán, che giusto un anno fa ha ricordato come l’obiettivo della sua Ungheria sia proprio quello di costruire “uno stato illiberale”. Ma Orbán a parte – sognare una rivoluzione liberale sposando il modello Orbán è come dire di non voler uscire dall’euro affidando la gestione economica del proprio partito ai teorici dell’uscita dall'euro – il vero dato che conta dell’intervista di Salvini è che anche il segretario della Lega sembra aver capito quello che da tempo hanno capito i suoi alleati: per sperare di avere un futuro, il centrodestra deve cominciare a cancellare il suo passato. E cancellare il suo passato significa fare quello che il centrodestra sta provando a fare già da qualche mese: mettere da parte le vecchie teorie anti europeiste, le vecchie teorie anti euro, le vecchie infatuazioni per Alba dorata, il vecchio odio per il Ppe, le vecchie sbandate per Putin, le vecchie derive xenofobe e provare a ridare appeal al centrodestra facendo propria una vecchia campagna dei moderati italiani: nientemeno che “aprire la coalizione alla società civile”.

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Gli alleati meno estremisti della Lega devono avere avuto come un sussulto quando ieri mattina, leggendo l’intervista rilasciata al Corriere dal Capitano, hanno scoperto che secondo Matteo Salvini l’Italia ha bisogno “di una rivoluzione liberale”. Salvini, nella stessa intervista, dice anche che l’Italia che ha in mente, per non perdere il treno della “rivoluzione liberale”, avrebbe il dovere di mettersi sulla scia del modello Orbán, che giusto un anno fa ha ricordato come l’obiettivo della sua Ungheria sia proprio quello di costruire “uno stato illiberale”. Ma Orbán a parte – sognare una rivoluzione liberale sposando il modello Orbán è come dire di non voler uscire dall’euro affidando la gestione economica del proprio partito ai teorici dell’uscita dall'euro – il vero dato che conta dell’intervista di Salvini è che anche il segretario della Lega sembra aver capito quello che da tempo hanno capito i suoi alleati: per sperare di avere un futuro, il centrodestra deve cominciare a cancellare il suo passato. E cancellare il suo passato significa fare quello che il centrodestra sta provando a fare già da qualche mese: mettere da parte le vecchie teorie anti europeiste, le vecchie teorie anti euro, le vecchie infatuazioni per Alba dorata, il vecchio odio per il Ppe, le vecchie sbandate per Putin, le vecchie derive xenofobe e provare a ridare appeal al centrodestra facendo propria una vecchia campagna dei moderati italiani: nientemeno che “aprire la coalizione alla società civile”.

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Il tentativo di cambiare pelle, dopo le sconfitte alle comunali e dopo le molte non vittorie alle regionali, va nella direzione suggerita pochi giorni fa su questo giornale da Michele Salvati – che come noi si augura che la destra truce possa lasciare sempre più spazio a una destra non truce – ma è un tentativo che presenta una difficoltà non di poco conto: se per sperare di avere un futuro il centrodestra deve cominciare a cancellare il suo passato, fino a che punto il centrodestra può permettersi di cancellare il suo passato senza cancellare anche il salvinismo?

 

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Con un briciolo di malizia, ieri pomeriggio, su Twitter, commentando l'intervista a Salvini, quella vecchia volpe di Pierluigi Castagnetti ha scritto che “l’asse Giorgetti-Zaia sta producendo i primi effetti: Salvini ha già gli occhi sugli specchietti retrovisori per innescare la retromarcia da tante posizioni. Sarà un bene per il paese”. E in effetti il punto oggi sembra essere proprio questo: la Lega alternativa al pensiero unico salviniano, ovvero la Lega più vicina alle regioni, la Lega più vicina al nord, la Lega più vicina ai ceti produttivi, avrà o no il coraggio di creare attorno all’estremismo del suo leader un cordone sanitario tale da guidare il centrodestra verso una transizione anti populista?

 

Il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, lo ha capito e da giorni suggerisce di trovare un modo per avvicinarsi al Ppe. Il plenipotenziario della Lega al Parlamento europeo, Marco Campomenosi, minaccia da tempo di uscire dal gruppo Identità e Democrazia in cui si trova la Lega a Bruxelles, non sentendosi a suo agio con le posizioni dell’AfD. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, lo ha capito e da mesi invita il centrodestra a essere più concreto. Il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, anche lui leghista, lo ha capito e ieri, dialogando con il Foglio, ha suggerito all’opposizione di provare a fare quello che finora non ha fatto, ovverosia “fare squadra”, anche con Conte, ed evitare che il governo “si metta in testa di giocare da solo”.

 

A modo suo, lo ha capito anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che assumendo la guida del gruppo parlamentare europeo di cui fa parte il suo partito, Ecr, ha ricordato che il centrodestra del futuro non potrà essere né anti europeista né filo putiniano. L’Italia, in questo ha ragione Salvini, ha certamente bisogno di una rivoluzione liberale. Ma il centrodestra, giorno dopo giorno, sembra mostrare una consapevolezza nuova: non si può promettere di cambiare l’Italia senza cambiare prima il centrodestra salviniano.

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