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Per Calenda sindaco umile

Giuliano Ferrara

Primarie, talenti e patti di lealtà. Per il Pd c’è una manna dal cielo 

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Il giorno che Calenda divenisse sindaco di Roma al posto della bambolina sarebbe dies aureo signanda lapillo. Con l’appoggio del Pd sarebbe cosa fatta. Qui sta il problema. Calenda ha lasciato il Pd, cosa non solo legittima ma anche opportuna se lo si ritenga, però lo ha fatto subito dopo essere stato eletto parlamentare europeo nelle sue liste, dunque uno sgarbo, e nutrendo il distacco di una astiosa campagna contro il governo Bisconte, di alleanza politica tra Pd e grillozzi. Su questa piattaforma ha preso molti applausi, perfino troppi, e come succede a chi prende troppi applausi, ha poi preso pochi voti, troppo pochi per una carriera politica credibile in proprio. Tuttavia ora Calenda ha capito il suo ubi consistam quale sia.

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Il giorno che Calenda divenisse sindaco di Roma al posto della bambolina sarebbe dies aureo signanda lapillo. Con l’appoggio del Pd sarebbe cosa fatta. Qui sta il problema. Calenda ha lasciato il Pd, cosa non solo legittima ma anche opportuna se lo si ritenga, però lo ha fatto subito dopo essere stato eletto parlamentare europeo nelle sue liste, dunque uno sgarbo, e nutrendo il distacco di una astiosa campagna contro il governo Bisconte, di alleanza politica tra Pd e grillozzi. Su questa piattaforma ha preso molti applausi, perfino troppi, e come succede a chi prende troppi applausi, ha poi preso pochi voti, troppo pochi per una carriera politica credibile in proprio. Tuttavia ora Calenda ha capito il suo ubi consistam quale sia.

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Ha esperienza e profilo tecnico, manageriale, è stato un buon ministro con Renzi, ha fatto un rapido e sapido passaggio a Bruxelles, speditovi con scandalo della Farnesina per tutelare la politica nazionale, è eloquente, ha cultura, sa spiegare al colto e all’inclita, è romanissimo, dunque in certo senso un animale politico nato. Il suo problema è il carattere, elemento decisivo della personalità politica. Ne ha forse troppo, agisce d’impulso, non sempre controlla come dovrebbe l’ambizione, in sé sacrosanta in un uomo pubblico, è sarcastico, spietato nel confronto con gli incompetenti, che sono un po’ tutti noi, quindi devono essere trattati con il garbo che a tutti noi è mancato nella valutazione dei grillozzi, tanto che con l’incompetenza ci hanno vinto un’elezione politica fatale. Insomma, secondo il mio modestissimo parere, Calenda non deve fare il rassembleur del centro liberale e riformista a Roma, deve fare il mestiere di sindaco, proporsi come il candidato giusto e credibile per parlare a tutta la città e fare, fare, fare in tutta l’amministrazione. Non un fare per fermare il declino, formula sfortunata del mio caro amico Giannino, ma fare per curare gli interessi dei cittadini, punto. La sua formazione di impronta riformista gli servirà, ma in primo piano deve mettere la sua dedizione alla città, più che la sua formazione, il suo curriculum eccetera.

        

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Conclusione. Calenda deve fare un gesto di umiltà politica. Il che lo riscatterebbe da una qualche arroganza trascorsa. Deve dire che nella valutazione politica del governo ha fatto un errore. Che non propone sé come un profilo strategico, ma come candidato sindaco consapevole del fatto che risanare Roma è una grande impresa nazionale e internazionale, altro che salvare Venezia (a quello ci pensa il Mose di san Luigi Zanda). Deve partecipare alle primarie cittadine del partito al quale chiede il sostegno, primarie di coalizione, dopo essersi assicurato un patto di lealtà e di reciproco rispetto fondato sul reciproco interesse con i maggiorenti della città, che sono anche gli oligarchi fortunati del Pd oggi. A queste condizioni, che Zingaretti e Bettini dovrebbero considerare una manna scesa dal cielo, Calenda sarà un candidato credibile, non un disturbatore, e potrà essere eletto sindaco a mani basse. Auguri.

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