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apologo romano sul grillismo

La missione mancata di Vito Crimi, che s'è perso lungo la Tuscolana

Salvatore Merlo

La presidente grillina del VII municipio lascia il M5s ma continua a governare coi voti del M5s. Lo zampino di Paragone, il sogno dell'Italexit, un capo politico che vorrebbe, ma nun je la fa

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Dicono che in realtà volesse andarci, da quelli. Che le cose le voleva sistemare, lui. E allora li avrebbe affrontati, ci avrebbe discusso, li avrebbe persuasi, in fondo, pensava, sono pur sempre il reggente, il capo politico del M5s, in pratica l’erede di Luigi Di Maio, mica cotiche. E insomma, forte dell’autorità conferitagli dal Casaleggio, avrebbe convinto lui quei consiglieri del VII municipio: “Guardate che non potete continuare così. Dovete aprire la crisi”. Solo che poi Vito Crimi ci ha riflettuto meglio. Qualcuno lo ha pure avvertito. Qualcuno che l’antropologia dei grillini romani (e non solo romani) la conosce bene: “Guarda, stai attento, perché quelli te ce mannano”. Dove? “A pijattela ’nder cu…”.

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Dicono che in realtà volesse andarci, da quelli. Che le cose le voleva sistemare, lui. E allora li avrebbe affrontati, ci avrebbe discusso, li avrebbe persuasi, in fondo, pensava, sono pur sempre il reggente, il capo politico del M5s, in pratica l’erede di Luigi Di Maio, mica cotiche. E insomma, forte dell’autorità conferitagli dal Casaleggio, avrebbe convinto lui quei consiglieri del VII municipio: “Guardate che non potete continuare così. Dovete aprire la crisi”. Solo che poi Vito Crimi ci ha riflettuto meglio. Qualcuno lo ha pure avvertito. Qualcuno che l’antropologia dei grillini romani (e non solo romani) la conosce bene: “Guarda, stai attento, perché quelli te ce mannano”. Dove? “A pijattela ’nder cu…”.

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Ecco. Alla fine, dunque, considerati gli argomenti potenziali, Crimi ha desistito. E questo malgrado la questione sia di quelle spinose, destinate ad arricchire il cospicuo collier di non esaltanti figure cui il Movimento si sta consegnando dalle Alpi alle Piramidi, per così dire, dal Parlamento fino all’ultimo dei consigli municipali d’Italia. Il fatto è che da una settimana circa, nel VII municipio di Roma, un reticolo di quartieri grande quanto una piccola città e popoloso come il Molise (300.000 abitanti), si è consumato un fatto curioso e degno di attenzione non solo da parte degli studiosi di Scienze politiche ma forse anche degli psicologi comportamentali e, perché no, degli antropologi. La presidente grillina del municipio, che si chiama Monica Lozzi, ha abbandonato i 5 stelle, li ha mandati a quel paese ed è passata al nuovo partito di Gianluigi Paragone, che si chiama “Italexit” ed è una specie di satellitino sfortunato della Lega, nato, nelle intenzioni del suo acrobatico creatore, per far da cuscinetto parlamentare ai grillini che volevano passare con Salvini. Scarso il successo in Senato, un po’ meglio a Paragone è andata al VII municipio di Roma dove ha conquistato la presidente.

 

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Fin qui niente di strano. Se non fosse che la maggioranza della signora Lozzi, composta dai suoi ex compagni di partito, è così terrorizzata dall’idea di tornare alle elezioni, così consapevole dell’estinzione a Roma (come nel resto d’Italia) del M5s, insomma così allarmata dallo spessore del nulla che avanza minaccioso, da aver preso una netta decisione politica in merito al passaggio del proprio presidente nelle file dell’opposizione: facciamo finta di nulla. In pratica la signora Lozzi governa per conto dell’opposizione, ma la maggioranza non la sfiducia. E davvero bisognerebbe chiedere ai professori Orsina, Panebianco e Campi, insomma ai politologi d’Italia, se una cosa del genere ha qualche precedente nelle democrazie occidentali. Chissà. Ovviamente la Lega è contenta, perché la signora Lozzi è adesso una dei loro. La sinistra mugugna, ma non ha i numeri per fare nulla. E i grillini, che sono la stramaggioranza: shhh. Silenzio. Zitti e mosca. Ché magari non se ne accorge nessuno.

 

D’altra parte, fare il consigliere municipale è bellissimo, si esercita potere, al bar ti offrono il caffè e i vigili urbani ti fanno pure il saluto militare. Quando gli ricapita? Probabilmente solo il simpatico Vito Crimi poteva pensare sul serio di andare fin laggiù, di raggiungere bel bello i confini del quartiere Pigneto, e convincere sedici grillini romani – modello Paola Taverna – a schiodare da un consiglio municipale. Sarcasmo, ironia, e nel migliore dei casi indifferenza, già circondano il poveretto, da ogni lato, in Senato e a Montecitorio. Figurarsi sulla Tuscolana. Al VII municipio. Minimo minimo lo prendevano a pernacchie, come nei film di Bombolo. Capita infatti che la poltrona del potere si ficchi per caso sotto il sedere di qualcuno – questo è successo per misteriosa congiunzione astrale al M5s non solo a Roma ma in tutto il paese – meno frequente è tuttavia il caso contrario, cioè che il sedere si separi spontaneamente dalla comoda e irripetibile seduta. Come avrà ormai notato il lettore, la faccenda ha una sua dimensione paradigmatica. E’ un piccolo apologo sulla parabola di quei rivoluzionari vaffanculotti che dal 2018 governano il paese. C’è qui tutta la commedia umana dell’assalto al cielo da parte delle tabule rase, delle zucche, uomini e donne consapevoli di aver strappato alla sorte un improbabile biglietto vincente della lotteria, e dunque spinti ad acchiappare il più possibile, a resistere il più possibile, in Parlamento, nei ministeri, nelle partecipate statali come nell’ultimo dei consigli municipali d’Italia.

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