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I miliardi del Recovery fund sono una brutta notizia per la fronda grillina

Valerio Valentini

Dibba chi? L’uno-due di Macron e Merkel disinnesca la minoranza del M5s e ridimensiona i piani di Di Maio

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Roma. L’ultima volta era stato a Deauville. Ed Enzo Amendola, ancora lunedì, ai colleghi di governo che gli chiedevano un pronostico offriva la rassicurazione: “Stavolta sarà diverso”. Non molto, come anticipazione, ma abbastanza per rassicurare gli animi. Perché quando Francia e Germania decidono di indicare una strada per l’Europa, non è quasi mai un fatto banale. 

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Roma. L’ultima volta era stato a Deauville. Ed Enzo Amendola, ancora lunedì, ai colleghi di governo che gli chiedevano un pronostico offriva la rassicurazione: “Stavolta sarà diverso”. Non molto, come anticipazione, ma abbastanza per rassicurare gli animi. Perché quando Francia e Germania decidono di indicare una strada per l’Europa, non è quasi mai un fatto banale. 

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Sul bagnasciuga della Normandia, nel tiepido tramonto d’ottobre del 2010, fu un disastro. La camminata di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy innescò, più o meno consapevolmente, la crisi finanziaria dell’Unione europea, ribadendo la loro opposizione a qualsiasi forma di Eurobond, e anzi annunciando una stretta sulle politiche di rigore. Chi, ieri, ha commentato con un rigurgito di sovranismo contro l’egemonia franco-tedesca – dalla Meloni a Salvini, passando per Calenda – forse dimentica che l’Europa sa muoversi solo su iniziativa congiunta di Parigi e Berlino: e che il problema semmai è capire, appunto, quale sia la strada indicata. “Domani vedremo la reazione sui mercati”, commentava il ministro per gli Affari europei Amendola, al termine della videoconferenza di Emmanuel Macron e della cancelliera Merkel. E lo diceva in un ghigno di gravità speranzosa. E infatti i mercati, che all’indomani della passeggiata di Deauville aprirono con un tonfo clamoroso, ieri hanno festeggiato: lo spread italiano è sceso di quasi venti punti, galleggiando poco sopra i 200 punti base come non accadeva dall’inizio della crisi del Covid. Ché i 500 miliardi del Recovery fund disegnato da Merkel e Macron saranno pure meno dei 1.000 auspicati dal commissario Paolo Gentiloni, ma sono comunque tutti costituiti da sussidi: chi ha visto i paper da cui s’è avviato il negoziato, a metà aprile, quando da Berlino si parlava di 200 miliardi di “loans” e appena 100 di “grants”, quasi non ci sperava. “Anche perché il Fondo, che è ancora solo un punto di partenza per noi migliorabile, si finanzierà con l’emissione di bond, cioè di debito comune all’Unione europea: e questo è a prescindere un risultato epocale”, commenta Sergio Battelli, presidente grillino della commissione Affari europei alla Camera. Che aggiunge: “E apprezzabilissime sono anche le parole di Christine Lagarde, che di fatto invoca alla revisione del Patto di stabilità prima della sua riattivazione”.

  

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E certo Battelli non ha mai condiviso gli strepiti antieuropeisti di tanti suoi colleghi del M5s, ma la novità è che stavolta la sua linea, più accomodante verso l’asse franco-tedesco, è maggioritaria nel M5s. E così perfino Ignazio Corrao, eurodeputato di fede dibbattistiana, pur dicendo che “a me tutto quello che Francia e Germania fanno da sole non piace mai”, riconosce che quella francotedesca è “una bozza su cui lavorare, e non è negativa”. Litote di prammatica, evidentemente. Perché anche Corrao sa bene, e lo ammette, che il M5s deve “tifare perché il Recovery Fund venga attivato bene e in fretta, perché è di fatto l’unico modo per evitare la trappola del Mes”. Che è, nella retorica grillina, una trappola finanziaria fatta di fantomatici burocrati al soldo di Berlino che arrivano a richiedere il loro tributo di lacrime e sangue al popolo italiano. Ma è anche, e soprattutto, una trappola parlamentare, come in fondo sa anche Luigi Di Maio. Il quale, al di là delle bellicose dichiarazioni di maniera, è consapevole che un eventuale voto in Aula sul Mes spaccherebbe il M5s: e se è vero che qualcuno dei suoi fedelissimi vede in questo incidente l’occasione giusta per silurare Giuseppe Conte e riprendersi la guida del Movimento, è anche vero che la manovra è talmente azzardata che il ministro degli Esteri se la risparmierebbe volentieri. E insomma anche lui, che incitava i gilet gialli al golpe contro Macron, ora è costretto a sperare che la mossa del presidente francese vada in porto. E così, se le note anonime che la comunicazione grillina fa circolare parlano di insoddisfazione, quasi a voler mettere il premier Conte sulla graticola, con più pragmatismo il sottosegretario agli Affari europei del M5s, Laura Agea, fa due conti e dice che “sì, tra Sure e Recovery fund all’Italia potrebbero arrivare oltre 100 miliardi”. Gli unici in grado di rendere forse superflui, o contestabili, i 36 del Mes. “Ma aspettiamo la proposta della Commissione, che il 27 maggio discuterà il progetto franco-tedesco integrandolo con le richieste di altri paesi, tra cui l’Italia”, prosegue la Agea. “E speriamo che sia una proposta ambiziosa”.

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