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Conte espugna pure l’Aise e raddoppia col Dis, ma il Pd mugugna

Valerio Valentini

Solo una cosa interessava davvero al premier: i servizi segreti. Ma adesso i dem gli chiedono di lasciare le deleghe

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Roma. Sarà pure vero, come maligna uno dei notabili grillini coinvolto nella pokerata delle nomine, che “alla fine Conte s’è tenuto solo una ridotta”. E però, essendo una ridotta che ha a che fare col tentativo di controllo pressoché assoluto dei servizi segreti, la tattica del premier ha destato comunque non pochi malumori. Anche perché gli alleati del Pd gli chiedevano, sia pure parzialmente, di mollare. E glielo chiedevano da mesi, e con toni sempre meno pacati. E invece lui, il fu “avvocato del popolo”, ha deciso di raddoppiare. O quantomeno di provarci. Perché la promozione di Luciano Carta alla presidenza di Leonardo è stata, per unanime e condivisa analisi, un promoveatur ut amoveatur: concedergli di raccogliere il testimone di Gianni De Gennaro pur di liberare la poltrona del capo dell’Aise, su cui il premier spera ora di piazzare un suo uomo a lui fedele.

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Roma. Sarà pure vero, come maligna uno dei notabili grillini coinvolto nella pokerata delle nomine, che “alla fine Conte s’è tenuto solo una ridotta”. E però, essendo una ridotta che ha a che fare col tentativo di controllo pressoché assoluto dei servizi segreti, la tattica del premier ha destato comunque non pochi malumori. Anche perché gli alleati del Pd gli chiedevano, sia pure parzialmente, di mollare. E glielo chiedevano da mesi, e con toni sempre meno pacati. E invece lui, il fu “avvocato del popolo”, ha deciso di raddoppiare. O quantomeno di provarci. Perché la promozione di Luciano Carta alla presidenza di Leonardo è stata, per unanime e condivisa analisi, un promoveatur ut amoveatur: concedergli di raccogliere il testimone di Gianni De Gennaro pur di liberare la poltrona del capo dell’Aise, su cui il premier spera ora di piazzare un suo uomo a lui fedele.

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O quantomeno, non ostile. Sì, perché in effetti è proprio così che, a torto o a ragione, a Palazzo Chigi è stato percepito più d’una volta Carta. Forse perché è questione di carattere, come minimizzano alcuni: e Carta, sardo tutto d’un pezzo, non s’è mai granché inteso col variegato (ed eventuale) establishment grillino. O magari, come più argutamente riflettono altri, il problema non era tanto con Conte: ma col suo fidatissimo capo del Dis, quel Gennaro Vecchione guida suprema dell’intelligence italiano e che proveniva, come Carta, dalla Guardia di Finanza, ma con quella mezza stelletta in meno - generale di corpo d’armata Carta, “solo” generale di divisione Vecchione – e quel prestigio un po’ meno splendente all’interno delle Fiamme Gialle che a certi addetti ai lavori, nel novembre 2018, aveva fatto storcere un po’ il naso, visto che il più alto in grado sarebbe diventato un subalterno dell’altro, con tutta quella immaginabile serie di dicerie e pettegolezzi che qui non mette conto di riferire. Come che sia, se dopo appena un anno e cinque mesi, a fronte dei quattro canonici della durata del mandato, Carta lascia la guida dell’Aise, è anche perché col premier i rapporti s’erano andati incrinando, specie dopo che nel caos agostano del pasticcio Mifsud, con quell’andirivieni un po’ irrituale del ministro della giustizia americano tra Roma e Washington, proprio il direttore dell’Agenzia d’informazione per la sicurezza estera era stato, della triade a capo dell’intelligence, il più scettico e il meno remissivo nell’accettare certe apparenti forzature procedurali, poi emerse qualche mese dopo con tanto d’immancabile cagnara parlamentare di corredo.

 

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E insomma, liberato il posto di guida dell’Aise, ora Conte proverà ad assegnarlo a qualcuno con cui si senta più in sintonia. Scontato che si faccia il nome di Carlo Massagli, il diplomatico più vicino al premier, di cui è consigliere militare a Palazzo Chigi e che potrebbe dover affrontare la concorrenza di due esponenti di spicco dell’intelligence italiana: da un lato Gianni Caravelli, attuale vicedirettore dell’Aise e considerato vicino alla galassia grillina (suo sottoposto era stato il marito dell’ex ministra della Difesa grillina Elisabetta Trenta), e dall’altro Carmine Masiello, vicedirettore generale del Dis e dai grillini guardato di sottecchi per le sua supposte simpatie renziane.

 

“Segno più di debolezza che di forza, quello di Conte”: così lo definisce un autorevole dirigente del Pd. Perché evidentemente, tentare di colonizzare nel complesso Piazza Dante, col fido Vecchione al Dis e il generale dei Carabinieri Mario Parente all’Aisi (servizi interni), significa tutelarsi come nessun altro premier. Tanto più che Conte detiene tuttora per sé l’autorità delegata ai servizi. E qui, appunto, si viene al motivo di debolezza: perché un premier che neppure nel bel mezzo di una pandemia decide di cedere almeno in parte delle responsabilità tanto gravose, e che tra una cabina di regia per il Covid-19 e un consiglio europeo rischia spesso di poter esercitare un po’ distrattamente, al Nazareno viene visto come asserragliato nel suo fortino. Sempre che poi ci riesca davvero, a farlo. Non c’è infatti solo la ferma contrarietà del Pd, in questo senso: i democratici pretendono, e continueranno a farlo, che si nomini infatti un sottosegretario a Palazzo Chigi con delega ai servizi (come fu Minniti, come furono Gianni Letta e lo stesso De Gennaro), rivendicando per sé quell’incarico. Dall’altro c’è il rischio che il trasferimento di Carta inneschi un domino che potrebbe coinvolgere i vertici di tutti i comparti, tanto più che a breve il mandato di Parente all’Aisi scadrà. E qualcuno sogghigna già, scherzando non si sa fino a che punto, che a nominare i nuovi vertici di Piazza Dante sarà di rettamente un altro governo, dopo l’estate.

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