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La nemesi di Bonafede

David Allegranti

“Il ministro paga lo scontro tra populisti giudiziari, ma la mozione di sfiducia è da respingere”, dice Verini

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Roma. “Il tentativo di sfiduciare il ministro Alfonso Bonafede nasce da uno scontro che ha rappresentato una sorta di nemesi tra populisti giudiziari, che in questi anni hanno praticato una gara all’ultima purezza. Ciò non toglie che sia sbagliato, anche nel merito, e che sia in corso un attacco al governo che va respinto”. Walter Verini, responsabile Giustizia del Pd, spiega al Foglio perché “un eventuale successo delle mozioni di sfiducia contro Bonafede, che è anche il capo della delegazione del M5s, sarebbe un colpo al governo, segnandone la crisi”. C’è anche un problema Italia viva per il governo, sottolinea Verini, “anche se non credo che il partito di Renzi arrivi al punto di provocare le dimissioni del ministro della Giustizia, pur con tutte le divaricazioni che ci sono state in questi mesi. Il paese di tutto ha bisogno meno che di una crisi al buio. Sarebbe semplicemente irresponsabile”. Anche perché, dice Verini, “le mozioni sono sbagliate anche nel merito. Di Matteo ha alluso di fatto a una sorta di ‘cedimento’ di Bonafede nei confronti dei boss mafiosi. E lo ha fatto, lui che è anche membro del Csm, in un dibattito televisivo due anni dopo i presunti fatti. Se avesse ravvisato qualche indulgenza di Bonafede nei confronti dei boss mafiosi avrebbe dovuto esercitare l’azione penale”. Quella di Di Matteo, dice Verini, è “un’allusione spazzata via dai fatti. Bonafede, nel momento in cui si è accorto delle gravi falle del sistema, ha cambiato il capo Dap Basentini mettendoci Tartaglia e Petralia, due magistrati antimafia, dando un segnale forte. In più, nel decreto ‘Cura Italia’ la parte che riguardava il sovraffollamento escludeva dal ricorso ai domiciliari i detenuti per gravi reati come associazione mafiosa, terrorismo, violenza di genere e contro i minori. Nel decreto del 30 aprile, si stabilisce che i magistrati di sorveglianza per decidere sulle richieste dei domiciliari per motivi di salute devono consultare i procuratori antimafia”.

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Roma. “Il tentativo di sfiduciare il ministro Alfonso Bonafede nasce da uno scontro che ha rappresentato una sorta di nemesi tra populisti giudiziari, che in questi anni hanno praticato una gara all’ultima purezza. Ciò non toglie che sia sbagliato, anche nel merito, e che sia in corso un attacco al governo che va respinto”. Walter Verini, responsabile Giustizia del Pd, spiega al Foglio perché “un eventuale successo delle mozioni di sfiducia contro Bonafede, che è anche il capo della delegazione del M5s, sarebbe un colpo al governo, segnandone la crisi”. C’è anche un problema Italia viva per il governo, sottolinea Verini, “anche se non credo che il partito di Renzi arrivi al punto di provocare le dimissioni del ministro della Giustizia, pur con tutte le divaricazioni che ci sono state in questi mesi. Il paese di tutto ha bisogno meno che di una crisi al buio. Sarebbe semplicemente irresponsabile”. Anche perché, dice Verini, “le mozioni sono sbagliate anche nel merito. Di Matteo ha alluso di fatto a una sorta di ‘cedimento’ di Bonafede nei confronti dei boss mafiosi. E lo ha fatto, lui che è anche membro del Csm, in un dibattito televisivo due anni dopo i presunti fatti. Se avesse ravvisato qualche indulgenza di Bonafede nei confronti dei boss mafiosi avrebbe dovuto esercitare l’azione penale”. Quella di Di Matteo, dice Verini, è “un’allusione spazzata via dai fatti. Bonafede, nel momento in cui si è accorto delle gravi falle del sistema, ha cambiato il capo Dap Basentini mettendoci Tartaglia e Petralia, due magistrati antimafia, dando un segnale forte. In più, nel decreto ‘Cura Italia’ la parte che riguardava il sovraffollamento escludeva dal ricorso ai domiciliari i detenuti per gravi reati come associazione mafiosa, terrorismo, violenza di genere e contro i minori. Nel decreto del 30 aprile, si stabilisce che i magistrati di sorveglianza per decidere sulle richieste dei domiciliari per motivi di salute devono consultare i procuratori antimafia”.

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Un terzo decreto “stabilisce di verificare periodicamente se le ragioni di salute legate all’emergenza che hanno portato alla scarcerazione sono ancora valide e se la pandemia è diversamente aggressiva. Come si vede, non c’è stato alcun cedimento del ministro e del governo sul terreno dell’antimafia. Per queste ragioni di merito, ma anche per ragioni politiche, le mozioni di sfiducia vanno respinte”. Detto questo, però, “una volta superato l’attacco politico al governo e superata la fase pandemica, bisogna che il ministro e la maggioranza passino a una fase due se non tre della giustizia. Dobbiamo eliminare gli avvelenamenti più che ventennali della giustizia italiana”. E come? “Noi siamo contro gli ‘opposti estremismi’ di giustizialismo e garantismo”. In che senso? “Siamo contro il populismo giustizialista e contro il garantismo a corrente alternata. E l’uso politico di questi. Siamo per una giustizia giusta e per garanzie e diritti per tutti. Tempi certi e pene certe. Se da un lato dobbiamo essere implacabili contro le mafie e la corruzione dall’altro dobbiamo ribadire che un avviso di garanzia è una garanzia per l’indagato, non è una sentenza di terzo grado, e non possiamo cedere al populismo mediatico-giustizialista”. Per questo, dice Verini, “abbiamo proposto una sessione parlamentare dedicata alla giustizia. Sei mesi in cui il Parlamento per due volte alla settimana si dedica a questi temi, per fare alcune riforme essenziali. Anzitutto, una riforma del Csm, che contribuisca anche con meccanismi nuovi di nomina a colpire il correntismo deteriore della magistratura. E Dio sa quanto ce n’è bisogno per contribuire a restituire piena credibilità alla magistratura”.

 

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Secondo, “serve una riforma del processo penale, per avere processi rapidi e arrivare in 5-6 anni al terzo grado di giudizio. Così la questione prescrizione esce di scena. Rispettando il diritto del cittadino e il dovere dello stato di avere un esito in un tempo di durata ragionevole. Una persona non può stare imputata a vita. Alcuni reati possono essere depenalizzati, colpendo con sanzioni pecuniarie, che fanno molto male, più di pene mai comminate”. Terzo, dice Verini, serve “una riforma dell’ordinamento penitenziario. Non arriverò ad affermare, come ha detto con suggestiva analisi Gherardo Colombo, che il carcere è da ‘abolire’. Ma che sia l’extrema ratio e che servano pene alternative sì. E’ una questione sollevata da varie personalità come Luciano Violante, Giovanni Maria Flick, Giuseppe Pignatone. Non siamo per gli ‘svuotacarceri’, come ci direbbero i nostri populsovranisti alle vongole, ma per applicare davvero l’articolo 27 della Costituzione: ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’”.

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