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Dopo le elezioni

Le regioni del nord al governo: "Fateci gestire i fondi del Recovery"

Tramonta però l'ipotesi di un governo largo di unità nazionale. Le urne rafforzano Zingaretti e Conte

Salvatore Merlo

Le regionali rafforzano l'asse nordista del centrodestra, quello più collegato ai settori produttivi del paese. Da Zaia a Toti, dal Piemonte alla Lombardia. Avanza la richiesta di coinvolgimento nella gestione dei 209 miliardi che l'Europa farà investire all'Italia. "Sarebbe assurdo tagliare fuori le imprese e le zone più attive dal punto di vista industriale". L'ipotesi che questo allargamento faccia nascere un nuovo governo di unità nazionale è tuttavia improbabile: Zingaretti e Conte sono usciti rafforzati dal voto

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Non  un atto di sabotaggio della maggioranza, ma una spinta all’allargamento che potrebbe anche trovare forza in questo post elezioni regionali in cui il partito governista del centrodestra – quello rappresentato da regioni e comuni – si rafforza col trionfo di Luca Zaia e la riconferma di Giovanni Toti in Liguria. Al momento  è ancora  poco più di una suggestione, un umore, ma in quei dedali sotterranei che collegano i settori produttivi e il governo delle regioni del nord (regioni di centrodestra per lo più) avanza una preoccupazione mista a speranza: partecipare alle decisioni che orienteranno l’utilizzo dei 209 miliardi di euro che il Recovery fund ha messo a disposizione dell’Italia. E’ impensabile – dicono alcuni leghisti in Lombardia, Liguria, Veneto e Friuli – che i progetti operativi del Recovery  siano gestiti per i maggiori importi dai ministeri dello Sviluppo e del Lavoro, in pratica dai ministri grillini Stefano Patuanelli e Nunzia Catalfo. E insomma “è impensabile”, dicono, che il più grande investimento di denaro pubblico che l’Italia abbia mai visto dal Dopoguerra a oggi passi sopra la testa delle regioni più produttive e venga orientato, al contrario, da un asse  che per ragioni ideologiche e politiche trova la sua constituency elettorale nel sud Italia e nel pubblico impiego. Il ragionamento cade ben accetto, specularmente, in quella parte della maggioranza (e in particolare del Pd, zona Stefano Bonaccini) che ancora  coltiva l’ambizione di parlare la lingua delle imprese e del lavoro, inteso questultimocome occasione di crescita e non di sussidio. E la Confindustria, per quel che pesa, lancia ovviamente messaggi di fumo che vanno nella medesima direzione. E allora cosa potrà accadere da stamattina, dopo le regionali?

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Non  un atto di sabotaggio della maggioranza, ma una spinta all’allargamento che potrebbe anche trovare forza in questo post elezioni regionali in cui il partito governista del centrodestra – quello rappresentato da regioni e comuni – si rafforza col trionfo di Luca Zaia e la riconferma di Giovanni Toti in Liguria. Al momento  è ancora  poco più di una suggestione, un umore, ma in quei dedali sotterranei che collegano i settori produttivi e il governo delle regioni del nord (regioni di centrodestra per lo più) avanza una preoccupazione mista a speranza: partecipare alle decisioni che orienteranno l’utilizzo dei 209 miliardi di euro che il Recovery fund ha messo a disposizione dell’Italia. E’ impensabile – dicono alcuni leghisti in Lombardia, Liguria, Veneto e Friuli – che i progetti operativi del Recovery  siano gestiti per i maggiori importi dai ministeri dello Sviluppo e del Lavoro, in pratica dai ministri grillini Stefano Patuanelli e Nunzia Catalfo. E insomma “è impensabile”, dicono, che il più grande investimento di denaro pubblico che l’Italia abbia mai visto dal Dopoguerra a oggi passi sopra la testa delle regioni più produttive e venga orientato, al contrario, da un asse  che per ragioni ideologiche e politiche trova la sua constituency elettorale nel sud Italia e nel pubblico impiego. Il ragionamento cade ben accetto, specularmente, in quella parte della maggioranza (e in particolare del Pd, zona Stefano Bonaccini) che ancora  coltiva l’ambizione di parlare la lingua delle imprese e del lavoro, inteso questultimocome occasione di crescita e non di sussidio. E la Confindustria, per quel che pesa, lancia ovviamente messaggi di fumo che vanno nella medesima direzione. E allora cosa potrà accadere da stamattina, dopo le regionali?

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Nella maggioranza, non da oggi, c’è chi attendeva l’esito delle elezioni regionali per proporre esplicitamente un rimpasto di governo: un po’ ci conta Luigi Di Maio e un po’ lo chiedono gli ex ministri del Pd tra cui Andrea Orlando e Graziano Delrio. E nell’opposizione – qui e là – si fanno ormai ragionamenti “entristi”, seppur con sfumature diverse, e in luoghi ben lontani  dalle segreterie di Lega e FdI. C’è chi ipotizza un coinvolgimento diretto delle regioni nella progettazione intorno al Recovery e c’è chi si spinge fino a immaginare addirittura un nuovo governo, un governo di salute pubblica, allargato. Un governo con tutti dentro o con tutti fuori. In pratica, o un governo di unità nazionale con i segretari (premier Roberto Gualtieri) o un governo puramente tecnico per la gestione ottimale dei 209 miliardi europei Mes compreso (premier Mario Draghi?). Scenari  tuttavia complicati per un’innumerevole quantità di motivi, non ultimo il fatto che queste elezioni non sono andate poi così male per il centrosinistra. Anzi, Zingaretti pare uscirne rafforzato e di conseguenza anche Conte.  Ma soprattutto pesano i calcoli di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. I due leader della destra avrebbero difficoltà enormi a spiegare le ragioni di una partecipazione, anche solo per “responsabilità”,  a quei “follower” che si abbeverano quotidianamente alla propaganda delle varie bestie e bestioline social. Più probabile allora una via soft, una forma di cogestione da immaginare, e che passi attraverso la “mediazione” dell’ala nordista del Pd. Chissà. Ne ha parlato più volte anche Giuseppe Conte, da ultimo nella sua intervista al Foglio dello scorso 8 settembre, anche se in termini molto generici.   

D’altra parte, almeno fino a ieri, i discorsi riservati che si sentivano fare in alcuni gabinetti ministeriali retti dai democratici assomigliavano a quelli che si sentono fare in Veneto, Lombardia, Liguria, Piemonte e Friuli: eccessivo il peso di Patuanelli e Catalfo, scarsa la capacità di accentrare manifestata da Palazzo Chigi, ridottissimi i margini d’intervento del ministro dell’Economia Gualtieri, il quale ha già il suo bel da fare nel regolare i cordoni della Borsa e non gli si può certo chiedere di occuparsi anche della “progettazione” intorno all’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery (e del Mes).  E insomma tutti si aspettano che qualcosa possa succedere nelle prossime settimane.  Voci di corridoio tra il Nazareno e Palazzo Chigi confermano che in realtà nessuno dei progetti di utilizzo del Recovery è definitivo. E che non esiste una deadline ad aprile. I tempi, dicono, saranno più lunghi. Lo spazio di manovra c’è.  Non solo l’opposizione andrà coinvolta, ma una parte dell’opposizione lo pretende ed è sostenuta da una constituency che coincide con i settori produttivi del paese, quelli che ieri hanno portato Zaia in trionfo, confermando che il presidente del Veneto è  più forte del partito che lo esprime.

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