PUBBLICITÁ

lo spauracchio del plebiscito

Così, per ingabbiare Salvini, il Pd rimanda la modifica dei suoi decreti a ottobre

Valerio Valentini

Al Nazareno hanno studiato la legge sul referendum abrogativo. Bisogna superare indenni la data del 30 settembre: poi per il capo della Lega sarà più difficile aizzare la piazza contro il governo

PUBBLICITÁ

Manco la pavidità, manco le astruserie criptosovraniste del grillismo, valgono a spiegare certi ritardi, certe inconcludenze. Quella sulla modifica dei decreti sicurezza, ad esempio, è un'attesa ormai grottesca. Era metà novembre del 2019 quando Nicola Zingaretti, da Bologna, fece il lieto annuncio: "Non solo modificheremo i decreti Salvini, ma ci batteremo anche per lo ius soli e lo ius culturae". Ad abundantiam. "Perché gli italiani – spiegò il segretario del Pd – stanno molto più avanti del Parlamento". E d'altronde ci voleva poco, perché il Parlamento in effetti non s'è mosso, da allora. Molte discussioni, tante buone intenzioni, vertici e riunioni: ma il tavolo di confronto aperto al Viminale inizialmente a febbraio, poi aggiornato a giugno, quindi protrattosi per settimane tra dichiarazioni di buona volontà del viceministro dem Matteo Mauri e conseguenti irrigidimenti del M5s, come risultato finale ha prodotto un testo su cui, con tutta calma, si tornerà a discutere dopo le vacanze. Anche perché, a ben vedere, una grossa parte di quei decreti è stata già smontata dalla Corte costituzionale, e attendere un mese in più non è una gran sciagura. Se ne riparla a settembre, insomma: il che è sorprendente, a ben vedere, dal momento che i decreti sicurezza regolano anche la gestione dei migranti, e i flussi di barconi e barchini raggiungeranno il loro picco d'intensità ad agosto, per via del mare calmo e della Tunisia in subbuglio. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Manco la pavidità, manco le astruserie criptosovraniste del grillismo, valgono a spiegare certi ritardi, certe inconcludenze. Quella sulla modifica dei decreti sicurezza, ad esempio, è un'attesa ormai grottesca. Era metà novembre del 2019 quando Nicola Zingaretti, da Bologna, fece il lieto annuncio: "Non solo modificheremo i decreti Salvini, ma ci batteremo anche per lo ius soli e lo ius culturae". Ad abundantiam. "Perché gli italiani – spiegò il segretario del Pd – stanno molto più avanti del Parlamento". E d'altronde ci voleva poco, perché il Parlamento in effetti non s'è mosso, da allora. Molte discussioni, tante buone intenzioni, vertici e riunioni: ma il tavolo di confronto aperto al Viminale inizialmente a febbraio, poi aggiornato a giugno, quindi protrattosi per settimane tra dichiarazioni di buona volontà del viceministro dem Matteo Mauri e conseguenti irrigidimenti del M5s, come risultato finale ha prodotto un testo su cui, con tutta calma, si tornerà a discutere dopo le vacanze. Anche perché, a ben vedere, una grossa parte di quei decreti è stata già smontata dalla Corte costituzionale, e attendere un mese in più non è una gran sciagura. Se ne riparla a settembre, insomma: il che è sorprendente, a ben vedere, dal momento che i decreti sicurezza regolano anche la gestione dei migranti, e i flussi di barconi e barchini raggiungeranno il loro picco d'intensità ad agosto, per via del mare calmo e della Tunisia in subbuglio. 

PUBBLICITÁ

 

E allora perché aspettare? Giuseppe Brescia, deputato grillino, presidente di quella commissione Affari costituzionali che da mesi danza intorno ai decreti sicurezza un po' come gli invasati delle processioni di Echternach (tre passi avanti, tre passi indietro, uno di lato e poi chissà), al Foglio ha abbozzato una risposta un po' così: "A settembre – ci ha detto – avremo i dati aggiornati sui flussi e potremo varare un progetto di più lungo respiro". Che è un po' come dire: vediamo come va a finire, e poi decidiamo. Un po' troppo illogico perfino nella logica del M5s.

 

PUBBLICITÁ

Ed ecco, allora, che cercando e chiedendo, e promettendo anonimato a tutti gli interrogati, una spiegazione la si trova. Il problema, manco a dirlo, è Matteo Salvini. Il quale, le sue eventuali contromisure, le ha già annunciate: "Se il governo proverà a cancellare i decreti sicurezza io piuttosto giro Paese per Paese gli 8mila comuni italiani per raccogliere un milione di firme per un referendum per bloccare quello che sarebbe un atto che favorisce solo la criminalità", ha spiegato il mese scorso il capo della Lega. Minaccia risuonata con echi di frastuono nelle orecchie dei ministri del Pd. Che a quel punto si sono già visti il film: la cagnara aizzata nelle piazze per trasformare la consultazione in un plebiscito contro Giuseppe Conte e compagnia, la Bestia di Morisi che si rimette a macinare oscenità razziste, i reportage esagitati di rete 4 sulle periferie italiane in cui, signora mia, non si può più vivere. E insomma si sono spaventati, e hanno chiesto soccorso alle astuzie dei legulei.

E in particolare di quelli che conoscono bene la legge 352 del 1970, quella che regola i referendum abrogrativi. E l'articolo 32 ha suggerito, al Nazareno, la via della prudenza: perché, a norma di codice, le firme per l'indizione del referendum – 500 mila, almeno – possono essere raccolte solo tra il 1 gennaio e il 30 settembre. Poi c'è il vaglio della Consulta e l'organizzazione della consultazione in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno successivi. E dunque, calendario alla mano, basterà approvare la riforma dei decreti sicurezza dopo la fine di settembre per impedire a Salvini di chiedere il referendum abrogativo in tempi rapidi. E questo produce, nei ragionamenti dei dirigenti del Pd, almeno due conseguenze positive.

 

La prima è tutta politicistica. E sta nel fatto che, impedendo a Salvini di chiamare la piazza alla rivolta contro la modifica dei suoi decreti, si scongiurerebbe il rischio di un riacutizzarsi della tensione politica in primavera, che potrebbe poi sfociare in una sorta di chiamata alle armi: abrogare la nuova legge per abrogare il governo, e dare quella spallata che tante volte il capo della Lega ha tentato, dopo la crisi del Papeete. In questo senso, dunque, mettere in sicurezza la modifica dei decreti sicurezza, significa blindare il governo. In secondo luogo, c'è una valutazione di merito. Salvini, infatti, imposterebbe tutta la sua campagna referendaria su una narrativa emergenziale: bisogna eliminare i nuovi decreti del Pd perché altrimenti si rischia il caos, i migranti tornerebbero a sbarcare a iosa e per le strade ci sarebbe spaccio e delinquenza. Al contrario, impedire una consultazione referendaria in tempi concitati significherebbe creare un periodo di transizione, fare in modo che la riforma dispieghi i suoi effetti, consentirebbe di dimostrare che non c'è alcuna catastrofe in vista, che nessuna delle conseguenze apocalittiche sulla tenuta dei confini e dei "porti aperti" si realizzerà davvero. E a quel punto, il carburante nel motore della Bestia potrebbe perdere di potenza. 

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