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L'intervista

Eugenio Giani rottama Renzi: "Quella fase è finita"

In campagna elettorale gli davano del "turbo-renziano"

David Allegranti

Parla il neopresidente della Toscana. "A Matteo ho portato più di quanto ho ricevuto. Ma ne siamo usciti. Adesso è l'ora di un Pd inclusivo"

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Archivia la stagione del renzismo, Eugenio Giani, neo presidente della Regione Toscana, che in questa lunga intervista al Foglio ricorda le sue origini politiche socialiste, nate da ragazzino nella scuola di cultura politica fiorentina della fondazione Fratelli Rosselli, grazie agli insegnamenti di un maestro d’eccezione, Zeffiro Ciuffoletti, all’epoca suo insegnante di italiano alle medie.  “A Roma cercano sempre di dare etichette a tutti, ma valgono fino a un certo punto. Io sono il Giani e la stagione della rottamazione è finita”, dice Giani al Foglio prima di correre al Mandela forum per la festa con il segretario del Pd Nicola Zingaretti. “Adesso è l’ora del Pd inclusivo Giani-Zingaretti”, ci dice il presidente toscano, visibilmente ringalluzzito dalla vittoria elettorale: “Ora sto bene, cinque giorni fa meno. Anche se non ho mai avuto davvero paura. Certo, c’era la tensione da un lato ma dall’altro non ho mai temuto la sconfitta, perché vedevo la realtà e l’affetto di cui ero circondato; venivo bloccato per strada a Firenze, nella città che mi aveva incoraggiato a presentarmi già cinque anni fa. In più fuori, in giro per la Regione, c’erano una serie di sindaci che mi incoraggiavano”. 

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Archivia la stagione del renzismo, Eugenio Giani, neo presidente della Regione Toscana, che in questa lunga intervista al Foglio ricorda le sue origini politiche socialiste, nate da ragazzino nella scuola di cultura politica fiorentina della fondazione Fratelli Rosselli, grazie agli insegnamenti di un maestro d’eccezione, Zeffiro Ciuffoletti, all’epoca suo insegnante di italiano alle medie.  “A Roma cercano sempre di dare etichette a tutti, ma valgono fino a un certo punto. Io sono il Giani e la stagione della rottamazione è finita”, dice Giani al Foglio prima di correre al Mandela forum per la festa con il segretario del Pd Nicola Zingaretti. “Adesso è l’ora del Pd inclusivo Giani-Zingaretti”, ci dice il presidente toscano, visibilmente ringalluzzito dalla vittoria elettorale: “Ora sto bene, cinque giorni fa meno. Anche se non ho mai avuto davvero paura. Certo, c’era la tensione da un lato ma dall’altro non ho mai temuto la sconfitta, perché vedevo la realtà e l’affetto di cui ero circondato; venivo bloccato per strada a Firenze, nella città che mi aveva incoraggiato a presentarmi già cinque anni fa. In più fuori, in giro per la Regione, c’erano una serie di sindaci che mi incoraggiavano”. 

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E i sondaggi non la intimorivano? 

“I sondaggi indicano opinioni generali. Poi però c’è il radicamento territoriale. Quando un sindaco come quello di Caprese Michelangelo va, uno per uno, a dire ai suoi cittadini che ‘questo è bravo e ha lavorato per noi’, è evidente che questo sfugge ai sondaggi. Certo, la tensione in generale c’era, quando uscivano i sondaggi da Roma chiamavano per dire: ‘Oh, siamo in bilico’. Io però avevo il trascinamento personale”. 

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Chi la chiamava da Roma?  

“Chi aveva contatti con gli istituti demoscopici e gli opinionisti. Poi secondo me il centrodestra ha commesso un errore. La Lega ha fatto lo stesso sbaglio dell’Emilia-Romagna, con un’eccessiva invasione in campagna elettorale. Il centrodestra ha fatto la chiusura in piazza della Repubblica con i leader nazionali. Secondo me le chiusure si fanno con il candidato locale e i personaggi locali. Con me infatti c’erano Dario Nardella, Enrico Rossi, Paolo Hendel, Andrea Gori. E’ stata una chiusura di campagna elettorale toscana per la Toscana. Di là invece c’erano Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Antonio Tajani. Susanna Ceccardi è rimasta schiacciata dai leader nazionali e in una città come Firenze è scattato un effetto simile a quello dell’Emilia-Romagna. La gente ha capito che le decisioni sarebbero state prese a Roma dai segretari nazionali e che Ceccardi non avrebbe avuto nessuna autonomia”.

 

Anche il Pd però ha nazionalizzato la competizione, con gli appelli di Zingaretti ai valori democratici in gioco. 

