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Quattro leader più uno per capire che Italia uscirà dalla pandemia

Claudio Cerasa

Il coronavirus ha trasformato alcune geometrie politiche e con la crisi economica potrebbe cambiare anche la traiettoria della legislatura. Come si sono mossi e come forse si muoveranno Conte, Renzi, Zingaretti e Salvini. Appunti sulla nuova normalità

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Il ritorno progressivo a qualcosa di simile a una nuova normalità coinciderà con il ritorno progressivo a qualcosa di simile a una nuova normalità anche della politica. E nel giro di pochi giorni è facile prevedere che le discussioni sul come riaprire, sul come ricostruire e sul come ripartire divideranno il paese con dinamiche non troppo diverse rispetto a quelle del pre pandemia. La pandemia però ha cambiato qualcosa di importante all’interno del nostro dibattito politico, ha trasformato alcune geometrie, ha imposto nuovi equilibri e, complice una crisi economica che promette di essere devastante, potrebbe cambiare in modo significativo anche la traiettoria di questa legislatura. Non sappiamo cosa accadrà, anche se qualche sospetto lo abbiamo, ma per capire cosa potrebbe accadere può essere utile mettere insieme dei mini ritratti sintetici dei leader politici che in questa fase potrebbero contribuire a determinare delle trasformazioni importanti. Partiamo? Partiamo.

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Il ritorno progressivo a qualcosa di simile a una nuova normalità coinciderà con il ritorno progressivo a qualcosa di simile a una nuova normalità anche della politica. E nel giro di pochi giorni è facile prevedere che le discussioni sul come riaprire, sul come ricostruire e sul come ripartire divideranno il paese con dinamiche non troppo diverse rispetto a quelle del pre pandemia. La pandemia però ha cambiato qualcosa di importante all’interno del nostro dibattito politico, ha trasformato alcune geometrie, ha imposto nuovi equilibri e, complice una crisi economica che promette di essere devastante, potrebbe cambiare in modo significativo anche la traiettoria di questa legislatura. Non sappiamo cosa accadrà, anche se qualche sospetto lo abbiamo, ma per capire cosa potrebbe accadere può essere utile mettere insieme dei mini ritratti sintetici dei leader politici che in questa fase potrebbero contribuire a determinare delle trasformazioni importanti. Partiamo? Partiamo.

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Giuseppe Conte

Non passerà alla storia come il presidente del Consiglio che ha cambiato il paese ma negli ultimi mesi Giuseppe Conte è riuscito in un piccolo miracolo che va oltre le politiche adottate per contenere l’epidemia e che forse prima o poi anche i suoi detrattori dovrebbero considerare: convincere il partito di cui Conte è espressione che l’unico modo per poter essere compatibile con la realtà di governo è fare di tutto per smentire le promesse elettorali. 

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Giuseppe Conte, da questo punto di vista, è come una sorta di perfetto Google Translate del Parlamento e fino a oggi, nella seconda esperienza di governo, è riuscito a fare quello che due anni fa sarebbe stato impensabile: ha messo dentro il suo sistema di traduzione simultaneo le incomprensibili “istanze” del suo partito di riferimento e le ha tradotte in un qualcosa che non fosse incompatibile con la gestione di uno dei paesi più industrializzati del mondo. Era stato scelto per rappresentare due partiti antieuropeisti, Lega e M5s, e oggi si trova a rappresentare uno dei governi più europeisti d’Europa. Era stato scelto per porre un argine contro il Pd e oggi il partito di cui è espressione governa con il Pd. Era stato scelto per imporre la teoria dell’uno vale uno e oggi il governo che guida si affida alla scienza come pochi governi hanno fatto in passato. Era stato scelto per opporsi al Fondo salva stati e oggi il suo governo sarà forse uno dei primi a chiedere un aiuto senza condizionalità stringenti al nuovo Fondo salva stati. Conte ha gestito la pandemia in un modo non impeccabile (d’altronde come si fa a essere impeccabili di fronte a un evento imprevisto e in un alcune forme mai visto finora) ma il modello di contenimento adottato è simile a quello utilizzato da molti altri paesi europei e gli errori commessi dall’Italia non sono così differenti rispetto a quelli commessi da altri paesi. Ma il passaggio dalla fase del contenimento a quella della ricostruzione potrebbe richiedere al governo caratteristiche diverse e anche Conte oggi sa che il suo partito di riferimento in un modo o in un altro dovrà accettare quello che due anni fa sarebbe stato inaccettabile: non vergognarsi di chiedere una mano, per la ricostruzione, non solo al Pd, non solo a Renzi ma anche al Cav. Chissà come finirà.

