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Cosa cambia per l’Italia se la Commissione sceglie di attivare la clausola di fuga

Valerio Valentini

Il patto di stabilità, la chance del Mes e poi l’Omt. Il decreto è fatto. Le altre cartucce contro il virus economico

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Roma. Certe volte, più del sostegno degli alleati, conta la non ostilità dei nemici. E così, quando venerdì scorso hanno sentito dire dal lettone Valdis Dombrovskis che sì, “la Commissione è pronta ad attivare la clausola di fuga”, i ministri Enzo Amendola e Roberto Gualtieri hanno tirato un sospiro di sollievo. “Forse”, si sono rincuorati, “l’aria sta cambiando davvero”. Non sarebbe, certo, la soluzione definitiva. Ma quello strumento evocato dal vicepresidente della commissione di Bruxelles, capofila dei falchi del rigore, potrebbe creare le premesse per cercarla, una soluzione. Perché, di fatto, quella “escape clause” è stata inserita nei Trattati proprio per evitare un avvitamento pro-ciclico in caso di recessione all’interno dell’eurozona: consente agli stati membri di sospendere il percorso di aggiustamento rispetto agli obiettivi di medio termine concordati con la Commissione. In sostanza, una sorta di congelamento del Fiscal compact per un anno. Tempo che, nell’ottica di Palazzo Chigi, potrebbe servire non solo a superare l’emergenza del coronavirus (affrontata lunedì dal decreto licenziato dal Cdm a Roma e dall’Eurogruppo a Bruxelles), ma anche per intavolare una discussione vera sulla tribolata revisione del Patto di stabilità. 

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Roma. Certe volte, più del sostegno degli alleati, conta la non ostilità dei nemici. E così, quando venerdì scorso hanno sentito dire dal lettone Valdis Dombrovskis che sì, “la Commissione è pronta ad attivare la clausola di fuga”, i ministri Enzo Amendola e Roberto Gualtieri hanno tirato un sospiro di sollievo. “Forse”, si sono rincuorati, “l’aria sta cambiando davvero”. Non sarebbe, certo, la soluzione definitiva. Ma quello strumento evocato dal vicepresidente della commissione di Bruxelles, capofila dei falchi del rigore, potrebbe creare le premesse per cercarla, una soluzione. Perché, di fatto, quella “escape clause” è stata inserita nei Trattati proprio per evitare un avvitamento pro-ciclico in caso di recessione all’interno dell’eurozona: consente agli stati membri di sospendere il percorso di aggiustamento rispetto agli obiettivi di medio termine concordati con la Commissione. In sostanza, una sorta di congelamento del Fiscal compact per un anno. Tempo che, nell’ottica di Palazzo Chigi, potrebbe servire non solo a superare l’emergenza del coronavirus (affrontata lunedì dal decreto licenziato dal Cdm a Roma e dall’Eurogruppo a Bruxelles), ma anche per intavolare una discussione vera sulla tribolata revisione del Patto di stabilità. 

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Non è la prima volta, che la clausola di fuga si prospetta per l’Italia. Era già accaduto nei mesi più tribolati della crisi del 2011. Ma in quel caso, l’allora governo di Mario Monti rinunciò a ricorrervi temendo, tra le altre cose, una reazione negativa dei mercati. “Ciò che si dovrebbe evitare oggi, se si decidesse di ricorrere a questa clausola, è proprio l’effetto stigma”, osserva Pier Carlo Padoan, che sulle trattative con Bruxelles sulle regole di bilancio ha maturato una certa esperienza. “In particolare, sarebbe auspicabile che a utilizzare strumenti emergenziali non fosse solo l’Italia, che peraltro vantava una situazione di finanza pubblica sostanzialmente positiva, prima dell’avvento del coronavirus, e che ha affrontato prima e meglio di altri questa epidemia. Dovrebbe semmai apparire – prosegue l’ex ministro dell’Economia – come un intervento coordinato da parte dell’Unione, che mette a disposizione dei suoi stati membri gli strumenti necessari per affrontare al meglio questa crisi”.

 

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Il dilemma del Mes

Un discorso analogo, del resto, vale anche per il Mes, il tanto bistratto Fondo salva stati che, spiega il dem Piero De Luca, capogruppo in commissione Affari europei, “potrebbe consentire l’acquisto di titoli sul mercato primario, risultando dunque uno strumento ancora più efficace del Quantitative easing, anche perché il fondo ha, ad oggi, una dotazione potenziale di capitale sottoscritto di più di 600 miliardi di euro”.

