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Corsi e ricorsi

Regionali fatali. Lo spettro di D'Alema che aleggia su Conte (e Zingaretti)

Salvatore Merlo

Per quel voto il conte Max nel 2000 perse il governo. “Politicizzammo le elezioni locali. Un errore”. Le faide dei lothar con Veltroni e Prodi, e gli errori che i giallorossi potrebbero ripetere

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Roma. Fu il cinquantacinquesimo governo della Repubblica Italiana, ricorda Wikipedia, il terzo della XIII legislatura. Rimase in carica dal 22 dicembre 1999 al 26 aprile 2000, per un totale di 126 giorni, ovvero 4 mesi e 4 giorni. Ma perché così poco? “Perché ci furono le elezioni regionali, le perdemmo, e quel giorno fatidico D’Alema mi telefonò alle sette del mattino: ‘Non c’è più niente da fare. Dobbiamo mollare tutto’”, dice Claudio Velardi mentre rievoca, come fosse ieri, quel clamoroso disastro di vent’anni fa, quella sconfitta che ha dato origine alla maledizione delle elezioni regionali, per qualsiasi governo, da allora in poi. Il governo Conte sta per consegnarsi allo stesso destino? “Le regionali sono come i fili dell’alta tensione”.

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Roma. Fu il cinquantacinquesimo governo della Repubblica Italiana, ricorda Wikipedia, il terzo della XIII legislatura. Rimase in carica dal 22 dicembre 1999 al 26 aprile 2000, per un totale di 126 giorni, ovvero 4 mesi e 4 giorni. Ma perché così poco? “Perché ci furono le elezioni regionali, le perdemmo, e quel giorno fatidico D’Alema mi telefonò alle sette del mattino: ‘Non c’è più niente da fare. Dobbiamo mollare tutto’”, dice Claudio Velardi mentre rievoca, come fosse ieri, quel clamoroso disastro di vent’anni fa, quella sconfitta che ha dato origine alla maledizione delle elezioni regionali, per qualsiasi governo, da allora in poi. Il governo Conte sta per consegnarsi allo stesso destino? “Le regionali sono come i fili dell’alta tensione”.

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E lui c’era, Velardi, assieme a gli altri, con Gianni Cuperlo, Nicola Latorre, Pasquale Cascella e Marco Minniti (“anche se Minniti non faceva parte dello staff, era un politico… sebbene comunque la stanza più bella a Palazzo Chigi me l’ero presa comunque io”) . Erano i moschettieri attorno ai baffi, non del re Sole ma del re Max, D’Alema appunto, anni diessini, anni riformisti, ambizioni e qualche delirio, quando D’Alema duellava con Veltroni, fratelli coltelli (a proposito: Veltroni oggi è Di Maio e D’Alema è Conte? “Un po’ di rispetto per Walter e Massimo, prego”). I lothar, così li chiamavano, avevano trasformato Palazzo Chigi nel centro propulsivo della campagna elettorale. Cuperlo alla regia, Latorre che valutava provvedimenti che andavano portati nelle regioni, Cascella che dislocava i ministri nelle piazze e nei comizi, “ogni due ore stavamo a telefono con quelli dei sondaggi… una cazzata pazzesca”. Quale? “Politicizzare le elezioni regionali. Un disastro che D’Alema suggellò con una dichiarazione avventata, diciamo”. E qual era la frase? “Vinciamo 9 a 6”. Spavaldo come sempre. “In effetti mi pare che finì 9 a 6. Ma per gli avversari”. 

 

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E certo la fortuna di Conte, Franceschini e Zingaretti è di non essere proprio riusciti (non ancora almeno) a politicizzarle queste regionali. Come se il destino si fosse incaricato di salvarli. “E dire che ci hanno provato”, ride Claudio Velardi. Ci hanno provato in ogni modo a consegnarsi alla maledizione di D’Alema. E infatti, come Massimo finì con il collegare il voto delle regionali al gradimento intorno al suo governo (“che era già indebolito dalla lotta con Veltroni e dalle ambizioni di Prodi”, un po’ come Conte è indebolito dalle trame di Di Maio), così, allo stesso modo, il Pd e i Cinque stelle, inseguendo la cosiddetta alleanza organica, tentano con pervicacia di sottoporre al gradimento popolare la loro coabitazione in Parlamento e al governo del paese. “Una cazzata pazzesca”. Per fortuna però non ci riescono. “L’alleanza di fatto non esiste”. Pd e M5s non corrono insieme praticamente da nessuna parte. Salvati dunque dal destino, dalla fortuna, o forse da una certa provvidenziale incapacità ben distribuita nelle classi dirigenti dei due partiti.

 

“Noi invece eravamo proprio bravi”, disastrosamente bravi, ride Velardi, mentre sospeso tra ironia e rimpianto descrive la trasformazione fisica e operativa che il gruppo intorno a D’Alema aveva attuato su Palazzo Chigi, sulle stanze del governo, sull’intera macchina posta ai piedi del presidente del Consiglio: “Avevamo schierato tutto il governo in campagna elettorale. Ogni azione veniva pensata in funzione di quell’appuntamento. E pensavamo anche di stare facendo molto bene, mentre di fatto facevamo coincidere D’Alema con il voto delle elezioni locali e preparavamo il terreno per il disastro”. Il parallelo con oggi è arduo, ma non impossibile. Debolezze ieri, debolezze oggi, perché “le regionali furono la mazzata decisiva su un governo consumato dall’interno”, dice Velardi.

 

Oggi c’è Di Maio, ci sono le bizze di Casaleggio, le ambizioni di Orlando e quelle di Bonaccini, gli uni vogliono fare le scarpe a Conte e gli altri vogliono mettersi il soprabito di Zingaretti. E per soprammercato c’è pure il Covid, la scuola, la Azzolina, il rimpasto… “Mi ricordo che Veltroni addirittura sabotava la campagna elettorale di D’Alema, aveva i suoi piani, seguiva un’altra orbita. Ci fece fare una serie di candidature sbagliate e deboli. Mi ricordo che pretese di piazzare Nuccio Fava capolista in Calabria. E quello, Fava, non aveva nessuna voglia di fare la campagna elettorale, addirittura se ne scappò”. Come se ne scappo? “Non lo trovavamo più”. Insomma tutto partiva malissimo. “E c’era pure Prodi che assieme ad Arturo Parisi ormai stava maturando il progetto dell’Asinello, ve lo ricordate? Le regionali furono solo il colpo di grazia”. Passaste una notte insonne sugli exit poll. “No perché sia io sia D’Alema abbiamo sempre avuto l’abitudine di andare a letto fregandocene”. Spavaldi, ancora una volta. Però la mattina dopo, com’è che si dice? “La sera leoni, la mattina…”. Velardi è spiritoso.

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