 

Matteo Renzi

A voler guardare i sondaggi, l’ex presidente del Consiglio ha ben poche ragioni per essere sereno, per utilizzare un’espressione a lui cara, e dovrebbe forse chiedersi se in una stagione difficile come quella che stiamo affrontando oggi il suo progetto politico possa avere un futuro. Ma nonostante le valutazioni sul destino del partito di Renzi – la legislatura è ancora lunga – è difficile negare quello che negli ultimi mesi è stato il vero ruolo incarnato, non sappiamo quanto volontariamente, dall’ex segretario del Pd. Nell’atletica leggera, come molti sanno, vi è una figura particolare che all’inizio di una gara scatta prima delle altre, per cercare di tenere alto il ritmo del gruppo e per provare a tenere il tempo della gara il più basso possibile. Quella figura quasi mai arriva prima al traguardo ma è una figura importante perché tende a dettare in un primo momento i tempi della corsa. E dalla scorsa estate a oggi Matteo Renzi si può dire che nella politica italiana ha avuto un ruolo simile a quello della lepre: ha fatto un passo in avanti, prima degli altri, a volte in modo scomposto e poco ortodosso, e poi gli altri corridori, a volte superandolo e lasciandolo indietro, lo hanno regolarmente seguito. Se oggi l’Italia ha un governo europeista e non un governo antieuropeista lo si deve prima di tutto all’iniziativa di Renzi (e i critici di quell’operazione oggi sono simili ai no vax: la loro voce, onestamente, non si sente più) e se l’Italia nelle prossime settimane avrà un governo più forte di quello che c’è oggi lo si dovrà, oltre che al Pd, anche al tentativo discreto fatto dall’ex presidente del Consiglio di triangolare esplicitamente con un pezzo di Lega non impresentabile per tentare di portare l’Italia in una fase della ricostruzione con una maggioranza più forte rispetto a quella che c’è oggi. Renzi, su questa linea, è già partito da tempo come una lepre. E’ una sfida quasi impossibile. Ma chissà che il gruppone in qualche modo non lo segua.

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Nicola Zingaretti

Il segretario del Pd, aperitivo a parte a Milano, è stato uno dei protagonisti positivi di questi mesi, non per questioni legate a sue iniziative personali, ma per questioni legate al suo profilo sobrio e al posizionamento pressoché perfetto del suo partito. E’ stato il Pd, all’interno della compagine di governo, aperitivi a parte, il partito ad aver spinto più di chiunque altro per il lockdown (le scuole sono state chiuse per volontà del Pd, lo stesso Conte inizialmente era scettico). Ed è stato il Pd, con i suoi uomini schierati in Europa, il partito ad avere reso possibile ciò che un anno fa sarebbe stato impossibile: contare qualcosa in Europa, non cedere di un millimetro sul populismo antieuropeista e avere voce in capitolo nelle scelte importanti, sia al Parlamento europeo (il cui presidente, David Sassoli, è del Pd), sia in Commissione (dove il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, è anch’egli del Pd), sia all’Eurogruppo (Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, del Pd, forte della sua esperienza passata alla commissione Econ, non è un passante in Europa). Zingaretti, forse meglio di chiunque altro, è riuscito a trasformare in virtù quello che per molti mesi era stato considerato un vizio e ha capitalizzato nel modo migliore possibile una condizione nuova della geometria politica italiana: in una fase straordinaria, l’ordinario, cioè l’idea dello stare uniti, diventa come un bene rifugio e nella fase straordinaria che stiamo vivendo una leadership che non appariva straordinaria è riuscita a incarnare meglio di altre leadership lo spirito del tempo (oggi il Pd, secondo alcuni sondaggi, è a meno cinque punti dalla Lega). E chissà che, in una stagione mutata, non sia proprio il nuovo Pd a compiere il miracolo di portare il leader politico forse più apprezzato in questa stagione pandemica, ovvero Silvio Berlusconi, sempre più lontano dall’opposizione e sempre più vicino alle posizioni di governo. Fingers crossed.

 

Matteo Salvini

Il leader della Lega è il politico uscito maggiormente frastornato dalla pandemia e a poco meno di un anno dalla sua cacciata dal governo il suo partito si trova in una condizione simile a quella dell’asino di Buridano. Ricordate la storia? “Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d’acqua, ma non c’è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore”. Ecco. Salvini si trova lì, stretto tra un’intransigenza che non paga, tranne forse al Papeete, e una volontà di contare qualcosa, e di non mettersi fuori dal mondo, resa incompatibile dalla persistenza nel proprio partito di soggetti politici influenti che si ingegnano in tutti i modi per far stare la Lega fuori dal mondo e lontano dall’Europa. Salvini non tocca palla, non fa più notizia, non buca lo schermo, non ha idee, non ha una strategia, non ha progetti, non ha proposte, viene ormai insultato anche dai vicini di balcone in diretta Instagram e nel giro di qualche settimana dovrà decidere, è ostaggio del partito anti euro, è stato costretto a registrare che l’unico governatore leghista ad aver affrontato con buoni risultati la pandemia è stato quello più distante da lui e nel giro di poche settimane dovrà decidere da che parte stare: se continuare a fare la guerra al mondo per essere fedele al suo dogma antieuropeista, senza ottenere risultati e prendendo molti calci in bocca, o se decidere di cambiare registro, ingoiare qualche rospo, ascoltare il saggio Giorgetti e triangolare con Berlusconi, con Renzi e con il Pd per far nascere un governo di unità nazionale. Salvini non sembra in grado di prendere una decisione non avventata ma nella Lega una classe dirigente all’altezza delle sfide c’è. Tocca vedere se per una volta, piuttosto che ingoiare ogni sciocchezza, avrà o no il coraggio di osare.

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