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Alleluia, l’Italia s’è desta

Michele Masneri e Andrea Minuz

Scomparso il lockdown, evaporati i virologi, strappata l’autocertificazione, dimenticati i sindaci, eccoci tutti sulle ali della libertà. E dire che stavamo per convertirci alla religione della mascherina

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L’abbiamo tanto attesa, sfiorata, rinviata, ma eccoci finalmente catapultati nella Fase 2: scomparso il lockdown, via l’autocertificazione, evaporati i virologi dal palinsesto, il futuro è ora tutto nelle nostre mani.

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L’abbiamo tanto attesa, sfiorata, rinviata, ma eccoci finalmente catapultati nella Fase 2: scomparso il lockdown, via l’autocertificazione, evaporati i virologi dal palinsesto, il futuro è ora tutto nelle nostre mani.

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AM: Va detto però che i virologi ci sono rimasti un po’ male. Tormentati per mesi, acclamati, trattati come oracoli, trasformati in star della tv, infine messi da parte secondo il più classico dei canovacci nazionali: speranza dell’Italia – delega per la guida del paese – pubblicazione dei cachet delle ospitate televisive – esposto del Codacons.

MM: C’è stato il tragico momento in cui l’italiano ha scoperto che i virologi prendono soldi per andare in tv. Dunque, non lo facevano per amore! Un po’ come quando scopri che lo psicanalista non ti ama davvero, vuole solo i tuoi soldi.

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Il tragico momento in cui l’italiano ha scoperto che i virologi prendono soldi per andare in tv. Dunque, non lo facevano per amore!

AM: Peggio. Come quando a fine seduta ti dice: “che vuole la fattura?”. Panorama non ha neanche fatto in tempo a metterli tutti insieme in una copertina-gogna tipo “House of Virus” (“Comandano loro”), che arrivavano già le prime interviste con lamentazioni da vecchie dive del muto (“non ci chiedono più niente, ci hanno messo da parte”). E poi ripicche, vendette, querele. Adesso contano meno di quelli delle previsioni del tempo, tanto più che si riaprono i grandi capitoli interrotti, “ponte”, “gite fuori porta”, “spago con vongole e telline pied dans l’eau”, e noi vogliamo sapere se piove, non se ci fanno i tamponi. Ma tutto è finito con la copertina dell’ultimo Vanity Fair diretto da Paolo Sorrentino con quel famigerato bollino rosso, “attenzione: questo numero non contiene interviste a virologi”. Burioni, Gismondo, Ricciardi, Ilaria Capua, ormai in balia della sindrome Norma Desmond di “Viale del Tramonto”.

MM: “Noi siamo ancora grandi, è il Covid che è diventato piccolo”.

 

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AM: Vedrai che alla prima risalita della “curva” li riprendono tutti, come i richiamati del ‘92 nella Grande Guerra. Sempre che prima questi non facciano un partito, “Italia igienica”, per un paese pulito, un “vaste programme” di welfare batterico e introduzione della virologia a scuola, sanificazione gratuita delle seconde case, Amuchina di Stato, tamponi ogni venticinque del mese.

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MM: Ma non ci sono solo i virologi: la fine del lockdown ha portato anche la crisi dei sindaci. Una tragica livella. Quello di Milano, Sala, è l’ombra di sé stesso. Non azzecca più un tono. “Buongiorno Milano”, dice, e uno mette mano alla pistola, o ad altro, con scaramanzia. Ma è comprensibile, era abituato alla Milano lussureggiante, agli Starbucks che inaugurano le palme, alle biblioteche vegetali. La narrazione del disastro l’ha colto impreparato.

 

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AM: Al contrario Raggi pare uscirne benissimo. Grande vincitrice di non si sa bene cosa, visto che Roma è più zozza di prima, quell’aria di montagna tipo St. Moritz che si respirava nella Fase 1 è già un ricordo lontano, e il basso numero di contagi non è certo merito suo, ma come si dice in letteratura scientifica e clinica, “è culo”. Eppure, sembra politicamente rinata, rinvigorita. L’altro giorno sui social se ne lodava l’eleganza, lo stile, il portamento regale (forse dei milanesi orfani dei commenti al profilo Instagram di Sala). Ha fatto asfaltare due strade, pittare due ciclabili, e si sente un po’ sindaca di qualche metropoli nordica, tipo Copenhagen.

MM: O Milano.

AM: Infatti andrebbero invertiti. Il Sala di adesso è un sindaco di Roma perfetto.

MM: Scaricato come un virologo qualsiasi.

AM: Ha detto che forse non si ricandida, la Raggi invece incredibilmente sì. “Lasciamola lavorare, bloccarla ora sarebbe come se Giulio II avesse impedito improvvisamente a Michelangelo di terminare la decorazione della volta della Cappella Sistina”. La frase, già leggendaria, è dell’ex capogruppo M5s al comune di Roma.

