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Il miracolo economico non si fa a colpi di retorica. Urgenze per il dopo virus

Salvatore Merlo

Via l’Anac, via il codice degli appalti, via le sanzioni penali per la Pa. Le idee di Bernabè, Cassese e Montezemolo

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Roma. Eliminare l’Anac, cancellare il codice degli appalti, sopprimere le sanzioni penali che paralizzano l’attività amministrativa, semplificare i regolamenti persino nella vendita delle merci al dettaglio… “Non è vero che l’Italia non cresce perché ha un debito pubblico enorme. O perché siamo costretti a politiche di austerità. O perché l’Europa non è solidale. L’Italia non cresce perché è bloccata dalle sue stesse regole, dalle sue leggi scritte male che la portano persino a non riuscire a spendere gli enormi finanziamenti che riceve dall’Europa. Da noi si regolano nei minimi dettagli le attività di impresa, si ha la presunzione di stabilire tutto tutto ex ante, anziché fare come avviene nel resto del mondo dove i controlli sono ex post”, dice Franco Bernabè. E allora l’occasione adesso è unica. “Storica”, diceva Luca Cordero di Montezemolo la settimana scorsa su queste colonne. Liberare gli spiriti animali dell’imprenditoria. Adesso, per organizzare la ripresa economica dopo un tonfo recessivo che gli analisti, anche quelli più ottimisti, individuano in un possibile -12 per cento. Il miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta, la trasformazione di un paese povero in una potenza industriale non avvenne a colpi di retorica sul grande cuore degli italiani, con i sussidi pubblici, i redditi di cittadinanza o il piagnisteo. Va liberata l’impresa e la capacità di spesa. “E questo vuol dire eliminare i procedimenti superflui, e insieme a questi anche gli organi che non fanno altro che bloccare, come l’Anac”, dice per esempio Sabino Cassese. E’ necessaria una attività di disboscamento.. “Il nostro sistema è disegnato per rendere la vita impossibile alle piccole e medie imprese. E’ un sistema con tratti suicidali”, dice Bernabè. 

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Roma. Eliminare l’Anac, cancellare il codice degli appalti, sopprimere le sanzioni penali che paralizzano l’attività amministrativa, semplificare i regolamenti persino nella vendita delle merci al dettaglio… “Non è vero che l’Italia non cresce perché ha un debito pubblico enorme. O perché siamo costretti a politiche di austerità. O perché l’Europa non è solidale. L’Italia non cresce perché è bloccata dalle sue stesse regole, dalle sue leggi scritte male che la portano persino a non riuscire a spendere gli enormi finanziamenti che riceve dall’Europa. Da noi si regolano nei minimi dettagli le attività di impresa, si ha la presunzione di stabilire tutto tutto ex ante, anziché fare come avviene nel resto del mondo dove i controlli sono ex post”, dice Franco Bernabè. E allora l’occasione adesso è unica. “Storica”, diceva Luca Cordero di Montezemolo la settimana scorsa su queste colonne. Liberare gli spiriti animali dell’imprenditoria. Adesso, per organizzare la ripresa economica dopo un tonfo recessivo che gli analisti, anche quelli più ottimisti, individuano in un possibile -12 per cento. Il miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta, la trasformazione di un paese povero in una potenza industriale non avvenne a colpi di retorica sul grande cuore degli italiani, con i sussidi pubblici, i redditi di cittadinanza o il piagnisteo. Va liberata l’impresa e la capacità di spesa. “E questo vuol dire eliminare i procedimenti superflui, e insieme a questi anche gli organi che non fanno altro che bloccare, come l’Anac”, dice per esempio Sabino Cassese. E’ necessaria una attività di disboscamento.. “Il nostro sistema è disegnato per rendere la vita impossibile alle piccole e medie imprese. E’ un sistema con tratti suicidali”, dice Bernabè. 

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La pubblica amministrazione ha paura di prendere decisioni, per via della selva di regole, procedure e sensazioni penali previste dal nostro ordinamento. Al punto che in qualsiasi amministrazione i dirigenti tentano disperatamente di scansare il ruolo di Responsabile Unico del Procedimento, cioè l’incarico attribuito a chi ha il compito di istruire gare d’appalto. Il risultato è che non si spende. Nemmeno nel pubblico. Nessuno vuole prendersi pericolose responsabilità. Tutto fermo, dunque. Un esempio? Per riuscire a organizzare le Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026, è stato deciso di istituire, in deroga, una stazione appaltante speciale. “Se per far funzionare le cose dobbiamo sempre adottare procedure straordinarie, significa che non funzionano le procedure ordinarie”, dice l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria. Un altro esempio, che ha dell’incredibile, riguarda in queste ore le aziende italiane che intendono riconvertire la loro attività nella produzione di mascherine per la protezione dal virus. La riconversione di queste fabbriche è ferma perché, malgrado le deroghe previste per decreto, esiste una procedura dell’Inail che dura mesi e che a quanto pare è inagirabile. Mentre l’Istituto superiore di sanità (Iss) – scriveva ieri il Corriere della Sera – da dieci giorni non si pronuncia. Il problema è questo: in Italia è tutto bloccato, nell’emergenza come nella normalità. “La politica italiana si lamenta tanto dell’Europa. Ma quando l’Unione dà una direttiva, l’Italia la traduce mettendoci sopra norme ancora più restrittive e complicate”, dice Bernabè. “Le norme italiane sull’inquinamento elettromagnetico, per esempio, hanno dei limiti che sono due o tre volte più restrittivi di quelli previsti dall’Europa”.

 

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Chi vuole fare investimenti così è scoraggiato dal farli. Il settore privato deve destreggiarsi. Sopravvivere. E anche il settore pubblico fatica a spendere, per le stesse ragioni. Così persino i fondi europei rimangono inutilizzati. Siamo il secondo paese Ue per risorse ricevute tra il 2014-2020, ma a fine dell’anno scorso, tra vincoli e inerzie burocratiche, siamo riusciti a utilizzarne meno di un quarto. E allora la domanda è: come diavolo si farà a rilanciare impetuosamente la crescita dopo che il paese sarà uscito dall’emergenza sanitaria? L’Italia come potrà tirarsi fuori da una recessione che comporterà il fallimento, secondo un report Cerved, di almeno il 10 per cento delle aziende nazionali? “Il vero shock sarebbe cambiare le regole da cui puntualmente si deroga perché le si ritiene manifestamente sbagliate”, dice Tria. Per cominciare: via l’Anac e il codice degli appalti. “Ma non tra sei mesi. Bisogna cominciare subito”, diceva Montezemolo. E Cassese: “Il dovere delle classe politiche è di non limitarsi a offrire battute, interviste e slogan”.

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