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Manine di forbice

Dopo Cottarelli arriva Laura Castelli. E non lo dice lei, ma lo ha deciso il governo

Carmelo Caruso

Viceministra dell'economia, afferra le deleghe alla spending review. I litigi con Giovanni Tria, lo sgomento dei commercialisti, la paralisi di Padoan di fronte alle sue parole. Ha vinto Laura Castelli. Ha convinto tutti che è una vera economista

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Non le hanno consegnato “solo” le deleghe, ma le hanno assegnato la sua laurea Bocconi: commercialista, onorevole, dottoressa Laura Castelli, da ieri viceministro alla spending review. In meno di cinque anni ha disarmato un professore finissimo come Pier Carlo Padoan, inseguito l’ex ministro Giovanni Tria (“dammi le deleghe, dammi le deleghe”), cercato di spiegare l’economia a Roberto Gualtieri che è il titolare dell’Economia. E ha avanzato proposte choc (“tassiamo le auto aziendali”), spaventato i percettori del reddito di cittadinanza: “Vi avverto! Se lo spendete all’Unieuro, la Guardia di Finanza farà accertamenti”. E’ servito del tempo (poco), ma alla fine il Pd ha riconosciuto i suoi meriti. Ha premiato la sua tenacia e ha mantenuto la promessa: “Noi non vogliamo posti di governo”. Il posto lo ha infatti avuto lei.

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Non le hanno consegnato “solo” le deleghe, ma le hanno assegnato la sua laurea Bocconi: commercialista, onorevole, dottoressa Laura Castelli, da ieri viceministro alla spending review. In meno di cinque anni ha disarmato un professore finissimo come Pier Carlo Padoan, inseguito l’ex ministro Giovanni Tria (“dammi le deleghe, dammi le deleghe”), cercato di spiegare l’economia a Roberto Gualtieri che è il titolare dell’Economia. E ha avanzato proposte choc (“tassiamo le auto aziendali”), spaventato i percettori del reddito di cittadinanza: “Vi avverto! Se lo spendete all’Unieuro, la Guardia di Finanza farà accertamenti”. E’ servito del tempo (poco), ma alla fine il Pd ha riconosciuto i suoi meriti. Ha premiato la sua tenacia e ha mantenuto la promessa: “Noi non vogliamo posti di governo”. Il posto lo ha infatti avuto lei.

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Anziché chiedere il rimpasto, dopo il successo delle regionali, il Pd lascia che sia Laura Castelli a mettere le mani nella pasta della spesa pubblica che è la farina di stato, il lievito che deve s-lievitare, la cifra mostruosa che Luigi Di Maio aveva promesso di recuperare: “Credeteci. Possiamo risparmiare 30 miliardi di euro”. In campagna elettorale l’aveva detta più grossa e garantito che i miliardi erano addirittura 50: non aveva ancora tagliato poltrone e doveva già tagliare le sue promesse. Se lui è il rettore della Collegno School of Economics, la Castelli è la professoressa ordinaria, la quota rosa Milton Friedman.

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Nata appunto a Collegno, in Piemonte, si è definita la “figlia del parastato” e anche la Castelli è una predestinata come Di Maio: addetta alla sicurezza negli stadi a Torino. E’ lo stadio la vera Ena del M5s. Da allora ha solo scalato. Da portaborse del consigliere regionale piemontese Davide Bono (per lo statuto del M5s non poteva neppure candidarsi in parlamento) è diventata sottosegretaria nel Conte I e viceministra nel Conte II che è quasi nulla rispetto all’importante missione per cui viene oggi incaricata.

 

Insieme alla spending review si occuperà di finanza degli enti locali, terrà i rapporti con le Agenzia delle Entrate e con l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Se continua così, tra un paio di mesi, anche Christine Lagarde verrà stracciata. E non si può certo dire che da viceministro non abbia idee. Il 21 aprile annunciava soluzioni straordinarie: “Perché non provare con il debito perpetuo? Titoli di debito emessi senza scadenza a tasso zero”. Prende insomma la poltrona dei taglia poltrone che in Italia è un catalogo di ambizioni e carriere altissime, uomini da Fondo Monetario Internazionale (Carlo Cottarelli), Banca Mondiale, Harvard, Mit (Roberto Perotti), società di consulenza di Chicago come la McKinsey (Yoram Gutgeld). C’è il declino di un obiettivo, il taglio della spesa, in questa declinazione di nomi che inizia da Cottarelli, nientemeno che premier incaricato prima di Giuseppe Conte, e finisce con Laura Castelli, la signora “questo lo dice lei”, che è la frase sgomento d’epoca, la coltellata alla competenza che paralizzò lo studioso Padoan.

 

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La forza della Castelli è riuscire a fare apparire il vuoto pieno, con lei il foglio bianco diventa inchiostro (simpatico). Non va sottovalutata ma temuta. Nell’aprile del 2019, da sola, stava per fare dimettere il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, tanto da fare scattare l’allarme al Quirinale, tremare Palazzo Chigi. In pratica, stavano per crollare i titoli italiani. Per ottenere la delega (ancora quella) che Tria non voleva per nessun motivo consegnarle, al punto da cambiare voce al telefono e nascondersi dietro alle piante quando la Castelli entrava nel suo ufficio, si racconta che ne inventò una delle sue.

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La sera prima del Cdm, che per l’occasione si teneva a Reggio Calabria e con Tria assente giustificato, non si sa ancora come, ma sui giornali del giorno dopo apparve la notizia: “Affidate le deleghe a Castelli e Garavaglia”. E sarebbero state le prime deleghe a insaputa del ministro. Tria chiamò il Quirinale che a sua volta chiamò Palazzo Chigi. Rocco Casalino cercò allora di calmare Tria che a sua volta veniva rassicurato dal leghista Massimo Garavaglia, altro sottosegretario (leghista) all’economia: “Caro ministro, stai tranquillo. Rinuncio anche io alle deleghe così è costretta a rinunciarci anche lei”. Quando i tecnici del ministero provavano (ma adesso neppure si permettono) a spiegarle che legiferare sul fisco non è la stessa cosa che lavorare in un Caf (dove si è formata) la Castelli rispondeva: “Questi sono dettagli”.

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Di fronte all’assemblea dei commercialisti, del resto, si presentò come fosse una di loro perché anche se “non sono una commercialista, ho lavorato in uno studio”. Alla domanda “uscirebbe dall’euro?” rispose “non so”. All’altra domanda: “Chi sta stampando le tessere del reddito di cittadinanza?” replicò: “Vedremo. Non è importante”. In parlamento si dice che ogni volta che parla la Castelli “nel mondo un economista muore”. Si ritiene ormai un tecnico, nessuno nel M5s si sente più preparato di lei. A furia di credere in se stessa è riuscita a fare credere a tutti di essere un economista.

 

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