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il carroccio impantanato

Così Salvini annaspa nel tentativo di riorganizzare la Lega

La sconfitta alle amministrative è solo l'ultimo segnale di una parabola calante. Il Carroccio non sfonda al Sud e arranca anche in Lombardia

Valerio Valentini

Lo scontro col vice Fontana. Il valzer confuso dei commissari. Le critiche al cerchio magico del Truce. I muscoli del Capitano non funzionano più. E Giorgetti gli lancia avvertimenti: "Col populismo non si governa"

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Sarà pur vero, come ora tiene a precisare chi c’era, che il tono era più quello della battuta che non dell’accusa. E però quando Matteo Salvini s’è rivolto al suo vice e amico di sempre, Lorenzo Fontana, dicendogli che forse “bisognerebbe leggere qualche libro di filosofia in meno e ascoltare un po’ di più i territori”, c’è stato come un attimo di gelo, tra i presenti, i pochi fedelissimi con cui il capo ha commentato il voto all’indomani della mezza disfatta delle regionali. E tra le altre cose ha rimproverato al suo vicesegretario, un tempo portato in palmo di mano e poi sempre più guardato in cagnesco, i risultati nella sua Verona, dove la lista di Luca Zaia ha doppiato quella del Carroccio: lo schiaffo più doloroso che il Doge ha rifilato al Capitano. Il quale, dicono, anche per questo ha chiesto a Eugenio Zoffili, il “fratello Gegio” compagno di tante serate al bar Cavour o al Giardino della birra all’Ortica, di dare una mano all’amico Lorenzo, di controllare un po’ quel che succede in terra di San Marco, almeno per quel che riguarda le dinamiche del cerchio strettissimo di salviniani di ferro. Il che lascia presumere che il commissario della Liga in Veneto, Fontana, venga a sua volta commissariato da Zoffili, che è lombardo di Erba, e che è però già commissario in Sardegna, dove il Truce lo aveva prima voluto a sovrintendere agli affari del partito sull’Isola, poi richiamato alla base dopo la vittoria alle regionali del 2029, quindi rispedito a Cagliari nei fine settimana per controllare come mai la nuova giunta di Solinas non ingranasse. Spasmi di un partito che Salvini vorrebbe risistemare (ha preannunciato anche al segretario trentino Mirko Bisesti che a breve verrà sostituito), e che però gli si scompiglia tra le mani ogni volta che, un po’ confusamente, prova a riordinarlo. 

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Sarà pur vero, come ora tiene a precisare chi c’era, che il tono era più quello della battuta che non dell’accusa. E però quando Matteo Salvini s’è rivolto al suo vice e amico di sempre, Lorenzo Fontana, dicendogli che forse “bisognerebbe leggere qualche libro di filosofia in meno e ascoltare un po’ di più i territori”, c’è stato come un attimo di gelo, tra i presenti, i pochi fedelissimi con cui il capo ha commentato il voto all’indomani della mezza disfatta delle regionali. E tra le altre cose ha rimproverato al suo vicesegretario, un tempo portato in palmo di mano e poi sempre più guardato in cagnesco, i risultati nella sua Verona, dove la lista di Luca Zaia ha doppiato quella del Carroccio: lo schiaffo più doloroso che il Doge ha rifilato al Capitano. Il quale, dicono, anche per questo ha chiesto a Eugenio Zoffili, il “fratello Gegio” compagno di tante serate al bar Cavour o al Giardino della birra all’Ortica, di dare una mano all’amico Lorenzo, di controllare un po’ quel che succede in terra di San Marco, almeno per quel che riguarda le dinamiche del cerchio strettissimo di salviniani di ferro. Il che lascia presumere che il commissario della Liga in Veneto, Fontana, venga a sua volta commissariato da Zoffili, che è lombardo di Erba, e che è però già commissario in Sardegna, dove il Truce lo aveva prima voluto a sovrintendere agli affari del partito sull’Isola, poi richiamato alla base dopo la vittoria alle regionali del 2029, quindi rispedito a Cagliari nei fine settimana per controllare come mai la nuova giunta di Solinas non ingranasse. Spasmi di un partito che Salvini vorrebbe risistemare (ha preannunciato anche al segretario trentino Mirko Bisesti che a breve verrà sostituito), e che però gli si scompiglia tra le mani ogni volta che, un po’ confusamente, prova a riordinarlo. 

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Giancarlo Giorgetti è più preoccupato che stupito, di questa inconcludenza. “Matteo non sa cosa fare perché non ha idea di dove vuole andare”, sbuffa l’ex sottosegretario alla Presidenza nei colloqui riservati. E in quelli pubblici, invece, cesella con più accortezza, ma con altrettanta nettezza, i suoi rimbrotti a Salvini: “Il populista eletto senza deep-state, senza apparato, senza tutta una serie di istituzioni che contribuiscano alla sua visione, è quasi impossibile che possa governare davvero”, ha detto Giorgetti ieri in un convegno organizzato dalla Stampa estera, sotto lo sguardo compiaciuto di Massimo D’Alema. Segnali, pure questi, di una certa insofferenza da parte della vecchia guardia leghista non tanto nei confronti del segretario, quanto di quella bolla di consiglieri e strateghi della comunicazione di cui s’è circondato, e dalla cui esclusiva compagnia sembra lasciarsi assorbire. Luca Morisi e Andrea Paganella, i guru della Bestia dei social; il sempre più protagonista Massimo Casanova, proprietario del Papeete e quindi europarlamentare a cui deputati e senatori, ex membri di governo, chiedono di mettere una buona parola col capo; il laziale Claudio Durigon e il giro storico dei “fratelli” milanesi, di cui oltre a Zoffili fanno parte anche Stefano Bolognini e Alessandro Morelli. Un gruppo da cui spesso perfino i capigruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari si sentono snobbati.

 

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Anche per questo Giorgetti e Roberto Calderoli, non senza un’intesa con Zaia, insistono per accelerare la riorganizzazione, per rendere operativa quella “segreteria politica” che dovrà essere un po’ il governo ombra della Lega, coi responsabili dei vari dipartimenti insieme ai presidenti delle regioni. Compreso quell’Attilio Fontana che è finito di nuovo ad alimentare i mugugni e i malumori dei colonnelli leghisti. Perché in tanti attribuiscono il pessimo risultato delle amministrative in Lombardia al governatore che così poco ha brillato nella gestione del Covid. L’ultimo segnale è arrivato dai ballottaggi, due giorni fa. Quando il Carroccio, dopo aver imposto dei suoi candidati, s’è visto sconfiggere in quattro sfide su cinque, da Corsico e Legnano in provincia di Milano, fino a Lecco, passando poi per Saronno, comune perso nella fortezza del Varesotto. E anche Voghera, l’unica consolazione per Salvini al secondo turno, a suo modo impone delle riflessioni al capo della Lega: sia perché lì la nuova sindaca, Paola Garlaschelli, non è affatto una lumbàrd dura e pura, ma una moderatissima presidente dell’ordine dei commercialisti, sia perché il Carroccio in quella città ottiene il 24 per cento dei consensi, 20 punti in meno rispetto alle europee del 2019. Servirebbe un rimpasto, al Pirellone: tutti in Lombardia glielo dicono, a Salvini. Che lì per lì annuisce, ma poi tentenna. 
 

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