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tra trump e il dragone

Così il Pd convince Conte a un'ulteriore stretta sul 5G, nell'attesa dello scudo europeo

Valerio Valentini

Sospesi tra la Cina e gli Usa. Cos'è successo giovedì a Palazzo Chigi. Il confronto tra i dem Amendola, Guerini e Gulatieri coi grillini Patuanelli e Di Maio. E in mezzo il premier, coi suoi scrupoli da giurista

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Le tensioni internazionali racchiuse in una stanza. Da un capo all’altro del tavolo, sfumature di vedute che potrebbero rendere precario l’equilibrio su cui l’Italia deve muoversi. D’altronde, che le decisioni relative al 5G abbiano soprattutto a che vedere con questioni di geopolitica, era chiaro a tutti i ministri che giovedì pomeriggio si sono ritrovati intorno a Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi. Perché, certo, gli scrupoli da giurista  che il premier ha esposto ai suoi interlocutori sono tutti fondati: ché in Italia la cultura del diritto esige le sue cautele, per cui procedere a un bando formale di Huawei dalla rete del 5G esporrebbe il governo  a possibili ricorsi cinesi.  Sennonché, appunto, questa partita non la si può giocare solo in punto di diritto. Perché in ballo ci sono scelte di campo in un mondo che, anche intorno al 5G, s’avvia a dividersi in blocchi contrapposti che ricordano i decenni della Guerra Fredda.

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Le tensioni internazionali racchiuse in una stanza. Da un capo all’altro del tavolo, sfumature di vedute che potrebbero rendere precario l’equilibrio su cui l’Italia deve muoversi. D’altronde, che le decisioni relative al 5G abbiano soprattutto a che vedere con questioni di geopolitica, era chiaro a tutti i ministri che giovedì pomeriggio si sono ritrovati intorno a Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi. Perché, certo, gli scrupoli da giurista  che il premier ha esposto ai suoi interlocutori sono tutti fondati: ché in Italia la cultura del diritto esige le sue cautele, per cui procedere a un bando formale di Huawei dalla rete del 5G esporrebbe il governo  a possibili ricorsi cinesi.  Sennonché, appunto, questa partita non la si può giocare solo in punto di diritto. Perché in ballo ci sono scelte di campo in un mondo che, anche intorno al 5G, s’avvia a dividersi in blocchi contrapposti che ricordano i decenni della Guerra Fredda.

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Gli americani, si sa, hanno una tendenza a far coincidere la fedeltà con l’obbedienza: il rispetto dei patti, e di quello Atlantico su tutti, con atti di fede (e la visita del segretario di stato Mike Pompeo, nei giorni prossimi, confermerà questa tendenza). E insomma gradirebbero che tutti gli alleati europei seguissero la Gran Bretagna sulla strada dell’ostracismo dichiarato nei confronti di Huawei. E di qui deriva la fermezza che i ministri del Pd hanno manifestato nel corso della riunione: perché non si può ignorare, insistono Enzo Amendola e Lorenzo Guerini, che la scelta sul 5G si porta dietro questioni legate alla sicurezza nazionale, masse enormi di dati che non si può rischiare di regalare a chi, come Pechino, è considerato dai nostri supremi alleati un nemico inaffidabile. Insomma oltre a non essere solo un caso di giurisprudenza, non è neppure solo un caso di politica commerciale: dipendesse solo dalla convenienza di mercato, come mesi aveva evidenziato il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli, del M5s, forse l’azzardo andrebbe tentato, vista la conclamata superiorità della tecnologia cinese in materia.

 

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Cosa farebbero gli americani di fronte alla scelta del nostro governo di non precludersi la via cinese al 5G? E’ questa la domanda intorno a cui ruotano le convinzioni di chi, anche a livello di servizi d’intelligence, dice che non è ancora tempo di cedere del tutto alle richieste di Washington, che conviene coltivare ancora per un po’ un certo multilateralismo dal rischio calcolato. E insomma ecco che in questo garbuglio, le varie posizioni dei ministri si sono avvicinate: la ruvidità di Guerini s’è un poco ammorbidita, e anche le velleità residue di farsi ambasciatori di Pechino in Europa da parte di Luigi Di Maio, tutta quella sua pompa scriteriata intorno alla Via della Seta, è stata deposta. L’Italia rafforzerà il suo impianto normativo per rendere più efficiente il sistema di cybersicurezza, irrigidendo tra l’altro anche le prescrizioni nei confronti di Tim rispetto ai controlli che l’azienda dovrà fare sul suo utilizzo della tecnologia 5G di Huawei.

 

Ma al tempo stesso, occorre costruire un impianto europeo che sia in sintonia con quello dell’Italia, che consenta una eventuale ulteriore stretta sul colosso cinese. Proprio per questo Amendola ci ha tenuto a rinnovare le sue preoccupazioni alla vigilia di un consiglio europeo, quello del primo ottobre, in cui si discuterà anche di 5G, confrontandosi su una “cassetta degli attrezzi” comune da utilizzare a livello di stati nazionali. Perché in fondo, avere una strategia chiara a livello comunitario, servirà a tutelare l’Italia anche da un altro rischio che a questo punto – per noi che siamo apparsi come il ventre molle dell’imperialismo cinese in Europa prima che il cambio di governo portasse Palazzo Chigi a raddrizzare la barra – saprebbe di beffa: e cioè che, per riabilitarci agli occhi degli Usa, fossimo i più zelanti ad affidarci esclusivamente ai concorrenti “occidentali” di Huawei, e cioè Ericsson e Nokia, mentre altri paesi europei, come la Germania, potrebbero affidarsi, almeno in parte, anche alla migliore tecnologia cinese.

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