MM: Ma è stata brava, comunque, va detto. In un momento in cui tutti hanno fatto dirette Instagram, lei ha postato solo foto di strade asfaltate, una cosa esotica e mai vista tra il pubblico romano. Io mi sono trovato a guardarli e riguardarli ossessivamente quei post con le betoniere. Raggi è chiaramente una Covivert, la categoria che ha reagito meglio alla crisi: Secondo Rivista Studio oltre a extrovert e introvert ci sono loro. Se gli estroversi hanno sofferto moltissimo la mancanza di distrazioni e di interazioni faccia a faccia, e gli introversi hanno sentito la mancanza della rigida routine alla quale erano abituati, c’è questa nuova categoria, i Covivert, quelli che si sono adattati immediatamente e sono stati in grado di valorizzare il tempo a disposizione grazie a una combinazione perfetta tra alcune abilità tipiche degli estroversi e altre normalmente attribuite agli introversi.

 

Virginia Raggi è chiaramente una Covivert, la categoria che ha reagito meglio alla crisi, che si è adattata quasi subito

AM: Poi c’è una grande fetta di popolazione che non ha combinato nulla, con le abilità consolidate del grande procrastinatore: non ha letto quel romanzo russo sul comodino da due anni, non ha mandato quella mail, sistemato i file nell’hard-disk, ordinato le mensole, pulito la cantina, a malapena avrà finito una serie su Netflix (la prima stagione) e non ha neanche fatto il cambio armadio, nei cassetti ha ancora i maglioni pesanti di marzo, piegati e intatti dal giorno in cui Conte ha chiuso il paese. Sono quelli che all’alba della Fase 1 si erano imposti un fittissimo calendario di eventi e buoni propositi e cose da recuperare che poi, tra una diretta della Protezione civile e l’altra, gli è franato tra le mani. Ora si ritrovano depressi in Fase 2.

MM: Ma poi uscire è un disastro. Lunedì, speranzoso, ho provato a tagliarmi i capelli dopo essermi prenotato due settimane prima da Mustafà, fido barbiere turco dell’Esquilino, che però il fatidico giorno aveva una vasta fila multietnica che arrivava fino all’angolo della strada, e a nulla è valsa la prenotazione, di fronte a proteste e a quella folla accalcata alla vetrina. Ho deciso di tenerli lunghi. E di tornare a rinchiudermi in casa.

 

AM: Io son passato davanti al barbiere poco prima della Fase 2. Era chiuso ma dietro il vetro scuro c’era lui che mi saluta, mi dice di entrare, poi chiude tutto, abbassa la serranda, mi porta nello sgabuzzino. Eravamo in tre, tutti in attesa di tagliarsi i capelli, praticamente a lume di candela. Siamo rimasti in silenzio, aspettando da un momento all’altro la retata della polizia, come in un bar ai tempi del proibizionismo, mentre lui spiegava tutto un giro di complicità e collusioni della trattativa Stato-parrucchieri.

MM: E’ un tema divisivo, comunque. La prima italiana a tagliarsi i capelli dopo due mesi è stata Maria Stufner, 49 anni di Sarentino, Alto Adige. “Ho chiamato a fine marzo”, ha detto a Repubblica, “già avevo la ricrescita bianca. Per piacere, smettiamola di considerare frivola la bellezza. L’Italia ci vive”.

AM: Un discorso da statista.

MM: Più di quello di Conte sulle vacanze. “Non starete in balcone!”, ha promesso, marziale, solenne, il 10 maggio, nell’ora più buia, come un Churchill dell’Alpitour. Non “rimbocchiamoci le maniche” o “lacrime e sangue”, ma “vi prometto che quest’estate andrete in vacanza!”, ha giurato. La vacanza come obiettivo cui “stringersi a coorte”, come massimo orizzonte motivazionale da primo ministro (poi si capiscono i pil e i caratteri nazionali). Come se al momento di riunificare la Germania, buttato giù il muro quelli avessero detto “e adesso via le prenotazioni per l’Oktoberfest!”.

AM: Il fatto è che c’è questo strano clima da Ferragosto, da vacanza, anche se siamo solo a metà maggio, sfiniti, stremati dallo smartworking che no, non rende liberi, consumati dalla piaga delle riunioni su zoom, una media di tre o quattro al giorno, solo per dirci cose che prima si risolvevano con due scambi su WhatsApp.

MM: Naturalmente il sogno segreto è la barca. Permette il distanziamento, e forse inconsciamente piace perché dopo esser stati chiusi in casa tre mesi, ci si vuole rinchiudere un’altra volta.

AM: In alternativa, la villa con la piscina, ambitissima. Anche se a me ora basta anche una passeggiata ai giardinetti con lo scivolo, se non fosse che con gli asili nido chiusi e le case dei nonni off limits sono diventati una specie di Woodstock dei bambini.

MM: O il cicloturismo a Roma e Milano, invase di bonus bici e ciclabili. Ci verranno da Amsterdam a fare le vacanze.

AM: Intanto però riaprono gli aeroporti: Alitalia ha ripristinato il collegamento con New York. Anche perché il coronavirus ha rilanciato la “compagnia di bandiera”.

