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editoriali

Bonafede contro il modello Bonafede

Redazione

La difesa del ministro diventa un attacco involontario al metodo Travaglio

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Quando il Guardasigilli Bonafede, per difendersi in Senato dalle mozioni di sfiducia, ha esordito prendendosela con “le allusioni e le illazioni” emerse nel dibattito politico e mediatico si è compreso come si fosse davanti a un evento eccezionale, tanto tragico quanto comico: per respingere le accuse di non aver nominato il pm Nino Di Matteo al vertice del Dap su spinta di presunte pressioni mafiose, il ministro ha dovuto sconfessare quella cultura del sospetto su cui il movimento di cui fa parte, con la complicità dei teorici del metodo Travaglio, ha costruito le sue fortune, sventolando le manette di fronte a ogni avviso di garanzia, chiedendo dimissioni sulla base di semplici congetture, rappresentando la classe politica come un ammasso di corrotti e alimentando teorie complottiste su indicibili trattative tra lo Stato e le mafie.

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Quando il Guardasigilli Bonafede, per difendersi in Senato dalle mozioni di sfiducia, ha esordito prendendosela con “le allusioni e le illazioni” emerse nel dibattito politico e mediatico si è compreso come si fosse davanti a un evento eccezionale, tanto tragico quanto comico: per respingere le accuse di non aver nominato il pm Nino Di Matteo al vertice del Dap su spinta di presunte pressioni mafiose, il ministro ha dovuto sconfessare quella cultura del sospetto su cui il movimento di cui fa parte, con la complicità dei teorici del metodo Travaglio, ha costruito le sue fortune, sventolando le manette di fronte a ogni avviso di garanzia, chiedendo dimissioni sulla base di semplici congetture, rappresentando la classe politica come un ammasso di corrotti e alimentando teorie complottiste su indicibili trattative tra lo Stato e le mafie.

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Così, riscopertosi improvvisamente garantista, Bonafede ha rigettato gli “pseudo dubbi che il dibattito politico e mediatico ha volutamente costruito” sulle parole di Di Matteo. Ha opposto “la forza dei fatti”, ricostruendo la vicenda e sottolineando che si sta parlando di “colloqui informali risalenti addirittura a quasi due anni fa”, che le famose esternazioni dei mafiosi in carcere “erano note al ministero ben prima” della telefonata in cui egli propose al pm la guida del Dap, e che successivamente non fece un passo indietro, ma piuttosto si convinse che l’opzione migliore fosse quella di proporre a Di Matteo “il ruolo che fu di Giovanni Falcone” alla direzione generale degli affari penali del ministero.

 

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“Non sono più disposto a tollerare alcuna allusione o ridicola illazione”, ha ribadito Bonafede, respingendo ogni sospetto “trattativista”. Ma non è tutto. Dopo aver cavalcato per anni il malessere contro la “casta” e le manovre torbide del Palazzo, il ministro è stato costretto ad affermare che i fatti relativi alla vicenda Di Matteo “non hanno niente di particolare, né tantomeno di eccezionale, rispetto alle modalità e alle dinamiche di una qualsiasi nomina fiduciaria e discrezionale”. Nessuna reale conversione garantista, ovviamente, ma solo il tentativo di difendere se stessi, anche a costo di apparire ridicoli.

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