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Perché dico nuovamente sì al Museo Storico del Regime Fascista (MSRF)

Giuliano Ferrara

Lo proposi anni fa e lo ripropongo. Una compiuta e severa storicizzazione del nostro Novecento

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Un Museo Storico del Regime Fascista (MSRF) l’ho proposto qui cinque anni fa. Non conosco i consiglieri grillini che hanno pensato con un certo ritardo a iniziativa analoga, e non capisco dai resoconti giornalistici il carattere e le intenzioni della mozione che oggi dovrebbe essere messa in votazione in Campidoglio.

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Un Museo Storico del Regime Fascista (MSRF) l’ho proposto qui cinque anni fa. Non conosco i consiglieri grillini che hanno pensato con un certo ritardo a iniziativa analoga, e non capisco dai resoconti giornalistici il carattere e le intenzioni della mozione che oggi dovrebbe essere messa in votazione in Campidoglio.

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Conosco invece i firmatari dell’appello a fermare tutto, e a riprendere il corso fondativo di un Museo della Shoah, il che mi sembra molto giusto e opportuno. A questi amici rivolgo qualche osservazione, perché sono convinto che il MSRF a Roma sarebbe un fatto culturalmente liberatorio, oggi ampiamente maturo, e generatore di una buona memoria storica.

 

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All’ingrosso l’Italia si è sempre divisa, nel giudizio sul fascismo, tra la diagnosi di Benedetto Croce (invasione degli Iksos, una parentesi barbarica) e quella di Piero Gobetti (autobiografia di una nazione). Croce aveva un pensiero strutturato e poderoso, e passò da una adesione scettica al fascismo a una vita di antifascismo semiprivato e culturale che ebbe risonanza mondiale e utilità per la battaglia finale, mentre Gobetti pagò con l’esistenza, con la vita, un pensiero entusiasta e un liberalismo radicale coraggioso e intenso ma non privo di seri equivoci.

 

 

Ma insomma, come hanno dimostrato Renzo De Felice e la storiografia defeliciana, Gobetti aveva ragione, nella sua diagnosi, e Croce torto. Anche i fatti, i più recenti perfino, testimoniano in favore di uno stretto legame, perverso e controverso, lacerato solo da scelte soggettive eroiche e da un finale rassemblement antifascista nella guerra di Liberazione, tra fascismo e nazione italiana. Semplificando, ma poi non tanto, questa è la mia opinione, e l’opinione di ampie minoranze intellettuali e politiche.

 

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Un Museo Storico del Regime Fascista (28 ottobre 1922-25 luglio 1943) sarebbe tre cose insieme: una prova di maturità epocale dell’intelligenza e memoria italiana del passato; la sola risorsa davvero pedagogica per sradicare ogni effimera e stupida nostalgia dell’uomo forte, del Duce, e delle sue trucibalderie; una messa alla prova, di grande successo per afflusso di pubblico e di gioventù, della capacità storica e archivistica della Repubblica nata dalla Liberazione, incarnata nella Costituzione del 1948, sviluppata negli anni dei partiti storici e in quelli postpartitici, con cambiamenti materiali di sistema che non hanno intaccato le premesse ma permettono ora uno svolgimento non da cancel culture, non ideologico, dei fondamenti del nostro vivere civile.

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Nella mia proposta immaginavo come sede del MSRF un luogo importante nella Capitale, un tracciato storico razionale ispirato non alla dialettica revisionismo-ortodossia ma al suo superamento, il concorso di intelligenze e autorità scientifiche e morali, oltre che di capitali privati e pubblici, un patrocinio ovvio del Quirinale come garante, il tutto per l’edificazione non già di un luogo di culto antifascista o, peggio, di un grottesco testimonial del fascismo eterno degli italiani, bensì per una compiuta e severa storicizzazione del nostro Novecento.

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Lo si fece per le arti, con la mostra controversa e magnifica sugli anni Trenta, lo si è fatto nel cinema e nella letteratura, non si vede perché non lo si debba fare in un’occasione di performance archivistica e museale che metterebbe una pietra sopra al sequestro ricattatorio delle intelligenze e dei sentimenti.

 

Il successo di pubblico e di critica dell’iniziativa, se ben condotta e equilibrata, ma ovvia conseguenza di decenni di repubblicanesimo antifascista, sarebbe clamoroso, e questo paese recupererebbe la sua coscienza nazionale, coscienza infelice e al tempo stesso felice, di ciò che effettivamente esso è stato per quasi tutta la metà del secolo scorso. Sarebbe un simbolo mondiale e romano non di sciocca pacificazione, ma di composizione adulta delle memorie tragiche e delle verità controverse di un’autobiografia.

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