 

Scenario a cui anche Luigi Marattin, di Italia viva, guarda con un misto di positività e prudenza. “Ad oggi non abbiamo nessuna indicazione – precisa il deputato renziano – che all’Italia serva un aiuto esterno, perché i tassi ai quali ci finanziamo sono ancora sostenibili (circa 1,8 per cento sui 10 anni e 2,3 per cento sui 30 anni). Ma, volendo immaginare uno scenario peggiore che speriamo non si realizzi mai, potremmo certamente considerare un intervento del Mes e un parallelo attivarsi del ‘bazooka’ di Draghi (Omt). In quel caso, credo, debba verificarsi una condizione politica: che le “conditionalities” (che si applicano ai paesi che accedono al Mes) siano le più leggere possibili, perché davvero non siamo in tempi in cui sia fattibile mettersi a fare nell’immediato le riforme strutturali o i tagli pluriennali di spesa pubblica. Certo – aggiunge – non aiuta il fatto che da 4 mesi a questa parte tre quarti del panorama politico italiano, con un quantitativo di balle mai visto prima nella storia umana, dipinga il Mes come la Spectre dei film di James Bond”.

 

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Riferimento, neanche troppo velato, a quella parte del M5s che, sul Mes, usa grosso modo le stesse parole dei no-euro leghisti. “So io quale dito servirebbe utilizzare, per il Mes”, ha scritto su Twitter il deputato grillino Raphael Raduzzi, alludendo a un grande vaffa. E anche Tiziana Beghin, capo delegazione del M5s al Parlamento europeo, si mostra alquanto irremovibile: “L’attivazione, da parte dell’Italia, del Fondo salva stati è uno scenario da evitare. Il vero grande problema è che l’Unione agisce secondo regole scritte nello scorso secolo, sterili davanti ad un’emergenza come quella che stiamo vivendo. La flessibilità non è sufficiente, da sola, per uscire da questa crisi e soprattutto non deve tradursi in un debito da pagare un domani neanche troppo lontano. Sono necessarie misure eccezionali. A partire dalla Banca centrale europea, che deve essere il vero motore capace di portarci fuori da questa crisi”. Cosa che, tuttavia, al momento Francoforte non può fare. “Bisogna infatti cambiare i trattati – ribatte la Beghin – e trasformare la Bce in una vera e propria banca centrale”.

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Il bilancio 2021-2027

Vaste programme, ovviamente. Specie per un board della Bce non esattamente in stato di grazia, dopo lo scivolone di Christine Lagarde. “Che però, paradossalmente, ha avuto l’effetto di spingere sulla strada della determinazione anche chi non ne era troppo convinto”, dice Paolo De Castro, eurodeputato del Pd. “Per questo Mario Centeno ha annunciato che un documento potente verrà approvato dall’Ecofin”. Che avrebbe dovuto riunirsi oggi, e che invece è stato rimandato al 20 marzo. Segno, evidentemente, di un dibattito ancora in fieri sulle misure da adottare. Ed è così che anche l’eurodeputato tedesco Andreas Schwab, certo non tra i rigoristi più accaniti del suo partito ma comunque esponente importante della Cdu di Angela Merkel, dice al Foglio che “sì, dovrà assolutamente maturare, nei prossimi giorni, la consapevolezza che questa è una crisi europea, da cui l’Europa deve uscire insieme. E però – aggiunge – così come è sciocco chiudere le frontiere per impedire il dilagare del virus, sarebbe poco intelligente anche immaginare che ciascuno stato membro chieda a Bruxelles di poter spendere quel che vuole per far ripartire l’economia. Servirà, semmai, un piano a livello comunitario, con fondi cospicui e finanziamenti ambiziosi”. Tutto molto vago, per ora. Il primo banco di prova di un reale mutamento del clima, lo si valuterà nelle prossime settimane intorno al dibattito sul nuovo bilancio settennale (2021-2027): “A questo punto – dice De Castro – la soglia dell’1,3 per cento indicata proprio dal Parlamento europeo, diventa il minimo sindacale”.

 

Il massimo, invece, visto da Roma resta sempre il sogno proibito degli Eurobond, quantomeno nella sua versione primordiale che consisterebbe nella creazione di un “safe asset” europeo da parte della Bei. Ma per questo, forse, non basterebbe neanche un anno di discussione.

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