 

Sarà disturbo post traumatico da stress, ma più che scendere in strada a festeggiare la liberazione, ci si sente vittime di una dittatura

MM: Te credo, con 3 miliardi in arrivo. Questo sì che è helicopter money. Anzi airplane. Però se proprio vogliamo a tutti i costi una compagnia di bandiera, almeno dateci i biglietti gratis. Dopo lo stato imprenditore, lo stato steward. 

AM: E se c’è uno con la faccia perfetta da pilota Alitalia quello è Giuseppe Conte. Un comandante impeccabile, bello, piacionissimo e sicuro di sé, con la camicia bianca mezze maniche e i galloni. Mentre elencava la valanga di soldi in arrivo nell’ultima diretta è diventato poi chiaro a tutti che il “miracolo italiano” del Cav. era solo in anticipo di venticinque anni. Berlusconi come un grande, folle visionario che doveva solo aggiustare un po’ il tiro: un milione di posti di lavoro statali.

 

MM: Ma nella nuova Alitalia, mi chiedo, le divise delle hostess saranno sempre coprenti simil-burqa? E che fine hanno fatto gli arabi di Etihad?

AM: C’entrerà Silvia Romano anche qui?

MM: Con lei giustamente gli italiani si sono incazzati. Loro erano chiusi in casa da mesi, senza poter salire su un aereo, e arriva lei, liberata dal suo lockdown, pure col Falcon dell’aeronautica!

 

Se c’è uno con la faccia perfetta da pilota Alitalia quello è Giuseppe Conte. Comandante impeccabile, piacionissimo e sicuro di sé

AM: E l’abbraccio ai congiunti! Però abbiamo tirato fuori un format impeccabile, da rifare subito con rapimento di Totti, riscatto e ritorno a Ciampino con la sciarpa della Lazio. Altro che disgregazione nazionale, veleni, polemiche, lì viene giù tutto, quantomeno Roma Capitale. Questo coronavirus è stato e resterà, oltre che una catastrofe, un grande rito collettivo di rievocazione dell’Italia più ancestrale, un continuo andirivieni tra i nostri due grandi romanzi di formazione, con la Fase 2 in puro “Pinocchio” (il dramma della libertà improvvisa, i carabinieri, lo spritz, la movida dei balocchi dopo il lockdown, “infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare”) e naturalmente la Fase 1, 2 e 3 come un reboot permanente e “diffuso” dei “Promessi Sposi”, i congiunti separati, la burocrazia ottusa, la peste, l’assalto ai forni, gli untori, e l’ultimo tassello, Silvia Romano, come una perfetta, sublime rilettura della Monaca di Monza.

MM: E Flaiano: “I promessi sposi sono la storia italiana fissata per sempre, la sua tipologia eterna, una specie di calendario perpetuo, lo zodiaco con i suoi segni inevitabili. Ci saranno sempre da noi due che non possono sposarsi o restare amici perché ci si mette di mezzo l’apparato pubblico italiano con i suoi burocrati, le sue squadracce, la miseria, la peste, la guerra, l’ipocrisia, la paura, il disordine”.

 

AM: E Arbasino: “Letti a scuola, i promessi sposi fornivano quadretti e stampe di un’Italia molto remota e rimossa: Chi ne avrebbe previsto una rilettura – corsi e ricorsi – di un’attualità addirittura giornalistica?”. “Avvisi contrastanti e disattesi, provvedimenti sempre tardivi e inefficaci, credulità, incredulità, dispute, demonizzazioni, incompetenza, incapacità, sfiducia, e la disorganizzazione degli ospedali” e “se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei lasciato imperfetto qualunque affare e sarei tornato subito a casa mia”. E’ “Paese senza”, 1980.

MM: Ecco, la cosa peggiore della Fase 1 è che ci ha portato via Arbasino. Chissà che avrebbe detto Alberto dell’arrivo a Ciampino, di Di Maio con la mascherina tricolore. Diciamo la verità, però: portare la mascherina adesso a me fa quasi piacere, capisco la comodità del velo, puoi uscire senza neanche lavarti la faccia e senza andare dal parrucchiere. C’è anche una immancabile parola tedesca, maskenfreiheit: la libertà data dal portare una maschera.

AM: Vestirsi e mettersi i pantaloni invece è uno strazio.

MM: Saremo anche noi irrimediabilmente convertiti? Il Covid come il nostro Al Shabaab? Comunque vada, un disastro: sarà disturbo post traumatico da stress, ma più che scendere in strada a festeggiare la liberazione, ci si sente vittime di una dittatura o di un rapimento, come germanici dell’est privati del muro, coreani del Nord senza il Caro leader: diciamoci la verità, siamo perduti. Nessuno voleva davvero andare a incolonnarsi nel traffico o in una libreria. Era più l’idea. Stavamo benissimo: sveglia, caffè, spesa razionata, mascherina, autocertificazione, e la sera a letto dopo Conte, come con Carosello. Qualcuno spera addirittura in una seconda ondata, osando l’indicibile.

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