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Milano gli sta stretta, e ora Sala ha Roma nel cuore. Pensa al governo

Maurizio Crippa

Il sindaco incontra Grillo, guru instabile. E vuole che si sappia. Per gli industriali è una tentazione ma nel Pd sorridono

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Milano. Se accarezzi il pensiero, già da tempo, di fare il passo verso Roma (premier lo dicono i giornali, ma lasciali dire: le suggestioni estive sentono echi di conchiglia, che non mentono), forse andare al mare con l’amico Beppe Grillo, guru instabile, non è partire col piede giusto. Beppe Sala lo sa, e ieri s’è affrettato in un tweet a smorzare: “Abbiamo parlato di tante cose ma non di ciò a cui tanti pensano e cioè delle elezioni milanesi”. In realtà molti pensavano ai rimpasti romani, ma tant’è. Non è il piede giusto con cui partire perché Grillo è oggi un marinaio in mezzo alla burrasca del suo movimento esploso in tante correnti che manco la Dc, e il fu Garante della rivoluzione è ora strenuo garante della stabilità di governo rossogiallo, sulla cui tolda sta Giuseppe Conte, con consensi di popolo possenti. Ma il pensiero romano Sala ce l’ha, Milano è stretta. E i sassolini che segnano la via ci sono.

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Milano. Se accarezzi il pensiero, già da tempo, di fare il passo verso Roma (premier lo dicono i giornali, ma lasciali dire: le suggestioni estive sentono echi di conchiglia, che non mentono), forse andare al mare con l’amico Beppe Grillo, guru instabile, non è partire col piede giusto. Beppe Sala lo sa, e ieri s’è affrettato in un tweet a smorzare: “Abbiamo parlato di tante cose ma non di ciò a cui tanti pensano e cioè delle elezioni milanesi”. In realtà molti pensavano ai rimpasti romani, ma tant’è. Non è il piede giusto con cui partire perché Grillo è oggi un marinaio in mezzo alla burrasca del suo movimento esploso in tante correnti che manco la Dc, e il fu Garante della rivoluzione è ora strenuo garante della stabilità di governo rossogiallo, sulla cui tolda sta Giuseppe Conte, con consensi di popolo possenti. Ma il pensiero romano Sala ce l’ha, Milano è stretta. E i sassolini che segnano la via ci sono.

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Non è un mistero che il sindaco di Milano ci pensi da tempo, al grande salto. E non soltanto perché lo ha fatto capire più volte, dentro e fuori dell’inner circle. Un po’ legittima ambizione, un po’ avere esperienza di manager pragmatico e idee sviluppiste (il green, le grandi città: temi che coltiva da molto prima che andassero di moda) e rapporti internazionali che la carriera, Expo e Palazzo Marino hanno consolidato. Un po’ intuire che la finestra d’opportunità è adesso, a 62 anni e mentre la politica resta magmatica. E ben vedendo che un leader che rappresenti un campo progressista meno minato e ingessato del Pd, e in grado di far sentire le ragioni del nord produttivo, in un governo sbilanciato tra il Lazio e il sud, è quello che servirebbe. 

 

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E allora Grillo. Del resto, che su certi temi poteva essere un interlocutore della sinistra, lo aveva detto quando ancora Grillo era il nemico giurato del Pd. E ora invece è partner di governo. Ma il M5s, nei fatti, potrebbe essere più utile se Sala decidesse di ricandidarsi a Milano (e non è escluso: perché se il cuore è a Roma, la ragione dice Milano). I Cinque stelle in città hanno pochi numeri e sono del genere governativo-ragionevole, i rapporti distesi da sempre. Non un endorsement, ma un patto di desistenza al ballottaggio rientra in una logica che sta bene a tutti. Compreso il Pd. Perché la partita sarà dura.

 

Ma oltre Grillo c’è di più. Sala, con la sua aria da pragmatico, è uno che ama inseguire le idee e cercare sentieri che, se si intersecano, lo fanno all’infinito. Ha scritto un libro sul ruolo della società civile e di un necessario “socialismo”. Segue da vicino e da tempo un progetto come l’Alleanza civica del nord, un progetto politico, più che altro manifestazione di intenti, tra un nuovo localismo riformista e la collaborazione tra amministratori fuori dalla gabbia dei partiti. Con un occhio di riguardo anche alla galassia dispersa dei gruppi ecologisti e dei riformisti lib-lab. E’ stato tra i primi a fiutare il fenomeno (poi s’è sgonfiato) delle sardine. Ha un buon rapporto col presidente Mattarella, con parigrado sindaci internazionali, con l’influente chiesa ambrosiana e gode di buona stampa. E poi c’è la faccenda del nord. Il nord che si sente, con qualche ragione, sottorappresentato da un governo così attento, e non che la cosa sia in sé male, al meridione e alle sue basi elettorali: che sono quanto di più lontano dalla finanza, dalle Pmi, dalle partite Iva. Un mondo che dal nuovo potere bancario alla nuova Confindustria a trazione Bonomi sarebbe contento di trovare il pivot di una piattaforma “nordista”. Un ruolo che nessuno a sinistra (di là c’è la Lega di Luca Zaia) oggi incarna. Che poi significa soltanto pro mercato. Sono i sassolini bianchi che indicano un sentiero, e che solleticano il sindaco. Ma poi, sul sentiero, ci sono pietre d’inciampo e macigni evidenti, che anche un politico passionale e un po’ sognatore come Beppe Sala non può non vedere. Ad esempio il rapporto con la sinistra, anche al netto di una constatazione che tutti gli osservatori di storia politica milanese conoscono: uscito dai confini della Madonnina, il sindaco di Milano non ha mai contato nulla, anzi spesso è bersaglio facile di antipatie.

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Inoltre, dopo la rottura con Renzi ancora capo del Pd, Sala non ha coltivato, e non ha, buoni rapporti col partito egemone della sinistra. Un po’ è considerato un non professionista, in fondo un buon sindaco, un amministratore, da sgamatissimi professionisti della politica come Franceschini, Zingaretti, lo stesso Gentiloni ora in trasferta europea ma tutt’altro che disattento alle cose di casa. In caso di cambi al governo o addirittura a Palazzo Chigi (ah, le sirene dell’estate. Ah, i moti dell’animo) la lista dei pretendenti è lunga e arcinota. E si torna a Grillo, che in ogni caso dovrebbe esibirsi in una capriola da rottura del collo per sostenere le ambizioni dell’amico Sala, insidiando il solidissimo Conte e persino Luigi Di Maio che, al momento, come peso nell’equilibrio politico vale di più di un sindaco di Milano che non ha, dalla sua, la forza che aveva un Matteo Renzi quando era sindaco di Firenze. Poi c’è il Quirinale, dove Sergio Mattarella tiene i fili seguendo la stella polare della stabilità. E poi c’è l’interesse di tutti, soprattutto i perdenti post grillini, al quieta non movere. E si ritorna un’altra volta in riva al mare di Liguria con l’amico, forse alleato, forse quasi consigliere, Grillo. Si fanno discorsi dell’estate, si soppesano le strategie, i sogni e le possibilità di riuscita. Ma all’ombra dell’ultimo sole si era assopito l’amministratore.

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