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giggino contro davide

Il Vaffa di Di Maio a Casaleggio: "Questo è il quesito più suicida della storia"

Valerio Valentini

Il ministro degli Esteri si schiera contro l'imboscata ferragostana su Rousseau, e vede rischi di tenuta del governo: "Finiremo col regalare cinque capoluoghi alla destra senza provare a fare nulla col Pd"

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Roma. L’ultima volta aveva mantenuto un riserbo perfino patetico: “Ho votato ma non vi dico come, perché il voto è segreto”. C’era da fare il governo col Pd, che a Luigi Di Maio non è che piacesse granché. E invece stavolta, per dire di come cambiano in fretta le cose sotto il cielo delle cinque stelle, è lui che s’intesta la linea che porta all’intesa strutturale coi dem. Sempre, ovviamente, per interposto Rousseau. E allora Di Maio, che s’era tolto la cravatta lasciando a Vito Crimi la rogna di gestire un Movimento semplicemente ingestibile (ultima novità: il furbetto del bonus sarebbe Marco Rizzone, deputato ligure), e poi s’era chiuso alla Farnesina a giocare al ministro degli Esteri, decide che è il momento di mettere da parte i pop-corn. E a votazione aperta (si va avanti fino a domani alle 12), interviene con un post perentorio: una presa di posizione netta a favore del superamento del vincolo dei due mandati (per i consiglieri comunali e dunque per Virginia Raggi, per ora, ma col chiaro intento di divellere quello sciocco paletto per tutti, in tempi rapidi) e a favore dell’accordo sui territori col Pd.

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Roma. L’ultima volta aveva mantenuto un riserbo perfino patetico: “Ho votato ma non vi dico come, perché il voto è segreto”. C’era da fare il governo col Pd, che a Luigi Di Maio non è che piacesse granché. E invece stavolta, per dire di come cambiano in fretta le cose sotto il cielo delle cinque stelle, è lui che s’intesta la linea che porta all’intesa strutturale coi dem. Sempre, ovviamente, per interposto Rousseau. E allora Di Maio, che s’era tolto la cravatta lasciando a Vito Crimi la rogna di gestire un Movimento semplicemente ingestibile (ultima novità: il furbetto del bonus sarebbe Marco Rizzone, deputato ligure), e poi s’era chiuso alla Farnesina a giocare al ministro degli Esteri, decide che è il momento di mettere da parte i pop-corn. E a votazione aperta (si va avanti fino a domani alle 12), interviene con un post perentorio: una presa di posizione netta a favore del superamento del vincolo dei due mandati (per i consiglieri comunali e dunque per Virginia Raggi, per ora, ma col chiaro intento di divellere quello sciocco paletto per tutti, in tempi rapidi) e a favore dell’accordo sui territori col Pd.

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Lo fa per riprendersi la scena, Di Maio, e anche perché fiuta (o almeno questo è quel che vuole dare a credere) la trappola tesa da Casaleggio. Indire una votazione così delicata alla vigilia di Ferragosto, quando davanti ai pc ci sono soltanto gli attivisti duropuristi delle origini per i quali il Pd è ancora la piovra del malaffare, secondo Di Maio è un’imboscata di Davide: “Il quesito è stato posto nel modo più suicida della storia”, si sfoga coi suoi ministri, forse dimenticando di quando il capo era lui e i quesiti su Rousseau erano un rebus in cui, per dire Sì, bisognava votare No, e viceversa. Ma per Di Maio, mettere a repentaglio l’intesa col Pd sulle amministrative, è un rischio da scongiurare, perché nel 2021 si voterà in cinque capoluoghi di regione e, “se staremo ancora in questo governo”, non ci si può arrivare divisi: “Perché altrimenti le regaliamo tutte e cinque alla destra, senza neanche provare a fare qualcosa insieme”.

 

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E insomma quasi non sembra lo stesso Di Maio che venti giorni fa, nel risiko delle presidenze di commissione e delle authority, ha tentato di creare l’incidente parlamentare fomentando il caos nella sua truppa. Un po’ eroe del governismo, un po’ Giggino ‘a marachella: a giorni alterni, a seconda delle convenienze, come quegli strateghi che hanno piani elaboratissimi e imperscrutabili nella loro mente, o magari non ne hanno alcuno. Ma insomma, Di Maio vuole accreditarsi come anti-Casaleggio, in questo Ferragosto: e allora vota Sì per scombinare il gioco del padrone di Rousseau e per rafforzare il governo, registrando, lui per primo, l’assurdità della sua situazione: “Non so – confessa coi suoi fedelissimi – se sono più incazzato per il quesito che per il fatto che parlo come un dissidente”.

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