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dopo l'accordo europeo

La stagione del populexit

Claudio Cerasa

Il giorno storico dell’Europa, l’anno zero del nazionalismo e l’occasione offerta dal Recovery fund non solo alla maggioranza ma anche all’opposizione: dimostrare di avere una strategia diversa dall’utilizzo del maloox. E’ ora di aiutarci a casa nostra

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E se fosse arrivata l’ora del populexit? La notizia dell’accordo raggiunto lunedì notte a Bruxelles tra i capi di stato e di governo sul Recovery fund costituisce un fatto interessante per tre diverse ragioni, che va le la pena provare a mettere l’una accanto all’altra.

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E se fosse arrivata l’ora del populexit? La notizia dell’accordo raggiunto lunedì notte a Bruxelles tra i capi di stato e di governo sul Recovery fund costituisce un fatto interessante per tre diverse ragioni, che va le la pena provare a mettere l’una accanto all’altra.

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La prima riguarda la portata storica del pacchetto finalizzato al Consiglio europeo. E non ci vuole molto a capire che un’Europa che arriva a mettere insieme qualcosa come 2.640 miliardi di euro (tra Pepp, Mes, Recovery, Bei, Sure) accettando un principio finora sempre respinto (creare debito europeo per finanziare ingenti trasferimenti dai paesi più ricchi a quelli più poveri) e facendo quello che mai era riuscita a fare finora (gli eurobond) offre diverse ragioni per costringere gli adorabili cialtrosovranisti d’Europa a fare quanto suggerito amabilmente oggi da Makkox nella nostra copertina: cercare disperatamente in giro qualche buona dose di Maalox politico. Essere contro l’Europa – in una stagione in cui l’Europa c’è, in cui mostra i muscoli, in cui mostra la sua compattezza, in cui mostra la sua solidarietà, in cui mostra che la protezione migliore per gli stati membri deriva dalla capacità dell’Europa di essere ogni giorno un po’ più forte e non ogni giorno un po’ più debole – non è un affare semplice. E in questo senso non ha prezzo stare lì ad ascoltare le argomentazioni offerte in queste ore dai sempre più spaesati nazionalisti italiani che sono così disorientati da essere costretti a travestirsi in tv da ultraeuropeisti per criticare le scelte europee (“l’Europa non ha fatto abbastanza”, “l’Europa ci dà solo le briciole”, “l’Europa va troppo lenta”, “l’Europa si è mossa solo perché c’eravamo noi sovranisti a farle pressione”).

 

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La seconda questione che vale la pena esaminare all’indomani dell’accordo raggiunto sul Recovery fund ha a che fare con una consapevolezza che, a circa un anno dalla uscita di scena di Salvini dalla maggioranza, risulta piuttosto evidente: l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte avrà pure mille difetti (pensate agli orrori sulla giustizia, pensate ai guai combinati sul lavoro, pensate al peso eccessivo offerto allo stato imprenditore) ma le conseguenze del cambio di governo di un anno fa hanno portato alcuni frutti; e non ci vuole molto a capire che un conto sarebbe stato avere un leghista come commissario europeo (come voleva Salvini) e un Bagnai come ministro degli Affari europei (come voleva Salvini) e un conto invece è avere una squadra di europeisti con la testa sulle spalle (Roberto Gualtieri, Enzo Amendola, Paolo Gentiloni) capace di aiutare il presidente del Consiglio ad affrontare una trattativa da cui l’Italia alla fine è uscita persino meglio del previsto (dal Recovery fund arriveranno 208,8 miliardi, più dei 172,8 contenuti nella precedente proposta della Commissione; di questi 81,8 sono sussidi, 127,4 prestiti e per i prossimi sette anni l’Italia passerà da contributore a beneficiario netto, ovvero verserà all’Unione europea meno di quanto riceverà dalla stessa Ue).

 

Il terzo punto del nostro ragionamento riguarda la figura del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che esce bene da queste trattative. E’ possibile che le folli e interminabili riunioni notturne nei vari consigli dei ministri siano state un buon training per affrontare le notturne al Consiglio europeo (il momento-chiave in cui l’Italia è riuscita a cambiare un avverbio importante all’interno dell’accordo finale è avvenuto intorno alle 4.30 di lunedì notte, quando si è passati dal considerare, in caso di obiezioni sull’erogazione dei soldi ai paesi membri, il passaggio in Consiglio europeo da “decisively” a “exhaustively”, il che significa che il paese che non gradisce porta a una discussione del Consiglio europeo ma non a una decisione del Consiglio). Ma al di là dei dati di colore, c’è un fatto rilevante che riguarda quella che oggi è la sfida delle sfide e che corrisponde alla capacità di saper spendere bene i soldi che l’Italia ha faticosamente ottenuto.

 

L’Italia, come si sa, non hai mai mostrato una particolare predisposizione nel sapere utilizzare bene i soldi offerti dall’Europa (a gennaio, dei 75 miliardi di euro di fondi strutturali europei previsti per il nostro paese, l’Italia era riuscita a spenderne appena 50) ma accanto a questo problema che riguarda il metodo da seguire ce n’è anche uno che se vogliamo riguarda il modello. E su questo punto il governo Conte avrebbe forse il dovere di far proprio un invito più volte arrivato da parte del capo dello stato: mettere in sicurezza l’Italia del futuro compiendo scelte coraggiose come quelle fatte negli ultimi anni in Portogallo dalla maggioranza e dall’opposizione che in più occasioni hanno scelto, pur mantenendo il proprio ruolo di maggioranza e opposizione, di lavorare a un programma comune di riforme strutturali che i partiti si sono impegnati a portare avanti a prescindere da chi avrebbe vinto la tornata elettorale. Buona parte dei soldi che arriverà attraverso il Recovery fund sarà legata, come sappiamo, alla realizzazione di progetti che vedranno la luce nella prossima legislatura. Anche per questo il presidente del Consiglio ha il dovere di offrire su questo punto un patto di collaborazione con l’opposizione. E se l’opposizione italiana capirà che il Recovery fund può contribuire a cambiare l’Italia con una velocità persino superiore a quella già registrata nei primi mesi della pandemia, avrà di fronte a sé un’occasione non male: dimostrare di avere una strategia per il futuro diversa dal semplice e copioso utilizzo di Maloox politico. E’ l’ora di uscire dalle gabbie della demagogia. E’ ora di rottamare il sovranismo. E’ ora di crescere. E’ ora del populexit.

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