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Il metodo Conte per tenere in piedi il governo

Salvatore Merlo

Le riunioni notturne e le pennichelle pomeridiane. È la strategia dello sfinimento

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Roma. Il segreto del governo? Della maggioranza matta e disomogenea? Il segreto di Conte? “È la gestione del sonno”, risponde il ministro, che pretende l’anonimato, e glielo si garantisce, ci mancherebbe, perché solo così questo dignitario del Pd accetta di raccontare il metodo “scientifico” – ed efficace si direbbe – con il quale in Consiglio dei ministri vengono gestite le trattative, i negoziati, tutto quel genere di mercato rituale che, al riparo degli strepiti pubblici tra alleati di governo, è servito per esempio, l’altra notte, a chiudere l’accordo su Autostrade. Quello stesso meccanismo che, assicura il ministro, si ripeterà sul Mes. “Se la questione è importante, il Cdm non comincia prima delle 11”. La gestione del sonno, dunque.

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Roma. Il segreto del governo? Della maggioranza matta e disomogenea? Il segreto di Conte? “È la gestione del sonno”, risponde il ministro, che pretende l’anonimato, e glielo si garantisce, ci mancherebbe, perché solo così questo dignitario del Pd accetta di raccontare il metodo “scientifico” – ed efficace si direbbe – con il quale in Consiglio dei ministri vengono gestite le trattative, i negoziati, tutto quel genere di mercato rituale che, al riparo degli strepiti pubblici tra alleati di governo, è servito per esempio, l’altra notte, a chiudere l’accordo su Autostrade. Quello stesso meccanismo che, assicura il ministro, si ripeterà sul Mes. “Se la questione è importante, il Cdm non comincia prima delle 11”. La gestione del sonno, dunque.

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Nelle scene conclusive dello “Spaccone”, il giovane Paul Newman, giocatore di biliardo dotato di un talento naturale e apparentemente inesauribile, viene trascinato in un’estenuante partita notturna, tesa e in equilibrio, da un vecchio campione in declino che alla fine tuttavia riesce a batterlo, ma solo per una ragione: lui aveva saggiamente dormito per tutto il pomeriggio, mentre Paul Newman, lo Spaccone, no. E così Giuseppe Conte, fissato il Consiglio dei ministri a tarda sera, per la disperazione dei consiglieri e delle assistenti con figli piccoli da mettere a letto, si prepara per tutto il giorno – attraverso la pennichella tattica consumata sul divanetto di Palazzo Chigi, dicono – ad amministrare il gioco con gli altri ministri secondo il suo proprio ritmo. Neutralizzare, anestetizzare, aggirare e – appunto – addormentare fisime, polemiche, pretese, e senza mai stancarsi (lui che ha riposato) e senza mai nemmeno intervenire decisamente, secondo un modello che non è certo Beppe Grillo e nemmeno Cavour, ma forse il manzoniano conte (nomen omen) duca don Gasparo Guzman, che faceva “perdere la traccia a chi che sia”. E allora quelli, i ministri, schiumano e sbadigliano – tranne Dario Franceschini che lo stesso metodo l’ha imparato si direbbe alle scuole elementari con Zaccagnini – mentre lui, il premier e avvocato, fresco e profumato al limone, circondato da occhi rossi e cravatte ormai slacciate, telefonate delle mogli che danno per dispersi i mariti (“sì, metti la pasta forse ora finiamo”), dà loro il colpo di grazia con la sola imposizione dell’“interlocuzione”, cioè incartando i problemi nel linguaggio da azzeccagarbugli, tirando la palla ancora un passo più in là. Così, alle cinque del mattino, o giù di lì, Conte non ha nemmeno un capello fuori posto, mentre persino gli scafatissimi capi di gabinetto sono ormai degli apostoli martirizzati, anche i portavoce appaiono sotto le sembianze di esserini sfiniti e sprofondati in anticamera, proprio come quel povero cristo casualmente fattosi ministro di Alfonso Bonafede, cioè Fofò, che sarebbe poi il Guardasigilli: lo sguardo cosmico e remoto dell’insonne, ma imbalsamato, gli stessi occhi rigati e socchiusi di Stefano Patuanelli, il ministro dello Sviluppo, succube indifeso nella sua tenerezza.

  

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Ed ecco dunque, forse, il vero segreto del governo, della sua acrobatica longevità, ecco il meccanismo che tiene in piedi la scalcinata baracca molto più del timore delle elezioni, della simmetrica debolezza di M5s e Pd, dell’impresentabilità di Salvini o di quell’assenza di alternative politiche che fa battere le mascelle del Presidente della Repubblica, alla maniera dei siciliani quando sentono che qualcosa non va come dovrebbe: “Al posto di questi chi ci metto?”. Ecco insomma il segreto, il metodo, la formula: la gestione del sonno, in pratica la pennichella pomeridiana del premier e l’ottundimento notturno dei suoi colleghi, quel gioco sottile e dilatorio, quel tirare di lenza iniziato ai tempi del lockdown, non solo con i poveri ministri ma pure con (anzi contro) i cronisti minacciati di patire soporifere conferenze stampa via Skype che iniziavano al tramonto, e sai che domande con la cena in tavola e il giornale praticamente chiuso. Tutto il contrario degli scoppiettanti Cdm dei tempi di Salvini e Di Maio, quando un gruppo di trenta-quarantenni sgarzolini, twittanti e dal sangue acceso, per giunta intimamente convinti d’essere le viventi fatalità del cambiamento italiano, si riunivano alle nove del mattino a Palazzo Chigi e, raggiunto il tavolone semicircolare del governo, iniziavano a darsele di santa ragione proprio in quell’orario che la scienza medica ha da secoli individuato essere il culmine dell’energia psicofisica dell’essere umano. Com’è finita quella storia si sa, un mojito al Papeete e un sogno infranto. Eppure sarebbe bastato dormire.

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