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Rito Ritrito. O rito di Vito (Crimi). Il M5s in conclave per non decidere niente

La sfilata di una piccola nomenclatura venuta a ragionare, o meglio a scarnificarsi, sulla crisi dopo le elezioni regionali

Salvatore Merlo

Il reggente grillino ha convocato in un piovoso lunedì di fine settembre tutti i ministri, i sottosegretari e i capigruppo del Movimento. Beppe Grillo non c’è “e per questo tutti litigano”

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Rito ritrito. O rito di Vito. Nel senso di Crimi, il reggente grillino che convoca in un piovoso lunedì di fine settembre tutti i ministri, i sottosegretari e i capigruppo del M5s. Tutti insieme in un agriturismo non lontano da casa di Virginia Raggi, in borgata Ottavia, semi periferia romana. Una specie di conclave, in pratica, come accadeva ai bei tempi, nel 2013, quando però si era lontani dal governo e dal potere, e allora tutti arrivavano in autobus con gli abiti di fatica per mandare in vaffa la casta insieme a Beppe. Adesso Beppe non c’è, non si fa vedere, “e per questo tutti litigano”, come spiega il collaboratore di un ministro. Tutto è cambiato. E infatti, per dirla con Carlo Sibilia, che arriva ingessato nel suo gessato color Viminale: “No niente autobus ormai abbiamo tutti le auto bl… ehm di servizio”. Ed ecco Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, Riccardo Fraccaro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sergio Costa ministro dell’Ambiente, Luigi di Maio ministro degli Esteri, Federico D’Incà ministro ai rapporti con il Parlamento… La sfilata di una piccola nomenclatura venuta a ragionare, o meglio a scarnificarsi, sulla propria crisi dopo le elezioni regionali che hanno reso inoccultabile il crollo elettorale del Movimento, il non-partito che i sondaggi inchiodano al 16 per cento.

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Rito ritrito. O rito di Vito. Nel senso di Crimi, il reggente grillino che convoca in un piovoso lunedì di fine settembre tutti i ministri, i sottosegretari e i capigruppo del M5s. Tutti insieme in un agriturismo non lontano da casa di Virginia Raggi, in borgata Ottavia, semi periferia romana. Una specie di conclave, in pratica, come accadeva ai bei tempi, nel 2013, quando però si era lontani dal governo e dal potere, e allora tutti arrivavano in autobus con gli abiti di fatica per mandare in vaffa la casta insieme a Beppe. Adesso Beppe non c’è, non si fa vedere, “e per questo tutti litigano”, come spiega il collaboratore di un ministro. Tutto è cambiato. E infatti, per dirla con Carlo Sibilia, che arriva ingessato nel suo gessato color Viminale: “No niente autobus ormai abbiamo tutti le auto bl… ehm di servizio”. Ed ecco Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, Riccardo Fraccaro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sergio Costa ministro dell’Ambiente, Luigi di Maio ministro degli Esteri, Federico D’Incà ministro ai rapporti con il Parlamento… La sfilata di una piccola nomenclatura venuta a ragionare, o meglio a scarnificarsi, sulla propria crisi dopo le elezioni regionali che hanno reso inoccultabile il crollo elettorale del Movimento, il non-partito che i sondaggi inchiodano al 16 per cento.

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Uno stretto viale alberato introduce al Casolare “Combragor”, che sembra il nome della coppa di Fantozzi, al punto che forse non è un caso se il menù della cena grillina prevede anche l’eponima “frittatona di cipolle”.

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Il viale è interrotto da una sbarra metallica sulla quale si legge un cartello dal contenuto, anche questo, metaforico: “Attenzione cani sciolti”. E tutto già sembra molto evocativo, calzante verrebbe da dire. Inoltre, a causa della sbarra, le automobili non passano. Dunque il vialetto a un certo punto si congestiona. Sembra un concessionario, ma solo di grosse auto grigie, possenti Alfa Romeo grigie. Il che porta subito alla terza metafora, dopo quella di Fantozzi e quella dei “cani sciolti”. Il grigio di queste auto, a ben guardarlo, è un colore forse peggiore del blu “casta”. È il colore della nebbia, rimanda subito a un’idea di opacità. Quasi il colore della confusione e dello stordimento. Che è poi l’umore diffuso nei Cinque stelle. Basta osservarli e ascoltarli. Mentre se ne stanno chiusi in una saletta di questa masseria di governo, tra l’orto, gli alberi, l’uva, i maiali e i polli (“è un ritorno alle origini quasi un ritorno alla natura”, dice Crimi senza nessuna intenzione ironica), si materializza infatti la guerra per bande che divide i capoccia del Movimento stralunato. Crimi non offre una linea su nulla, ma elenca tre ipotesi che tutti già conoscono: nominare un organo collegiale che governi il M5s, o nominare un capo politico che governi il M5s, oppure fare gli Stati generali per decidere se ci vuole un organo collegiale o un capo politico. Sai che idee.

 

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Nessuno dei capetti è disposto a legittimarne un altro, né tanto meno nessuno di loro ha davvero una proposta o una strategia di qualsiasi tipo. “Bisogna lavorare sul nostro brand”, dice a un certo punto Crimi. E poi: “Dobbiamo imporre i nostri temi nel governo”. Intanto Di Maio sbadiglia, con l’aria di saperla lunga, lui che si è dimesso da capo politico è anche l’unico sicuro di sopravvivere al Movimento. Così ogni cosa sembra ritrovare il suo senso quando tutti chiedono al vice capogruppo Riccardo Riccardi che faccia anche lui lì, visto che si trattava di una riunione tra membri del governo. E Riccardi, in un lampo: “Ci siamo anche noi capigruppo perché non si decide nulla”. Ecco. E infatti, mentre i ministri cinque stelle si tormentano mangiando arista al forno, mentre si spartiscono le colpe del caos seduti su traballanti sedie di finto vimini poggiati sul lungo tavolo di lamiera rettangolare, mentre masticano e mordono il guanciale croccante assieme al nome di Alessandro Di Battista, ecco che fuori Nicola Zingaretti, sempre più ringalluzzito, fa sapere che lui ha già riunito i ministri del Pd per parlare non di Stati generali ma di Recovery Fund. E senza nemmeno bisogno di andare in un agriturismo alla periferia di Roma, periferia dell’impero. Una sorta di auto esilio.

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