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Liberisti per Fortnite

Claudio Cerasa

La lezione di Epic Games che si oppone allo strapotere degli store di Apple e Google è molto più che una lagna populista: i monopoli non si combattono con le carte bollate, ma investendo su innovazione e alternative di mercato. Chiedete ai vostri figli

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Per molti di noi, per molti di noi genitori, il nome Fortnite, almeno fino a oggi, non ha fatto altro che coincidere con una serie di angosce costanti, tipiche di quei millennial trasformatisi lentamente in piccoli cloni dei boomer.

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Per molti di noi, per molti di noi genitori, il nome Fortnite, almeno fino a oggi, non ha fatto altro che coincidere con una serie di angosce costanti, tipiche di quei millennial trasformatisi lentamente in piccoli cloni dei boomer.

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Fortnite, almeno fino a oggi, quello era: un incomprensibile ma accattivante videogioco di guerra, senza però spargimenti di sangue, ingurgitato dai nostri figli con la stessa preoccupante velocità con cui d’estate si ingurgitano i bicchieri di sangria. Fino a oggi, Fortnite quello era: una costante fonte di preoccupazione per tutti quei genitori che non hanno resistito alla tentazione, negli ultimi mesi, di concedere ai propri figli, specie nella stagione del distanziamento coatto, qualche ora in più di tempo sulle proprie console (si chiamano ancora così?).

 

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Fortnite, per chi non lo sapesse, è uno dei videogiochi più famosi e diffusi al mondo (in questo momento, mentre state leggendo questo articoli, gli utenti attivi sono 340 milioni) e chiunque abbia un figlio tra gli 8 e i 18 anni sa perfettamente cosa significhi passare buona parte delle giornate a discutere di parole incomprensibili come “skin”, “pass battaglia”, “salva il mondo”, “modalità Creativa”, “battaglia reale”.

   
 
La ragione per cui oggi vi parliamo di Fortnite – e la ragione per cui per una volta questa parola suscita in noi genitori un sentimento più di conforto che di sconforto – forse la conoscete ma vale la pena di sintetizzarla per capire in che senso il videogioco più famoso del mondo potrebbe offrire alle classi dirigenti del pianeta una lezione mica male su un tema cruciale: combattere i monopoli non soltanto con le carte bollate. La storia è questa: Epic Games, la società che produce Fortnite, ha fatto causa qualche giorno fa ad Apple e a Google per la percentuale che le due aziende raccolgono sui pagamenti fatti attraverso le proprie app.
 
L’accusa mossa da Epic Games è legata alla fee eccessiva che sia Apple sia Google richiedono per ogni acquisto fatto con i loro sistemi di pagamento (trattengono percentuali che arrivano fino al 30 per cento, contro una quota del 5 per cento circa di PayPal e Visa). Fornite, in realtà, è un gioco gratuito ma le varie funzioni che contiene sono a pagamento (nel 2019 ha registrato ricavi pari a 1,8 miliardi di dollari). Per questa ragione, essendo i ricavi legati ai pagamenti che avvengono prevalentemente attraverso gli store di Apple e Google, ha deciso, per la gioia dei nostri figli, di annunciare l’introduzione di un proprio servizio di pagamenti alternativo a quelli di Apple e Google, con costi più bassi, eliminando cioè la percentuale del 30 per cento precedentemente trattenuta (nel corso di quest’anno, Apple ha generato circa 15,3 miliardi di dollari di entrate attraverso gli app store, Google 8,3 miliardi).
 
 
Risposta di Apple e Google: via Fortnite dai nostri negozi di app. L’idea di Epic Games è chiara ed è interessante: i monopolisti, o presunti tali, non si sfidano solo in tribunale (le cause contro Apple e Google sono state depositate in un tribunale della California) ma anche offrendo alternative nel mercato. A voler leggere questa storia in modo superficiale, si potrebbe dire che in realtà Epic Games non fa altro che pagare lo scotto del monopolio di fatto costituito sulla rete da Apple e Google.
 
Ma la storia è in realtà molto più interessante rispetto a come è stata raccontata in questi giorni e offre un punto di osservazione diverso dalla solita lagna tecnofobica, che ai nostri figli risulterà più evidente rispetto a noi genitori. In sintesi: Epic Games – società partecipata da Sony e anche dai cinesi di Tencent – non sta semplicemente mettendo in evidenza un vizio del monopolista, ma lo sta sfidando in campo aperto, sul mercato, offrendo ai propri utenti non solo la lagna ma anche un’alternativa che potrebbe fare concorrenza sia a Google Store sia ad Apple Store.
 
 
La mossa di Epic Games non nasce dalla semplice volontà di convincere Google e Apple a trattare il loro monopolio di mercato con una logica diversa, ma nasce anche dalla consapevolezza che il malcontento che esiste nel mondo delle imprese nei confronti di Google ed Apple può aprire le porte a un terzo polo degli store a cui sarebbe interessato anche qualche soggetto persino più pesante di Fornite: da Facebook a Spotify passando per Netflix (Spotify, il servizio di streaming online, lo scorso anno ha già presentato un reclamo presso la commissione Antitrust dell’Unione europea).
 
Lezione della storia? L’ex capo dell’Antitrust italiano, Giovanni Pitruzzella, la sintetizza così: “Un rigoroso enforcement Antitrust è fondamentale per il buon funzionamento dei mercati digitali, evitando che l’innovatore di ieri divenuto monopolista crei barriere all’ingresso del nuovo innovatore. Innovazione più concorrenza sono l’anima dei mercati digitali”.
 
 
In sostanza: la concorrenza può essere garantita solo da regole certe, ma prima di chiedere agli Antitrust mondiali di portare avanti battaglie populiste contro i presunti cattivoni della Silicon Valley bisognerebbe chiedersi se per sfidare i monopoli non sia sufficiente, prima ancora delle carte bollate, investire sull’innovazione e sulla creatività per creare delle alternative. Per una volta, viva Fortnite!
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