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Gli incubi di Salvini aumentano: Open Arms, Zaia e Meloni

David Allegranti

Domani il voto alla Camera sull'autorizzazione a procedere per l'ex ministro dell'Interno. Ma il segretario leghista è assediato ovunque, dentro e fuori la Lega

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Roma. Le notti di Matteo Salvini sono popolate di fantasmi. Domani, giovedì 30 luglio, i deputati dovranno esprimersi sull’autorizzazione a procedere nei confronti del leader leghista per il caso Open Arms. Salvini rischia il processo per sequestro di persona e per evitarlo avrà bisogno di 160 voti per respingere la richiesta del tribunale dei ministri di Palermo. 

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Roma. Le notti di Matteo Salvini sono popolate di fantasmi. Domani, giovedì 30 luglio, i deputati dovranno esprimersi sull’autorizzazione a procedere nei confronti del leader leghista per il caso Open Arms. Salvini rischia il processo per sequestro di persona e per evitarlo avrà bisogno di 160 voti per respingere la richiesta del tribunale dei ministri di Palermo. 

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Determinanti saranno i 18 senatori di Italia viva. I renziani per ora prendono tempo e fanno ballare la maggioranza (il momento è politicamente ghiotto per un partito che nei sondaggi non brilla ma ha un numero di parlamentari sufficienti a pesare nelle trattative politiche, per esempio nel rinnovo delle presidenze di commissione). “La nostra votazione sarà sganciata da qualsiasi valutazione politica. Ci baseremo solo sull'analisi delle carte, non sulla convenienza elettorale. E in questo, credo, saremo gli unici. Ma qui c’è di mezzo lo stato di diritto, non si può scherzare”, ha detto in questi giorni il capogruppo di Iv al Senato Davide Faraone in un’intervista al Foglio. Ma gli incubi di Salvini non sono soltanto eventualmente giudiziari. Ci sono anche quelli politici. Il segretario della Lega da mesi è accerchiato da avversari interni alla Lega (come Luca Zaia, pronto a vincere in Veneto ma non esattamente un salviniano) ed è anche incalzato regolarmente dall’alleata Giorgia Meloni, in crescita stabile nei sondaggi. La Lega, dice una ricerca demoscopica del Corriere della Sera, oggi è al 23 per cento, mentre Fratelli d’Italia a soli cinque punti di distanza. Giorgia Meloni è diventata insidiosa: ha una identità ideologica ben definita ed è abile nella comunicazione. In più è riuscita a battere Salvini nella recente trattativa sulle candidature alle elezioni regionali. Il segretario leghista aveva rimesso in discussione l’accordo nazionale siglato ai tempi della scelta del presidente del Copasir (toccato alla Lega) che prevedeva anche una spartizione delle candidature nelle varie regioni. Alla fine però Meloni è riuscita a spuntarla, ottenendo - come previsto - le candidature nelle Marche e in Puglia. A Salvini è rimasta la candidatura a sindaco a Reggio Calabria: visto che il leader leghista ha detto di volere aumentare la sua presenza nel Mezzogiorno è stato accontentato. 

 

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Tuttavia, quel che sembra mancare a Salvini, in questo momento, è un piano B rispetto all’agenda pubblica che ha mantenuto finora. Non potendo più contare su immigrazione, sicurezza e attacchi all’Europa (difficile dirsi antieuropeisti oggi), oggi politicamente poco appetibili, Salvini è costretto a ripiegare altrove. In assenza di una strategia chiara, Salvini ha cercato nei rapporti con gli alleati di spremere fino in fondo il consenso di un’epoca immediatamente precedente, quella delle elezioni europee. Ma, almeno stando ai sondaggi, i voti di un anno fa difficilmente ci sono ancora sui mitologici territori. 

 

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Assediato dai consensi di Zaia e Meloni, a Salvini non resta che inseguire la strategia del rilancio continuo. Silvio Berlusconi era un maestro in quest’arte, ereditata nel centrosinistra da Matteo Renzi (e sappiamo in questo caso com’è finita). In più ci sono i problemi giudiziari degli altri, come testimonia il caso Attilio Fontana. Il presidente della Regione Lombardia, che è indagato per frode, ha qualche problema con la trasparenza: in un dettagliato articolo sul Corriere della Sera, Luigi Ferrarella ha spiegato che “sullo scudo fiscale Attilio Fontana, come ieri in Regione, ha sempre taciuto: tanto da essere sanzionato nel 2017 dall’Anac”, con mille euro di multa, “per aver omesso nel 2016, da ex sindaco di Varese, l’obbligatorio stato patrimoniale nel quale sarebbero comparsi i 5 milioni di scudo fiscale in Svizzera nel 2015”. La voluntary disclosure utilizzata da Fontana non è ovviamente illegale e dire sciocchezze al popolo non è sanzionabile pecuniariamente o con le manette (anche perché altrimenti avremmo intere schiere di politici multati o imprigionati per le balle che sparano). Il problema è che Salvini non può permettersi un presidente di regione nei guai. Soprattutto se è lombardo ed è, almeno lui, salviniano.

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