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Tra Conte e il Cav. prove di maggioranza “Mes” e i grillini si spaccano

Valerio Valentini

La proposta del premier di trasformare il fondo salva stati in una sorta di coronavirus Fund mostra tutte le sue crepe del centrodestra. Il risentimento di Di Maio per il mancato coinvolgimento

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Roma. E’ l’ora di pranzo quando lo smarthone di Renato Brunetta squilla. Dall’altro capo del telefono c’è Giuseppe Conte, che ci tiene a ringraziare “il professore” per avere indicato nei giorni precedenti la via che anche il premier si è deciso a imboccare giovedì sera con un’intervista rilasciata al Financial Times. Quella, cioè, di un ricorso ai fondi del Mes. Ma trasformandolo, come si chiarisce da Palazzo Chigi, “in una sorta di ‘coronavirus Fund’, perché le sue risorse possano essere adoperate da tutti gli stati europei per fronteggiare la pandemia”. Il tutto, ovviamente, dovrebbe avvenire “senza condizionalità presente o futura”. Passa qualche ora, e quello stesso telefono che ha contattato Brunetta, quello del premier, squilla invano quando a contattarlo è Matteo Salvini, che dopo giornate di opposizione dura e pura, forse anche per effetto degli inviti di Sergio Mattarella, prova a riaprire un canale di dialogo con l’odiato Conte. Richiesta negata.

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Roma. E’ l’ora di pranzo quando lo smarthone di Renato Brunetta squilla. Dall’altro capo del telefono c’è Giuseppe Conte, che ci tiene a ringraziare “il professore” per avere indicato nei giorni precedenti la via che anche il premier si è deciso a imboccare giovedì sera con un’intervista rilasciata al Financial Times. Quella, cioè, di un ricorso ai fondi del Mes. Ma trasformandolo, come si chiarisce da Palazzo Chigi, “in una sorta di ‘coronavirus Fund’, perché le sue risorse possano essere adoperate da tutti gli stati europei per fronteggiare la pandemia”. Il tutto, ovviamente, dovrebbe avvenire “senza condizionalità presente o futura”. Passa qualche ora, e quello stesso telefono che ha contattato Brunetta, quello del premier, squilla invano quando a contattarlo è Matteo Salvini, che dopo giornate di opposizione dura e pura, forse anche per effetto degli inviti di Sergio Mattarella, prova a riaprire un canale di dialogo con l’odiato Conte. Richiesta negata.

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E del resto, proprio intorno alla proposta avanzata da Conte sul Mes, per tutta la giornata il fronte del centrodestra ha mostrato tutte le sue crepe. A metà pomeriggio, i profili social dei tre leader denunciano una distanza di vedute eloquenti. Il Cav., ribadendo quanto già detto in mattinata, plaude all’iniziativa del premier, invoca la trasformazione del Fondo salva stati in un “Fondo ‘Salva Europa’”. “Assolutamente no, infilerebbe l’Italia in un tunnel di ‘lacrime e sangue’”, tuona intanto Salvini. E Giorgia Meloni, quella moderata, la mette giù ancora più chiara: “Sul Mes siamo pronti a scatenare l’inferno”.

 

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E insomma anche a non volerla vedere, la spaccatura del centrodestra è lì, si riproduce come una inevitabile cacofonia ogni volta che si parla di Europa (e dunque, a ben vedere, d’Italia). E insomma Brunetta può davvero sforzarsi di convincere Alberto Bagnai che “questo Mes non avrebbe nulla a che vedere” con quello su cui ci si è accapigliati in Parlamento per mesi. Ma resta il fatto che, giorni fa, l’ex ministro berlusconiano, davanti allo scivolone della Lagarde consigliava alla presidente della Bce di “correggere la sua linea”, il leghista No-euro la descriveva, sul suo blog, come un’aspirante prostituta.

 

Ma non è solo nel centrodestra, che la proposta del Mes alimenta tensioni. Perché anche nel M5s, fatalmente, le irrisolte ambiguità sull’Europa tornano a manifestarsi come un esantema. Nella commissione Affari europei, Battelli e Scerra vorrebbero mandare un segnale di sostegno a Conte, ma si scontrano con Raduzzi e Maniero, irredimibili alfieri del “No Mes”, che alla fine ottengono di pubblicare una nota, vagliata anche da Vito Crimi, che stronca come “altamente inverosimile”, nonché “inutile e dannosa”, la proposta del premier. Ci sarebbe, dicono, lo zampino avvelenato di Luigi Di Maio, risentito per i mancato coinvolgimento da parte di Conte su quella che i suoi colonnelli definiscono una “fuga in avanti rischiosa”.

 

E insomma se una parte del M5s, quella più euroscettica, torna ad avvicinarsi alle posizione sovraniste della Lega, e se dalla Lega una parte di Forza prende le distanze, vuol dire che, sotto la crosta immobile dell’emergenza sanitaria, il magma della politica s’è rimesso in moto, in una scomposta fluidità di strategie che potrebbe risolversi nel solito caos inconcludente, oppure in una riproposizione, sotto altra forma, di quella “maggioranza Ursula” spesso invocata. E forse proprio fiutando l’aria, Paolo Romani, senatore azzurro che per mesi ha provato a formare una pattuglia di responsabili, ha ripreso a fare le sue telefonate. E ha anche preparato un documento, finora firmato da otto parlamentari, in cui dice chiaramente che, “per far fronte ai prossimi mesi” e alle misure economiche straordinarie che questi mesi richiederanno, “è necessario un governo di salute pubblica in cui un arco parlamentare, il più ampio possibile, sia coinvolto e corresponsabile”. E, nel prospettarlo, cita – non a caso – il “whatever it takes” di Mario Draghi.

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