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I somarelli di Gribbels erano guappi di cartone. Godetevi lo spettacolo

Giuliano Ferrara

Alla fine dei conti le nostre paure sono state ridimensionate. Il M5s non ha fatto i danni promessi, o almeno non tutti, e vivacchia bene o male in un governo e in un contesto istituzionale che ha condotto le cose in modo abbastanza rassicurante

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Le cose cambiano: in tempi di Immuni, la App che ci seguirà al cesso per vedere se per caso non abbiamo incontrato il ragionier Corona fa impallidire la già orwelliana Casaleggio Associati, il sistema Covid-19 ha già sostituito la piattaforma Rousseau e l’ormai familiare Dpcm ha rimpiazzato la democrazia diretta, e in fondo non solo quella; la questione del deficit al 2,4 per cento, enorme scandalo del balcone 2018, per la verità non aveva prodotto scassinamenti di scatole di tonno, ma ora quel numero ballerino (2,4 o 2,04?) fa ridere, siamo su una via lastricata di deficit stellari, debiti e buone intenzioni di cura e ricostruzione; il reddito di cittadinanza fu devastazione demagogica dell’emulazione nel mercato del lavoro e di politiche sociali non improvvisate, ma impallidisce di fronte al fiume necessario di sussidi e bonus; la dialettica conflittuale tra mercato e stato resta in piedi, ma i suoi termini sembrano cambiati in non piccola misura, con la necessità pubblica di risollevare gran parte del settore privato; l’opposizione alle infrastrutture è solo un ricordo, bisognerà traforare parecchio e cementare il cementabile, con la riserva delle buone maniere ambientali, per combattere frane, esondazioni, impacci e obblighi di manutenzione di ogni genere, e di impedire la depressione conseguente all’epidemia. L’elenco potrebbe continuare, ché c’è da dire anche in merito all’immigrazione e alle sanatorie per procurarci pomodori e frutta senza lasciarli marcire, ma finisce qui. Il ragionamento politico correlato si svolge da solo.

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Le cose cambiano: in tempi di Immuni, la App che ci seguirà al cesso per vedere se per caso non abbiamo incontrato il ragionier Corona fa impallidire la già orwelliana Casaleggio Associati, il sistema Covid-19 ha già sostituito la piattaforma Rousseau e l’ormai familiare Dpcm ha rimpiazzato la democrazia diretta, e in fondo non solo quella; la questione del deficit al 2,4 per cento, enorme scandalo del balcone 2018, per la verità non aveva prodotto scassinamenti di scatole di tonno, ma ora quel numero ballerino (2,4 o 2,04?) fa ridere, siamo su una via lastricata di deficit stellari, debiti e buone intenzioni di cura e ricostruzione; il reddito di cittadinanza fu devastazione demagogica dell’emulazione nel mercato del lavoro e di politiche sociali non improvvisate, ma impallidisce di fronte al fiume necessario di sussidi e bonus; la dialettica conflittuale tra mercato e stato resta in piedi, ma i suoi termini sembrano cambiati in non piccola misura, con la necessità pubblica di risollevare gran parte del settore privato; l’opposizione alle infrastrutture è solo un ricordo, bisognerà traforare parecchio e cementare il cementabile, con la riserva delle buone maniere ambientali, per combattere frane, esondazioni, impacci e obblighi di manutenzione di ogni genere, e di impedire la depressione conseguente all’epidemia. L’elenco potrebbe continuare, ché c’è da dire anche in merito all’immigrazione e alle sanatorie per procurarci pomodori e frutta senza lasciarli marcire, ma finisce qui. Il ragionamento politico correlato si svolge da solo.

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Ieri dicevamo che i vincitori delle elezioni del 4 marzo 2018, i grillini, erano una mostruosa espansione dell’ego di un comico, il trionfo della demagogia, l’assalto degli incompetenti alla guida del governo e dello stato, il primo e sciatto esperimento populista in un esecutivo europeo. Tutto confermato, ma le cose cambiano, basta ripercorrere l’elenco precedente tenendo presente che il populismo sciatto resta minaccioso ma il disciplinamento attento del popolo italiano, “prima il confinamento” e dopo il resto, lo ha reso laterale, un can che abbaia, per non dire della rinnovata reputazione delle competenze, che hanno guidato palinsesti televisivi, cronache dei giornali, chiacchiera quotidiana e domestica da due mesi almeno a questa parte.

 

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Conte non piace? D’accordo. Di Maio ha quel sorrisetto da schiaffi? D’accordo. Ma bisogna pur dire che la tigre era di carta, che certi guappi erano di cartone, e che alla fine dei conti le nostre paure sono state ridimensionate. Dovremmo imparare a essere meno paranoici e irritabili quando parliamo di una rappresentanza politica improvvida che obiettivamente non ha fatto i danni promessi, o almeno non tutti, e vivacchia bene o male in un governo e in un contesto istituzionale che ha condotto le cose, lungo una crisi inaudita, in modo abbastanza rassicurante. I grillini non contavano gran che quando Salvini li ha sequestrati nei porti chiusi d’Italia, e passati dall’altra parte per una crisi isterica gialloverde e per la fessa condotta del senatore e capo della Lega, hanno continuato a sbrigarsela alla meglio e il segno della governabilità è tornato di tipo modestamente europeo e costituzionale, più o meno. Il partito di Gribbels nel frattempo si è scompaginato parecchio e ora un paninaro viaggiatore e politico a sbafo sta facendo di tutto per finire il lavoro. Posto che sbeffeggiare i somarelli e metterli dietro la lavagna dà un certo piacere, è opportuno cambiare i propri giudizi politici quando appunto things change. Altrimenti è paranoia: anzi, la fissazione è peggio della malattia.

C’è poi il caso di Conte e Casalino che oggi parlano alle Camere e dopodomani se la devono vedere, fiancheggiati da Gualtieri, con i nordici a Bruxelles sulla questione dei debiti di ricostruzione mutualizzati, delle politiche della Bce, dei prestiti a condizioni minimali al settore sanitario, e della cassa integrazione solidale nell’Unione. Vedremo come va a finire. 

 

Non è malaccio la performance fin qui dell’uomo che nell’orda montante ha svolto come poteva la funzione stabilizzante del lobbista assennato e del politico preso dalla fine dell’avvocatura e trasformato in una sorta di buon timoniere dalle circostanze e dalla sua abilità, e lo ha fatto senza montarsi la testa, ritirando la pochette da gagà, con segni evidenti di fatica e disponibilità personale. Aveva castigato il Truce in Senato, e questo è un blasone che gli rimarrà attaccato al di là di ogni considerazione più o meno moralistica sull’opportunismo in politica. Ora gli ronzano intorno i giapponesi che vogliono continuare la guerra guerreggiata a un partito bibitaro che non esiste più se non nelle vignette, e più insidiosamente poteri di varia origine e tessitura che vogliono come sempre fare esperimenti di condizionamento e consumo di quel che resta della politica, naturalmente sulla nostra pelle, dopo aver guardato con benevola neutralità allo sbracamento ducesco dei pieni poteri populisti. Forza Giuseppi. O no?

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