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“Caro Zingaretti, l’intolleranza in politica porta male”. Parla Giorgio Gori

Carmelo Caruso

A colloquio con il Foglio, il sindaco di Bergamo replica al segretario del Pd che lo aveva definito un “picconatore da salotto” e descrive un clima da comitato centrale

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“Io non mi fermo. Non rimarrò zitto. Ho sempre coltivato la libertà, la libertà di dire quello che penso. Con umiltà. Non smetterò”. Neppure adesso che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, l’ha definita “un picconatore da salotto”? “Non sono permaloso, ma me ne sono stupito. Dal segretario di un partito che si chiama democratico ci si potrebbe aspettare più tolleranza verso obiezioni, soprattutto se quelle obiezioni sono costruttive”. Anche quando vuole replicare con asprezza a Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, non gli viene fuori la cattiveria e non spruzza il veleno che da giorni è consapevole di ricevere.

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“Io non mi fermo. Non rimarrò zitto. Ho sempre coltivato la libertà, la libertà di dire quello che penso. Con umiltà. Non smetterò”. Neppure adesso che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, l’ha definita “un picconatore da salotto”? “Non sono permaloso, ma me ne sono stupito. Dal segretario di un partito che si chiama democratico ci si potrebbe aspettare più tolleranza verso obiezioni, soprattutto se quelle obiezioni sono costruttive”. Anche quando vuole replicare con asprezza a Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, non gli viene fuori la cattiveria e non spruzza il veleno che da giorni è consapevole di ricevere.

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Ieri, sul Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ha afferrato, ad esempio, il bastone di governo. Era convinto di picchiare Gori e invece ha picchiato una città, una comunità decimata. L’ha chiamato “Giorgio Covid” storpiandone il nome, solita miseria linguistica, repertorio. “Non mi turba Travaglio – risponde Gori - e non mi serve replicargli, ma ho trovato inaccettabile che per colpire me abbia colpito Bergamo. Abbiamo seppellito 680 morti, siamo la provincia che ha contato oltre seimila vittime. Si può provare solo disgusto. Cosa altro si può dire?”. Possiamo chiederle se ha ricevuto la solidarietà da parte del Pd? “In molti mi hanno scritto e lo hanno fatto pubblicamente”. Anche i parlamentari del Pd? “Anche loro, non tutti”.

  

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Dice dunque quello che avrebbe voluto spiegare e che ha tentato di fare prima di venire attaccato dal suo partito, cosa che (questo non lo dichiara) ha forse favorito il clima di ostilità nei suoi confronti e nella quale (questo invece lo mette nero su bianco) si rintracciano i riflessi una “vecchia cultura che non è mai stata la mia”. “Picconatore da salotto” porta alla memoria le “mosche sulla criniera del cavallo”, la metafora che nel Pci si utilizzava per spegnere gli spiriti gassosi. Sindaco, ci sono riusciti? Ha deciso di abiurare quanto aveva chiesto ovvero un congresso e un nuovo segretario? “No, ma posso provare a dirlo meglio. A differenza di Andrea Orlando, con cui ho “discusso” via social, io credo che in un partito l’unità sia un mezzo e non un fine - mi pare di aver letto sul Foglio che è anche l’opinione di Marco Minniti – così come le scissioni sono ferite, e non possono essere esibite come alibi, anche l’unità non può trasformarsi in un feticcio che sequestra il dibattito all’interno di un movimento politico”.

  

Da sindaco è dell’opinione che l’Italia aveva seri problemi prima dell’epidemia (“Eravamo già alle soglie della recessione a gennaio”) e che ne avrà purtroppo di più gravi in autunno. “Non significa sottovalutare quanto si è ottenuto: l’estromissione di Salvini dalla cabina di comando, la ricucitura con l’Europa, la tenuta di fronte al Covid. Tutto importante, ma non è sufficiente. O rimettiamo subito in moto la locomotiva, cioè le imprese, la produzione, o avremo un crollo drammatico di Pil, occupazione e reddito. Senza lavoro non c’è protezione sociale”. Non approva invece che l’alleanza con il M5s, nata come tattica, si sia mutata in strategica (“Perché? Adesso che andiamo verso il proporzionale”).

 

E dunque si spinge a dire che la Lega, con il suo “contratto” col M5s, ha alla fine ottenuto di più, tenuto conto che aveva a che fare con “un M5s al massimo della sua forza”. Cosa dovrebbe fare il Pd. Vuole elencarlo? “Non può abbozzare sulla giustizia o sui decreti sicurezza, non può farsi andar bene il taglio dei parlamentari, non può accettare lo stallo su Autostrade, Alitalia, Ilva o la paralisi su decine di crisi aziendali. Soprattutto non può rinunciare ad essere il partito del lavoro. Ma non a parole, coi fatti”.

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E la notizia sta tutta nel termine che Gori utilizza: “ritarare”.  L’alleanza con il partner di governo dichiara deve essere al più presto “ritarata”, a partire dalle priorità, ma anche nel sostegno parlamentare. “Come lo approviamo il Mes? Dubito che Lannutti e altri 5Stelle lo votino”. Ci sta dicendo che serve Forza Italia? “Dico quel che ha già detto Andrea Marcucci. L’autunno sarà durissimo e di fronte a un’opposizione di sconsiderati, gli europeisti devono stare dalla stessa parte”. E nel Pd? Servirebbe un nuovo segretario, una nuova leadership? A questa domanda Gori ricorda che il primo a parlarne era stato Zingaretti. Non evade la domanda. “Serve un Pd più forte e più incisivo. E una linea battezzata da un congresso. Questa, che ci ha portato a “sposare” i 5Stelle e a dire che Conte è il riferimento per i progressisti, non è esattamente quella votata a marzo dell’anno scorso”.

 

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Da anni Gori è nel Pd, ma è come se fosse rimasto sotto esame. Per quale ragione? “Forse perché non faccio vita da corrente. Nulla contro ma non ci sono portato” confida. Potrebbe essere portato a occupare il ruolo di nuovo segretario? Insomma, si candiderà? “No. Il mio posto è a Bergamo, a rimettere in piedi la città. So cosa posso e cosa voglio fare”.

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