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Non esiste il whatever it takes europeo

Claudio Cerasa

Le Borse crollano. Gli spread si alzano. Le economie soffrono. E quando la crisi sarà irreversibile anche gli anti europeisti capiranno che errore è stato non aver rafforzato in questi anni l’Ue. Perché l’Europa non ha gli strumenti per comportarsi come Draghi

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L’emergenza economica generata dall’impatto del coronavirus sulle nostre vite – e dalle severe misure adottate da governi come quello italiano per tentare di contenere il più possibile la pandemia – ha avuto l’effetto di accendere una luce improvvisa su quelli che potremmo cinicamente definire i virus della nostra economia. L’Italia, lo sappiamo, subisce più di altri paesi gli effetti del coronavirus (ieri lo spread ha oscillato tra i 180 e i 190 punti base, la Borsa ha perso oltre il 3 per cento) per via di un’economia che di fronte a un’influenza pericolosa si comporta esattamente come le persone che si trovano avanti con l’età e con molti acciacchi alle spalle: difficoltà a gestire gli choc esterni (causa debito alto e produttività bassa) e difficoltà a riprendersi dopo un malanno (causa crescita bassa). Di fronte a una crisi che potrebbe però contagiare presto anche il resto d’Europa – quando il numero di casi registrati oggi in Italia verrà rilevato anche in Francia e Spagna è difficile pensare che i governi prenderanno provvedimenti diversi rispetto a quelli adottati dall’Italia – concentrarsi solo sui problemi ereditati dal passato da un singolo paese non è più sufficiente per inquadrare la dimensione della questione. E il problema vero di fronte a cui si trova oggi l’Europa non riguarda i limitati strumenti che ha in mano un singolo paese per curare un grave malanno ma riguarda gli strumenti che ha l’Europa per aiutare i paesi ammalati a superare alcune difficoltà.

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L’emergenza economica generata dall’impatto del coronavirus sulle nostre vite – e dalle severe misure adottate da governi come quello italiano per tentare di contenere il più possibile la pandemia – ha avuto l’effetto di accendere una luce improvvisa su quelli che potremmo cinicamente definire i virus della nostra economia. L’Italia, lo sappiamo, subisce più di altri paesi gli effetti del coronavirus (ieri lo spread ha oscillato tra i 180 e i 190 punti base, la Borsa ha perso oltre il 3 per cento) per via di un’economia che di fronte a un’influenza pericolosa si comporta esattamente come le persone che si trovano avanti con l’età e con molti acciacchi alle spalle: difficoltà a gestire gli choc esterni (causa debito alto e produttività bassa) e difficoltà a riprendersi dopo un malanno (causa crescita bassa). Di fronte a una crisi che potrebbe però contagiare presto anche il resto d’Europa – quando il numero di casi registrati oggi in Italia verrà rilevato anche in Francia e Spagna è difficile pensare che i governi prenderanno provvedimenti diversi rispetto a quelli adottati dall’Italia – concentrarsi solo sui problemi ereditati dal passato da un singolo paese non è più sufficiente per inquadrare la dimensione della questione. E il problema vero di fronte a cui si trova oggi l’Europa non riguarda i limitati strumenti che ha in mano un singolo paese per curare un grave malanno ma riguarda gli strumenti che ha l’Europa per aiutare i paesi ammalati a superare alcune difficoltà.

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Si è detto in queste ore che in caso di situazione economica molto grave l’Europa, con i suoi strumenti, farà tutto ciò che è necessario per aiutare i paesi finiti nei guai. Ma la differenza tra il whatever it takes promesso dalla Commissione e quello che fu messo in campo da Mario Draghi è che la Bce uno strumento fiscale capace di produrre effetti concreti nell’economia ce lo aveva (il Quantitative easing) mentre l’Europa uno strumento fiscale capace di produrre effetti concreti nell’economia, come spiega benissimo oggi sul Foglio l’ex ministro Pier Carlo Padoan, purtroppo ha scelto di non averlo. Avrebbe potuto avere un bilancio autonomo dell’Eurozona e ha scelto di non averlo. Avrebbe potuto dotarsi di un safe asset europeo, ovvero un titolo denominato in euro che preservi valore anche durante choc economici negativi, ma ha scelto di non averlo. Avrebbe potuto avere da tempo un sistema europeo di garanzia dei depositi bancari e ha scelto per troppo tempo di non averlo. Per questo, ciò che realisticamente potrà fare l’Europa per dare in questa fase un sostegno alle economie infettate dalla proliferazione del virus non è intervenire ma è autorizzare. E le autorizzazioni possono essere sintetizzate in tre passaggi.

 

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Primo passaggio: autorizzare i paesi membri a usare tutta la flessibilità concessa, nella cornice delle circostanze eccezionali, all’interno delle attuali regole.

 

Secondo passaggio: autorizzare, al di là delle circostanze eccezionali, tre o quattro operazioni per sostenere l’economia scorporando dal deficit (a) un sostegno alle piccole e medie imprese, (b) un rafforzamento dei sistemi sanitari, (c) un finanziamento straordinario delle misure contro la disoccupazione.

 

Terzo passaggio: autorizzare un utilizzo straordinario del deficit e dunque del debito pubblico, di concerto anche con altri paesi e senza quelle che gli esperti chiamerebbero fughe in avanti, dando la copertura politica per evitare quanto più possibile ripercussioni sui mercati. Il tema delle possibilità che ha – o meglio che non ha – l’Europa per arginare i contagi delle economie continentali è un tema che non riguarda più soltanto il nostro paese ma inizia a riguardare anche tutti gli altri, visto e considerando i crolli in Borsa delle principali piazze europee (Parigi ha perso il 4,14 per cento, Francoforte ha perso il 3,37 per cento, Madrid ha perso il 3,54 per cento) e visto e considerato l’innalzamento simmetrico (con l’Italia più degli altri) dei rendimenti dei titoli di stato. Autorizzare è diverso da intervenire e permettere è diverso da agire. L’Europa darà una mano, per quello che può, ai paesi in difficoltà ma se non avrà gli strumenti per fare tutto il necessario per aiutare chi è nei guai non sarà colpa dell’Europa, ma sarà colpa di tutti coloro che in questi anni hanno combattuto contro la sua integrazione. E purtroppo, sulla lista dei cattivi, stavolta non ci sono solo i nemici dell’Europa, ma ci sono anche i suoi finti amici.

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