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grillismo a pezzi

"Nel M5s fanno antimafia di comodo sulla pelle dei testimoni di giustizia". Parla Piera Aiello

Valerio Valentini

La deputata siciliana, arrivata alla Camera dopo anni di programma protezione, abbandona il M5s. "Crimi e Bonafede hanno usato la mia storia per fare propaganda. Non ci sto più"

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Roma. L’unica cosa che adesso non accetta che le si rimproveri, è la testardaggine. “Perché lo sapevano bene, con chi avevano a che fare”, dice Piera Aiello, la deputata trapanese eletta alla Camera col M5s, e che dal M5s è uscita tre giorni fa. “Non l’ho chiesto io, di essere candidata. E la mia storia la conoscevano tutti”. La storia, cioè, di una ragazza di Partanna che a diciott’anni sposa il figlio del boss del paese, e che sei anni dopo – nel 1991 – se lo vede ammazzare sotto gli occhi, e decide di non tacere, di confessare, di diventare una testimone di giustizia. Cambiando identità, rinunciando a un pezzo della sua vita. “E ora non accetto che i miei trent’anni di lotta alla mafia vengano buttati nel gabinetto per assecondare le regole di un Movimento che non sta più in piedi, coi gruppi parlamentari ridotti a un’accozzaglia di piccole comitive che si riconoscono ciascuna in un sedicente capo-corrente. Se Vito Crimi e Alfonso Bonafede pensano di poter proseguire con questa loro antimafia di comodo, giocando con la vita e con la morte delle persone per pure esigenze di propaganda, io non abbasserò la testa”.

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Roma. L’unica cosa che adesso non accetta che le si rimproveri, è la testardaggine. “Perché lo sapevano bene, con chi avevano a che fare”, dice Piera Aiello, la deputata trapanese eletta alla Camera col M5s, e che dal M5s è uscita tre giorni fa. “Non l’ho chiesto io, di essere candidata. E la mia storia la conoscevano tutti”. La storia, cioè, di una ragazza di Partanna che a diciott’anni sposa il figlio del boss del paese, e che sei anni dopo – nel 1991 – se lo vede ammazzare sotto gli occhi, e decide di non tacere, di confessare, di diventare una testimone di giustizia. Cambiando identità, rinunciando a un pezzo della sua vita. “E ora non accetto che i miei trent’anni di lotta alla mafia vengano buttati nel gabinetto per assecondare le regole di un Movimento che non sta più in piedi, coi gruppi parlamentari ridotti a un’accozzaglia di piccole comitive che si riconoscono ciascuna in un sedicente capo-corrente. Se Vito Crimi e Alfonso Bonafede pensano di poter proseguire con questa loro antimafia di comodo, giocando con la vita e con la morte delle persone per pure esigenze di propaganda, io non abbasserò la testa”.

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E dire che nel M5s, Piera Aiello c’aveva creduto. “Fu Ignazio Corrao a contattarmi, per il tramite di uno dei miei legali. Era la fine del 2017, mancava meno di un mese alla chiusura delle liste. Ci pensai, e ne parali con mio marito e poi con mia figlia”. Alla quale Piera Aiello dovette innanzitutto spiegare chi era, sua madre. Perché anche il nome che era il suo, e che suo è tornato a essere dopo l’elezione a Montecitorio, non era quello che la sua bambina conosceva. “Lei ha sempre creduto che fossi l’altra, quella con l’altro nome”. Il nome, cioè, che le era stato attribuito dallo stato dopo che lei era entrata nel programma di protezione. “Feci una settimana di campagna elettorale, non di più. E la feci a volto coperto, perché ancora non era chiaro se avrei potuto davvero rivelare la mia vera identità. E però quello, in quel momento, mi sembrò il modo migliore di proseguire la mia battaglia”.

 

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Quella, cioè, per i diritti dei collaboratori e i testimoni di giustizia. “Entrai alla Camera con grandi motivazioni. Mi sentivo un po’ in soggezione, in quella commissione Giustizia dove erano quasi tutti avvocati, esperti del diritto. Poi presi coraggio e, con l’aiuto di alcuni giuristi, presentai due leggi. Una proprio sui testimoni e i collaboratori”.

 

Ed è qui che iniziano i problemi. “Perché quel mio testo è stato depositata e discussa dalla Giustizia. Poi però è stato accantonato, rinviato, insomma insabbiato”. I colleghi di commissione che dicono? “Alcuni mi hanno supportato, ma in quel gruppo è difficile discutere. Ci sono due o tre animelle, due o tre zerbini dai Alfonso Bonafede, che evidentemente sperano in chissà quale futura promozione e che riferiscono al ministro ogni lamentela, segnalano le voci critiche”. Il mito dell’onestà che si nutre della cultura della delazione, del sospetto. “Appena ho annunciato il mio abbandono, mi sono ritrovata con delle truppe organizzate sui social che mi lanciavano ogni ingiuria, mi accusavano di volermi tenere i soldi. Perché alla fine è sempre quella la minaccia che agitano dall’interno contro chi esprime dissenso: dire che i ribelli vogliono solo evitare di restituire una parte dello stipendio. Ebbene, io ho deciso che le mie donazioni d’ora in poi andranno ad associazioni attive nel sociale, e non alla srl di Casaleggio. Peraltro, constato che a noi ci fanno le radiografie, invece Rousseau non rendiconta mai nulla: i parlamentari del M5s versano 300 euro al mese alla piattaforma, ma non sanno affatto come vengano impiegati. Ho anche scritto ai probiviri, sei mesi fa, per capirlo”. Risposta? “Nessuna. Però quegli stessi probiviri sono stati assai solerti a inviarmi una lettera di diffida non appena ho annunciato che stavo per uscire dal M5s. E lo hanno fatto con una mail anonima, non firmata. Di quel collegio fa parte anche la ministra Dadone. Che firma lettere anonime”.

 

E Crimi? “Lui sarebbe il mio principale interlocutore, per le leggi che porto avanti, visto che è sottosegretario al ministero dell’Interno che gestisce il programma di protezione dei testimoni di giustizia”. E invece? “E invece all’inizio mi forniva indicazioni vaghe. Poi, quando ha capito che non mi bevevo le giustificazioni che mi dava, ha smesso perfino di rispondermi. Quando gli è stata assegnata la delega specifica al programma di protezione, ha perfino evitato di dirmelo. L’ho dovuto rincorrere. Ora basta: proseguirò la mia battaglia dal Misto. A me, come a tanti altri professionisti candidati negli uninominali, c’hanno usato in campagna elettorale, si sono presi i nostri voti e poi ci hanno parcheggiato a schiacciare bottoni”.

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