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Così la propaganda sovranista tiene ostaggio il governo sull’Europa

Valerio Valentini

Salvini influenza il M5s, che condiziona Conte. E l’Italia fa l’equilibrista a Bruxelles. Risultati in Europa e maggioranza ballerina

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Roma. Gabriele Bischoff, eurodeputata tedesca della Spd, prova quasi a consolarci. “Non succede solo in Italia: ovunque i partiti sovranisti, nati sulle macerie della crisi del 2008, usano gli stereotipi nazionali ai fini della loro comunicazione interna. C’è una propaganda tossica parallela. Qui a Berlino si dice che non possiamo fare i Coronabond perché poi spagnoli e italiani smetterebbero di lavorare e lì a Roma si dice che il Mes serve alla Merkel per imporvi l’austerity. E l’Europa è vittima di veti incrociati”.

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Roma. Gabriele Bischoff, eurodeputata tedesca della Spd, prova quasi a consolarci. “Non succede solo in Italia: ovunque i partiti sovranisti, nati sulle macerie della crisi del 2008, usano gli stereotipi nazionali ai fini della loro comunicazione interna. C’è una propaganda tossica parallela. Qui a Berlino si dice che non possiamo fare i Coronabond perché poi spagnoli e italiani smetterebbero di lavorare e lì a Roma si dice che il Mes serve alla Merkel per imporvi l’austerity. E l’Europa è vittima di veti incrociati”.

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E sarà pure che tutto il mondo è paese, ma da noi i sovranisti sono spesso maggioranza in Parlamento. E così, se l’annuncio del pur significativo accordo dei 27 stati membri sull’introduzione in tempi rapidi del Recovery fund non viene accolto con grandi entusiasmi dai partiti, se Conte non può sentirsi tranquillo nel presentare “i grandi progressi, impensabili fino a poche settimane fa” alla fine del Consiglio europeo di ieri, lo si deve proprio agli effetti collaterali di quella muscolare retorica populista che il M5s, e in parte lo stesso premier, hanno alimentato. “Per i sovranisti – dice Luigi Marattin di Italia viva – funziona così: per essere accettabili, le risorse dell’Ue devono essere un qualcosa a metà tra il pozzo di San Patrizio e Babbo Natale. Perché non gli interessa trovare soluzioni, ma solo soffiare sul sentimento anti europeista”.

 

E’ una dinamica che tocca la Lega e FdI, che guardano alle casse della Bce e della Commissione come a delle mammelle mai abbastanza gonfie: a Bruxelles sospendono il Patto di stabilità e le norme sugli aiuti di stato, e Matteo Salvini e Giorgia Meloni, arguti come volpi, sgamano subito l’inghippo: “Eh, ma così volete farci indebitare per poi commissariarci”. 

 

Francoforte lancia un Qe straordinario che ci fa risparmiare decine di miliardi, e i due irriducibili leader della destra italica stanano quella furbastra della Lagarde: “Se davvero vuoi aiutarci, allora compra i nostri bot sovranisti”. Ma non sono gli unici, Meloni e Salvini, ad attingere dalla loro primaria fonte di legittimazione politica, cioè il dagli all’Europa brutta e cattiva. E così, mentre la Bce annuncia che acquisterà anche i titoli junk, con una misura che più specificamente a favore dell’Italia non si potrebbe, ecco che Raphael Raduzzi, barricadero No Mes del M5s, dice che la Lagarde dovrebbe acquistare anche i bond perpetui proposti dalla Spagna, evidenziando come lo svarione della viceministro Laura Castelli di qualche giorno prima (“debito senza scadenze e a tasso zero”) più una gaffe fosse un lapsus: nascondeva cioè l’intenzione di avanzare l’ennesima richiesta inaccettabile. E così, di aporia in aporia, tutte buone per mostrare che “l’Ue non ci ascolta”, si arriva alle lamentele sul Mes di Stefano Buffagni, perché “il Fondo salva stati i soldi mica ce li regala, poi dobbiamo restituirli”. Ma va? Claudio Borghi ammise che se non fosse stato per Salvini “io predicherei al circolo delle bocce”. E invece ora la sua nostalgia per la gloriosa lira tiene in scacco l’intero Parlamento per quell’“effetto domino” descritto dalla deputata del Pd Chiara Gribaudo: “Siccome Salvini e Meloni urlano contro il Mes un pezzo del M5s, che non ha mai elaborato il lutto del governo gialloverde, si spaventa di non essere abbastanza sovranista, e quindi gli va dietro. E siccome Conte deve badare ai malumori del M5s, la possibilità per l’Italia di elaborare proposte serie e articolate in Europa, senza pregiudizi e ipocrisie, si riduce di molto”.

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Ed è stato così che, per non scontentare Di Maio e soci, il governo italiano al Consiglio europeo ci è arrivato senza una vera proposta, ma logorato da una serie interminabile di annunci e smentite, correzioni in corsa e ripensamenti che alla fine ci hanno costretto a sposare un po’ la tesi francese del Recovery fund e un po’ l’istanza spagnola dei debiti perpetui. E non è certo questione di bandierine. Ci mancherebbe. E’ semmai un problema di credibilità: se alla vigilia del Consiglio europeo, il ministro dell’Economia Gualtieri dichiara al Financial Times che l’Italia non è più affezionata all’idea dei Coronabond, contraddicendo – come notato dallo stesso quotidiano finanziario – i precedenti annunci del premier Conte, si capisce che la necessità di dover addomesticare gli umori dei grillini, e tenere in piedi una maggioranza che traballa ogni volta che si affrontano questioni europee, ha costretto il governo a dei contorcimenti non proprio utili alla causa italiana. E questo non è certo colpa dell’Europa.

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