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modesta proposta

Caro Renzi, torna nel Pd

Non c’è spazio, fuori dei dem, se non per galleggiare, e non si sa per quanto tempo ancora

Giuliano Ferrara

Stare dentro o fuori è il problema dei leader politici responsabili, a patto che non insista su un terreno sfuggente

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Renzi nel Pd, ovvio. E’ un elder statesman che non sa di esserlo, l’ex royal baby. Ha macroneggiato per tre anni in anticipo sul maestro dell’Eliseo, con risultati notevoli, e ha liberato la sinistra dal mostruoso pregiudizio dell’antiberlusconismo ideologico e da molte altre catene (Cerasa docet). Poi è rimasto impiccato a un suo comprensibile errore (Mattarella invece che Amato, referendum dunque perduto) e alla tigna del vecchio Cav., che all’inizio aveva investito molto sul suo successore a sorpresa, uomo d’oltrecortina, per così dire. Ora la sua creatura politica scissionistica deve farsi assalire dalla realtà, insieme con Calenda e il gruppazzo ultraeuropeista della Bonino: non c’è spazio, fuori del Pd, se non per galleggiare, e non si sa per quanto tempo ancora (vedi l’affaire Toscana, oltre che i risultati elettorali trascorsi).

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Renzi nel Pd, ovvio. E’ un elder statesman che non sa di esserlo, l’ex royal baby. Ha macroneggiato per tre anni in anticipo sul maestro dell’Eliseo, con risultati notevoli, e ha liberato la sinistra dal mostruoso pregiudizio dell’antiberlusconismo ideologico e da molte altre catene (Cerasa docet). Poi è rimasto impiccato a un suo comprensibile errore (Mattarella invece che Amato, referendum dunque perduto) e alla tigna del vecchio Cav., che all’inizio aveva investito molto sul suo successore a sorpresa, uomo d’oltrecortina, per così dire. Ora la sua creatura politica scissionistica deve farsi assalire dalla realtà, insieme con Calenda e il gruppazzo ultraeuropeista della Bonino: non c’è spazio, fuori del Pd, se non per galleggiare, e non si sa per quanto tempo ancora (vedi l’affaire Toscana, oltre che i risultati elettorali trascorsi).

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Non che il Pd sia chissà che cosa, ma è il luogo riconosciuto di aggregazione della coalizione di governo in funzione di argine verso la difficile ma sempre temibile unione delle destre, e ha ottenuto risultati notevoli nell’economia e nella politica della pandemia. Non più di così, ma neanche meno, e il progetto Next Generation Eu, cioè l’asse danaroso e trasformativo con la Merkel e Macron, conferisce al poco del possibile che è il Bisconte, gravato ma non affondato dal ruolo degli scappati di casa, il crisma del possibile del poco, non è che fa sognare, ma permette di progettare e comprare una politica seria, non solo il tempo.

 

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Sono argomenti elementari. Renzi ha voluto salvaguardare il suo potere di coalizione, suo e dei parlamentari che gli sono rimasti a sostegno, e in questo ha fatto il giusto o l’opportuno, ma rasenta l’impossibile costruire un’alternativa generazionale, riformista, liberale e di sinistra nelle attuali condizioni della politica italiana. Renzi nel Pd, con Calenda a Roma e la Bonino tranquillizzata dalla solita promessa di un seggio, e in aggiunta il maestro del buon Speranza, Bersani con il suo magistrale vernacolo e il suo taglio demotico-padano: sarebbe un esperimento interessante anche per rinaturare un partito che oggi assomiglia a una parrocchia in cui buoni professionisti giocano anche bene tutte le palle di rimando, tutti i rimbalzi che la partita propone. Ma lo fanno in un campetto oratoriale, e finora senza talenti tenorili, senza volume, con un segno lineare ma prevedibile del giorno per giorno, di successo ora, certo, ma asfittico alla lunga (e si crede o si vuole credere che Zingaretti, Franceschini e Bettini ne siano consapevoli).

Rinaturare vuol dire che il residuo di un partito abbandonato ai cani dai fondatori non meno che dai suoi odiatori di sempre, dopo aver saputo far fronte in condizioni di minorità attraverso le virtù della manovra e della costanza nel manovrare, anche grazie al coraggio di Renzi nel varare il benedetto governo di pandemia + Europa svoltista, torna a essere un cartello elettorale a vocazione maggioritaria, e forse a incarnare l’ipotesi di un vero duello competitivo con alleati e avversari quale che sia alla fine la legge elettorale che seguirà l’esito del referendum. Il Pd ha funzionato come si spera funzioni domani il Mose, ha impedito l’acqua alta del salvinismo rampante, per quanto arrugginito e gravato da una storia di conflitti acerbi e impacci. Ora ci sono da fare cose ancora più serie, e lascio da parte la visione, l’anima e altre quisquilie non materialistiche. Stare dentro o stare fuori è il problema dei leader politici responsabili, anche quelli la cui fantasia riformista è preziosa, a patto che non insista su un terreno argilloso, sfuggente. Alle origini del patto dovrebbe stare una coscienza biunivoca: la nomenclatura del Pd deve vedere i propri limiti nel momento di massima espansione del suo potere di incidenza sulla realtà, i cani sciolti del vecchio progetto liberal-riformista devono rendersi conto della necessità di un ancoraggio più modesto ma più solido. Non si vive di solo governo in alleanza precaria con i grillozzi, non si vive di solo brand saltando da un social all’altro. Non è più complicato di così.

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