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Il Conte2 di Montecristo, un giallo italiano

Giuliano Ferrara

Indizi romanzeschi (e quirinalizi) sulla provvidenza del nostro sistema politico

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Si domandano perché definimmo il premier con la pochette a quattro punte “Il Conte Tacchia” e da un po’ di tempo la pensiamo come Jason Horowitz, del Times, sul reggimento presente degli italiani. Domanda pertinente: o siamo cambiati noi o è cambiato lui. Vero che cambiare è una delle speciali prerogative della specie umana, e non delle peggiori. In realtà dietro la faccenda, apparentemente nebulosa, c’è un misto, il sentimento della paura e un giallo Mondadori.

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Si domandano perché definimmo il premier con la pochette a quattro punte “Il Conte Tacchia” e da un po’ di tempo la pensiamo come Jason Horowitz, del Times, sul reggimento presente degli italiani. Domanda pertinente: o siamo cambiati noi o è cambiato lui. Vero che cambiare è una delle speciali prerogative della specie umana, e non delle peggiori. In realtà dietro la faccenda, apparentemente nebulosa, c’è un misto, il sentimento della paura e un giallo Mondadori.

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La paura è che Giuseppi sia un personaggio di Dumas. Da giovane il Conte di Montecristo a Marsiglia stava per sposarsi con una bella ragazza, e a suo modo era un uomo felice. La giustizia cattiva lo incastrò in una affaire e gli fece fare quindici anni di ingiusta galera su un isolotto al largo. Lì conobbe l’abate Faria e il segreto dell’isolotto al largo della Maremma, un blasone locale che manco Capalbio. Evaso facendosi gettare a mare come un cadavere, dopo una epica nuotata, che nemmeno quelle di Ulisse abbrancato alla sua chiglia in vista dell’isola di Calipso, il Conte1 diventò il Conte2, si impadronì del tesoro e delle buone maniere, si trasferì a Parigi e con la più arzigogolata delle vendette compì la sorte ria di tutti i suoi nemici. Decenni di lussuose imprese, sofisticate, crearono il tessuto di destino di uno dei più grandi romanzi di legislatura dell’Ottocento. Ecco, la paura è quella di essere nella black list del Montecristo, e abbiamo approfittato del Covid-19 per sfuggire alle trappole vendicative di questo gran signore romantico con pochette ormai senza punte.

 

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Ma non c’è solo la paura. C’è anche il senso del giallo. Chi ha scelto Giuseppi per Palazzo Chigi? Si dice sia stato il segretario generale del Senato, il dottor Zampetti, e questo varrebbe a Mattarella e ai suoi un premio West Wing per la politica.

 

Ricordate la situazione? Non aveva vinto nessuno, il 4 marzo del 2018. Ma contro molte aspettative l’unica combinazione parlamentare possibile cominciò a profilarsi come l’alleanza della Lega e dei grillini. I due partiti avevano due capi che non potevano cedere il passo l’uno all’altro. Per inserirci di soppiatto e portarci avanti con il lavoro, indicammo qui per tempo un terzo uomo, più istituzionale, come possibile candidato, il professor Giovanni Maria Flick. Sarebbe stato un moderatore della tavola, ma non se ne fece niente: bisognava scegliere nel partito di maggioranza relativa, i grillini. A quel punto il genio del Quirinale si fece, così reca la leggenda, venire in mente il nome dell’oscuro avvocato con un cv buonino sebbene imperfetto, e lo lanciò nella mischia come scelta neutra in campo grillino. Però la storia nessuno l’ha mai raccontata tutta, e bene, in trama di indizi o prove concordanti. Si può supporre e si è supposto che l’uomo facesse parte di una lobby cattolica e leguleia e di pensiero, quella facente capo al grande giurista giusnaturalista Guido Alpa, e che per questo sia stato segnalato al personale cattolico di reggenza presidenziale. Poi c’è la storia del compianto Achille Silvestrini, cardinale eminente di Santa romana chiesa, animatore di un gruppo di cui il Montecristo faceva parte, e chissà quante altre storie che sono state insufficientemente indagate. Escluderei il link alla Link University, perché alla fine quell’istituzione si è rivelata un peso leggero e un po’ opaco (infatti ibi docuit il D’Alema).

 

Dunque? Non resta che la ragnatela dumasiana nella forma teologico-morale della provvidenza raccontata da un altro grande romanziere del secolo, il Manzoni. E così il giallo, di cui in pochi si sono occupati, “nel pensier rinova la paura” (con una sola enne, mi raccomando). Questa provvidenza si chiama sistema italiano. Non il sistema paese, che è una cazzatina confindustriale di quarta, parliamo di un sistema che ha radici addirittura arcaiche e ha sempre preservato dal baratro un paese che è una nazione, fino a un certo punto, e che è uno stato, molto al di sotto del punto, ma funziona chissà perché nelle diverse incarnazioni della sua storia, alla fine con buoni risultati. La Democrazia cristiana modernizzò l’Italia, e all’epoca era un partito di bacchettoni che volevano mettere i mutandoni alle ballerine, anzi li mettevano decisamente. Il Pci faceva la lotta di classe con Stalin, ma sulla via italiana al socialismo, e alla fine fu con Reagan e Giovanni Paolo II tra le cause dell’indebolimento dell’universo sovietico, quando Putin piangeva a Dresda. Craxi portava stivaletti di vitello lucido, “contava un cazzo e metteva d’accordo tutti”, come disse il gran notabile Mancini al Midas dove fu eletto, ma si rivelò il maggior statista degli anni Ottanta con la Thatcher. E nel sistema italiano Berlusconi, un cumenda degli anni Trenta all’apparenza, diede una sveglia fatale a popolo e istituzioni, sbaragliò l’intellighenzia meno intelligente del mondo, e preparò la strada, ahinoi, alla sua caricatura stupida e cattiva che sarà l’Arancione d’America, snobbato con classe dal Cav. e – si spera – dagli elettori americani a novembre.

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