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il centro litigioso

Così la trattativa tra Calenda e Carfagna s'è arenata sul nuovo nome da dare al partito

Le richieste di Mara a Carlo, il nodo della legge elettorale. Il dialogo a intermittenza tra il leader di Azione e la vicepresidente della Camera

Valerio Valentini

Aggiungere il tricolore al simbolo: "Facciamo Azione per l'Italia?". Ecco perché le trattative tra l'ex ministro dello Sviluppo e la forzista si sono interrotte. C'entra anche la legge elettorale, e una cena a casa del sindaco di Venezia Brugnaro

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Ci sta che siano i tempi lunghi della politica, a rendere inevitabilmente tribolato quel che  il buonsenso vorrebbe rapido e scontato. O forse ci sta pure che il carattere dei protagonisti di questa vicenda sono quelli che sono: la spigolosità roboante dell’uno, la prudenza esasperata dell’altra. Come che sia,  il dialogo tra Carlo Calenda e Mara Carfagna, che sembrava avviato sui sentieri agevoli di un’unione che starebbe nelle cose, procede a intermittenza, tra strappi e ricuciture. E in questa fase, nei giorni che seguono lo scossone  delle regionali, è improntato più al gelo e alla diffidenza, che non alla concordia. 

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Ci sta che siano i tempi lunghi della politica, a rendere inevitabilmente tribolato quel che  il buonsenso vorrebbe rapido e scontato. O forse ci sta pure che il carattere dei protagonisti di questa vicenda sono quelli che sono: la spigolosità roboante dell’uno, la prudenza esasperata dell’altra. Come che sia,  il dialogo tra Carlo Calenda e Mara Carfagna, che sembrava avviato sui sentieri agevoli di un’unione che starebbe nelle cose, procede a intermittenza, tra strappi e ricuciture. E in questa fase, nei giorni che seguono lo scossone  delle regionali, è improntato più al gelo e alla diffidenza, che non alla concordia. 

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Colpa di Calenda, dicono i parlamentari più vicini alla Carfagna. E’ lui che, malgrado le mezze abiure e i parziali ripensamenti di prammatica, resta troppo ancorato alla sua area di provenienza. Doveva sganciarsi dal gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo, e non l’ha fatto. Avrebbe potuto sparigliare alle amministrative e sostenere almeno qualcuno dei candidati di centrodestra. “Se lui continua a guardare solo a sinistra, per noi diventa difficile”, ripete la Carfagna ai suoi che le chiedono conti sullo stato di avanzamento delle trattative. Gli avevano anche organizzato una cena a casa di Luigi Brugnaro, sindaco uscente e di certa riconferma a Venezia, che avrebbe ben gradito il sostegno dell’ex ministro dello Sviluppo. Che invece, pur tra molte cortesie, ha declinato l’invito per sostenere il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, lo sfidante di quel centrosinistra che del resto aveva già vagliato la possibile candidatura a sindaco di Michele Bugliesi, il rettore della Ca’ Foscari che fa parte del comitato promotore di Azione, e che mai avrebbe sopportato di scavalcare la barricata. “Ho le mani legate”, ha scherzato Calenda.

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Il quale, tuttavia, ha pure lui le sue buone ragioni da far valere, sul tavolo delle contrattazioni abortite (per ora). Perché Mara, dicono dalle parti di Azione, ha avanzato pretese eccessive, tra le quali la presidenza del partito sarebbe la meno irragionevole. Perché poi, nell’epica già corposa di questa strana corrispondenza interrotta, un po’ romanzo cortese e un po’ commedia degli equivoci, l’elenco delle richieste s’arricchisce di istanze più creative, come la garanzia di avere un 30 per cento di rappresentanza minima negli organigrammi di un partito a cui magari si sarebbe dovuto anche cambiare il simbolo, aggiungerci un tricolore, un riferimento che alludesse a quella certa eredità del Cav. a cui la Carfagna resta  affezionata: “Azione per l’Italia”, avevano  azzardato i consiglieri della vicepresidente della Camera, prima di avvedersi di quel richiamo alla non proprio esaltante ricordo di Api di Francesco Rutelli.   

 

E insomma, in questa relazione complicata, tutta in potenza, tra lui e lei, ci mancava solo che arrivasse l’altro, a complicare le cose. “Ma io più che arrivato sono stato tirato in ballo”, si schermisce Giovanni Toti, presidente della Liguria che con la Carfagna ha avuto trascorsi burrascosi e altalenanti, manco a dirlo: un odi et amo che li aveva visti prima sui fronti opposti di Forza Italia, poi insieme come coordinatori, poi di nuovo in astio tra loro quando il leader di Cambiamo! era uscito dal partito. Ora, subito dopo il voto di domenica e lunedì, con Toti rinfrancato dal trionfo ligure e la Carfagna confortata dal rinnovato zelo antisovranista dell’amico che fu, i due si sono riavvicinati. Ed è difficile, e pure inutile, stabilire chi abbia cercato chi: il fatto è che a Calenda quella manovra di riavvicinamento deve essere parsa come un tentativo un po’ troppo scoperto di alzare il prezzo nelle trattative, di farsi desiderare mostrando al pretendente di avere già un’alternativa pronta. “La verità è che Mara ondeggia a seconda del bollettino sulla legge elettorale”, sospirano gli uomini di Calenda, spiegando che “quando sembra prevalere il proporzionale, lei viene da noi, quando riprende quota il maggioritario si riavvicina a Forza Italia. Noi? Noi siamo qui”, dicono, consapevoli che i contatti tra Calenda e una pattuglia di forzisti in uscita sono ormai solidi e definitivi, e non dipendono – anche se neppure prescindono – dalle decisioni finali della Carfagna. “Mara si deciderà, prima o poi”, concludono. E lo fanno col tono un po’ indifferente di chi sa che nel gioco del corteggiamento non bisogna mai mostrarsi succube alle bizze dell’altra, specie quando l’altra fa l’esosa. 

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