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“Questo è vero, ma va tenuto conto che si parlava di una regione come la Toscana in cui questi valori - democrazia, antifascismo - si sentono. C’è una memoria forte. Se guardiamo le cartine degli eccidi, la Toscana ha avuto più di 4.500 persone uccise. Il senso di quella che è stata una dittatura, la sua violenza, ti rimane per generazioni. Questo spesso si sottovaluta. Ecco, il Pd nazionale ha giocato su questo. Io anche, ma ho calcato molto di più sui programmi. A Firenze, poi, è scattato l’orgoglio e l’affetto per la conoscenza del personaggio Giani. Ecco cosa intendo quando dico che il Giani è il Giani, una persona da sempre qui radicata. L’amore per la storia, per la cultura, per la fiorentinità e l’identità ha fatto scattare il meccanismo Giani, come dimostra l’affluenza altissima del 66,47 per cento nei quattro collegi fiorentini. A Firenze, intesa come Firenze e hinterland, ho preso il doppio della mia avversaria. Ho avuto tante dimostrazioni d’affetto. La gente sa chi sono e sa che mi sono fatto il culo”.

 

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Il Giani è insomma il Giani. Però le hanno dato di turbo-renziano.

 

“Io sono il Giani ma, attenzione, non sono uno che vuole fare la sua corrente, il suo gruppo. Quando entra in pista una personalità come la mia, si va oltre le appartenenze. Quanto a Matteo, è più quello che gli ho portato di quello che ho ricevuto”.

La stagione della rottamazione quindi è finita? 

 

“Sì, questa è la stagione dell’inclusività. E’ la stagione della politica del confronto e del dialogo, non della competizione. Non è più la stagione delle ansie”. 

 

Niente congresso per il Pd, insomma.

 

“Anche questa fase è finita: Zingaretti deve stare dove è stato eletto, come dice il regolamento, per 4 anni”.

Che messaggio arriva dalla Toscana per il Pd nazionale? 

 

“Bisogna continuare sulla strada di Zingaretti, quella di un partito inclusivo che non si divide sempre in più anime. Serve una coalizione larga, come ho fatto io. Se in Toscana si piglia il 35 per cento è perché la linea Giani-Zingaretti del partito inclusivo può raccogliere anche il mondo cattolico e il mondo liberale”.

 

Il centrosinistra può fare a meno dei cinque stelle, come dice anche la sua vittoria?

 

“Io sono stato sostenuto da un elettorato libero e magari chi l’altra volta ha votato Cinque stelle, di fronte al pericolo della sconfitta, ha votato Giani. Quindi con i Cinque stelle un dialogo aperto lo voglio tenere, all’interno dei lavori del consiglio regionale”.

 

A proposito di identità ed etichette, lei nasce come socialista nella Fondazione Fratelli Rosselli.

 

“Sì, e là dentro c’era anche Zeffiro Ciuffoletti. Prima che vincesse il concorso da ordinario all’università, era il mio insegnante di italiano alla scuola media. Era il post-sessantotto, era il 1971 e io avevo 13 anni. Zeffiro ci parlava di politica, di partecipazione. Fui io a recepirlo di più e per me Zeffiro fu fondamentale perché aderissi ai Fratelli Rosselli, di cui lui poi diventò presidente del circolo. Lo consideravo un maestro del pensiero riformista e socialista. E le idee liberali dei Fratelli Rosselli erano le mie idee. Con una variante: io sono rimasto anche credente, anche se non ho mai frequentato gruppi cattolici”.

 

S’arrabbia quando le dicono che sembra un mollaccione?

 

“È la mia identità. La mitezza è la virtà dei forti. Quando cerchi di essere una persona dialogante, secondo me è molto bello. Poi in realtà la forza arriva dalle tue convinzioni. Anche il Covid ha cambiato le cose. Prima del Covid, la società politica era competitiva. Adesso siamo passati a una società solidale. Sono passaggi della storia, questi, in cui per costruire serve solidarietà”.

Torniamo alla politica nazionale. Giuseppe Conte adesso è più stabile? 

 

“Lo è. Se poi lui stesso autogenererà un processo di aggiustamento, che comporti anche un rimpasto, ci può stare. Ma io non ho le competenze per parlare di questi argomenti. Mi occupo del governo della Toscana”.

 

Sarà molto diverso da quello di Enrico Rossi?

 

“Saranno i fatti a dirlo. Rossi nell’ultimo periodo l’ho vissuto molto vicino. Nel governo ci sono tante cose da migliorare, come tante da mantenere. Rossi ha gestito bene l’emergenza sanitaria”.

 

E la sanità ha bisogno di essere cambiata in Toscana?

 

“Ha bisogno di alcuni miglioramenti. La nostra riforma va rivista. Nelle Asl bisogna dare maggiori poteri ai responsabili dei presidi ospedalieri, che non possono essere più subordinati al direttore generale. Bisogna dare più poteri al direttore del distretto. Insomma, le esperienze locali sui territori devono avere maggiore autonomia. Di tutto questo ci occuperemo agli stati generali della sanità. Ma la sanità toscana in generale è ottima e Rossi alla prova del Covid ha lavorato bene”.

 

Senta presidente, circola l’ipotesi di Iacopo Melio come assessore della sua giunta. 

 

“Come criterio generale, ritengo che chi è alla prima legislatura è bene che faccia il consigliere, magari con qualche incarico specifico. E’ accaduto anche per me nei miei primi anni. Così uno può capire che cos’è il consiglio e si abitua a fare il consigliere. Poi arriva il momento della partecipazione in giunta. Come assessori preferisco dunque persone che abbiano già un’esperienza amministrativa. Non solo come consiglieri regionali ma anche nei Comuni. Questo come impostazione generale, poi comunque valuteremo”.

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