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Ragioni non populiste per riformare la costituzione. Quattro motivi per dire sì al referendum

Luca Diotallevi

Ogni nostra scelta dipende dall'identità o dalla responsabilità. Cosa succede se prevale la seconda? Più larga sarà la vittoria dei sì e più chiaro l'errore dei suoi promotori

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Ciro il Grande non era un santo, però decise di liberare il popolo eletto. Non sarebbe saggio giudicare Ciro per questo suo solo gesto e non sarebbe saggio giudicare questo gesto per il suo autore.

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Ciro il Grande non era un santo, però decise di liberare il popolo eletto. Non sarebbe saggio giudicare Ciro per questo suo solo gesto e non sarebbe saggio giudicare questo gesto per il suo autore.

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Di fronte a un'alternativa, ogni nostra scelta può dipendere dalla identità o dalla responsabilità. Nel primo caso quello che conta è la qualità dei protagonisti, nel secondo il valore dei diversi effetti di ciascuna delle scelte possibili. Il codice identitario produce risposte meramente reattive (passive e subalterne), il codice della responsabilità cerca di evitarle. La responsabilità non si accontenta né di sospetti né di dispetti.

 

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Il 20 e il 21 settembre potremo scegliere se votare “sì” o “no” a un taglio di parlamentari proposto dal fronte “sovranista” e “populista” che ha governato per un anno e che da un anno è, ma solo per metà, all’opposizione. Se lascia prevalere il codice dell’identità, un anti-sovranista e anti-populista dovrebbe opporsi al “taglio”.

 

E se invece lascia prevalere il codice della responsabilità?

 

1. In democrazia rappresentanza non significa somiglianza (tra eletto ed elettore), ma responsabilità (dell’eletto verso l’elettore). In democrazia, cioè, c’è rappresentanza nella misura in cui c’è imputabilità personale dell’agire politico dell’eletto da parte dell’elettore. Qualcuno mi rappresenta se e tanto più quanto più ho a disposizione strumenti per sanzionare o premiare il suo operato politico al termine temporale del mandato. Soprattutto se ci si muove in un contesto di legge elettorale proporzionale, i partiti (o simili) tendono a sottrarsi al controllo degli elettori e a sottrarre agli elettori la scelta ed il controllo sugli eletti. (Chi ha vissuto la Prima Repubblica lo sa bene, chi vive oggi sta pagando i costi di quel regime.) A parità di altre condizioni, la riduzione del numero dei parlamentari comporta il fatto che per essere eletti si debba prendere più voti di prima, ovvero molti di più di quelli che un partito (o simili) può controllare. Con il “taglio” gli eletti debbono temere un po’ più gli elettori ed un po’ meno i “capi bastone”. Per un capo-partito (o equivalente) diventa più difficile e meno conveniente “possedere” un parlamentare, perché uno “schiavo” politico attira meno voti.

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2. Se i parlamentari decrescono di numero, per ciò stesso aumentano di peso politico. Questo significa che chi li vota, o non li vota, conta di più anche nelle dinamiche interne alle organizzazioni politiche e questo non è affatto un male per la democrazia. Veniamo da anni in cui la maggioranza dei leader politici si è tenuta al riparo dal giudizio degli elettori (Grillo e Casaleggio sono solo due esempi).

 

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3. Quando le democrazie funzionano, per vincere (arrivare al 50 per cento + 1) occorre ottenere il consenso del “centro”, ovvero di quella relativamente piccola parte dell’elettorato meno soggetta a mode o idoli, quella che non vota per abitudine. Se tagli il numero degli eletti, cresce la importanza del “centro” perché conquistare il “centro” diventa un po’ più importante per ciascuno dei candidati. Con ciò diventa sempre meno praticabile la strategia di cui Togliatti fu maestro e Bettini più recente tra gli emuli: delegare a qualche formazione satellite il compito di illudere gli elettori “centrali”.

 

4. Infine, si dice: il taglio dei parlamentari è una “riforma parziale”. Qualcuno è in grado di proporre riforme organiche? Anche la proposta renziana bocciata nel 2016 era molto parziale, ma se gli elettori italiani se ne fossero accontentati, oggi staremmo molto, ma molto meglio.

 

Insomma, ci sono buone ragioni per votare “sì” il 20 e 21 settembre. E se si è anti-populisti e anti-sovranisti ce ne sono ancora di più. Votare “no” per dispetto, per ostilità ai proponenti, implica anche qualcosa di sottile e pericoloso. Implica supporre che i capi sovranisti e populisti siano infallibili; implica escludere che per sbaglio abbiano fatto una proposta che potrebbe ritorcersi contro. Che ne sarà dei Cinque Stelle quando avranno meno seggi da offrire? Come spiegare l'imbarazzata recente freddezza di Salvini sul “taglio”? Dove troveranno, gli uni e gli altri, persone credibili capaci di prendere più voti e più voti “centrali”? Tanto più larga sarà la vittoria dei “sì” quanto maggiore sarà l'evidenza che con essa i suoi promotori hanno compiuto un (altro) errore madornale.

 

Dopo 2.500 anni di Ciro c’è traccia solo nei musei, mentre il popolo di Israele è vivo e vitale. 2.500 anni fa sarebbe stato saggio opporsi alla sua decisione di liberare Israele solo perché era stato quel brutto ceffo a prenderla?

 

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