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La politica scopre l’anticorpo della stabilità

Claudio Cerasa

Il leader forte diventa debole (Salvini), il leader debole diventa forte (Zingaretti) e la legislatura instabile diventa solida (viva Mattarella). Le nuove geometrie ai tempi del virus, con Giorgetti che ci dice: dopo l’emergenza ci vuole Draghi. Spunti

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Il prepotente ingresso del coronavirus nella quotidianità del nostro paese ha avuto un doppio effetto sulle geometrie della politica italiana. Il primo effetto è di natura tecnica ed è un effetto che viene confermato da una decisione presa ieri dal governo che ha scelto di rinviare “sine die” il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, precedentemente convocato per il 29 marzo. L’effetto di questa scelta, virus o non virus, avrà delle conseguenze sulla stabilità della legislatura, e sia che il referendum venga rinviato a giugno insieme con le regionali, sia che il referendum venga rinviato a dopo l’estate facendo slittare anche le regionali, il risultato non cambia: la finestra per andare a votare, complice il semestre bianco che scatta a luglio 2021 e durante il quale il presidente della Repubblica non può sciogliere il Parlamento, si riduce a un periodo di tempo compreso tra gennaio 2021 e giugno 2021, e per quanto nel 2021 possano essere alte le fibrillazioni è difficile immaginare che a pochi mesi dalla nomina del capo dello stato questo Parlamento accetti di mandare tutto gambe all’aria e far eleggere a qualcun altro il successore di Mattarella.

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Il prepotente ingresso del coronavirus nella quotidianità del nostro paese ha avuto un doppio effetto sulle geometrie della politica italiana. Il primo effetto è di natura tecnica ed è un effetto che viene confermato da una decisione presa ieri dal governo che ha scelto di rinviare “sine die” il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, precedentemente convocato per il 29 marzo. L’effetto di questa scelta, virus o non virus, avrà delle conseguenze sulla stabilità della legislatura, e sia che il referendum venga rinviato a giugno insieme con le regionali, sia che il referendum venga rinviato a dopo l’estate facendo slittare anche le regionali, il risultato non cambia: la finestra per andare a votare, complice il semestre bianco che scatta a luglio 2021 e durante il quale il presidente della Repubblica non può sciogliere il Parlamento, si riduce a un periodo di tempo compreso tra gennaio 2021 e giugno 2021, e per quanto nel 2021 possano essere alte le fibrillazioni è difficile immaginare che a pochi mesi dalla nomina del capo dello stato questo Parlamento accetti di mandare tutto gambe all’aria e far eleggere a qualcun altro il successore di Mattarella.

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Dunque, lo slittamento del referendum costituzionale certifica che sarà questo Parlamento, e non un altro, a scegliere il prossimo capo dello stato, e di conseguenza per i leader che si trovano all’opposizione lo scenario cambia in modo radicale, perché quando sarà finita l’emergenza legata al coronavirus il sogno di andare a votare semplicemente non esisterà più. In questo nuovo scenario, Giorgia Meloni, pur sottoponendo al presidente del Consiglio idee per tentare di ridare ossigeno all’economia, ha scelto di intestarsi in modo quasi isolato la battaglia contro Conte. Mentre Matteo Salvini, pur non avendo risparmiato critiche al governo, ha scelto di sperimentare una strategia diversa, anomala, innaturale e per questo un po’ goffa, che prevede due step: offrire sostegno a Conte (“Gli insulti e i litigi del passato – ha detto mercoledì sera – li mettiamo in freezer perché prima viene l’Italia”) e lavorare poi a un piano per arrivare a quello che lo stesso Salvini ha definito “un governo istituzionale”.

 

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Con la legislatura in quarantena Salvini ha capito di essere in un angolo e ha compreso che per provare a uscire da quell’angolo occorre fare quello che non sembra essere nelle corde dello stesso Salvini. In tre parole: “Una svolta responsabile”. E cosa prevederebbe questa svolta responsabile? Ieri, a chi glielo chiedeva, Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini, rispondeva così: “Una svolta responsabile significa essere pronti, una volta superata l’emergenza coronavirus, a sostenere un altro governo capace di affrontare l’emergenza economica, per la quale non ci si può accontentare di qualche miliardo sul piatto: serve qualcuno che ci consenta di mettere in circolo qualcosa come 50 miliardi di euro, senza far alzare lo spread, e l’unica persona che può farlo, a mio parere, è Mario Draghi. E quindi sì, lo dico senza paura: lasciamo affrontare questa crisi al governo attuale, stiamogli anche vicino, aiutiamolo, ma quando si tornerà alla normalità serve un governo all’altezza di quella situazione, e se si creeranno le condizioni noi ci saremo”.

 

Giorgetti sa bene in realtà che mai come in questo momento è creativo per quanto legittimo immaginare alternative a Conte, che tra l’altro nel giro di pochi giorni dovrebbe riuscire ad allargare la sua maggioranza con alcuni senatori di Forza Italia (Andrea Cangini, Andrea Causin, Laura Stabile, Barbara Masini, Sandra Lonardo, Roberto Berardi, Franco Dal Mas). Ma il tentativo di imporre la linea della responsabilità alla Lega nasce dalla presenza di uno scenario del tutto mutato all’interno del quale i rapporti di forza si sono trasformati a tal punto che il leader diventato maggiormente centrale in questa fase è quello più schivo, meno esposto, meno loquace, e che se fosse stato per lui, ad agosto, questo governo neppure lo avrebbe fatto. Parliamo ovviamente del leader del Pd, Nicola Zingaretti, che con passo felpato, mosse ponderate e toni educati sta trasformando il suo essere defilato in un punto di forza della sua leadership. Il leader forte è diventato debole, il leader debole è diventato forte e la legislatura traballante è diventata solida. Il virus continua a far paura, i morti non smettono di aumentare e cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno non è semplice (e bene ha fatto ieri Mattarella a rivolgersi agli italiani invitandoli a superare questo “momento impegnativo senza allarmismi e con fiducia”). Ma tra le poche buone notizie di questi giorni si può dire che politicamente parlando una ce n’è ed è certamente il contagio della stabilità. E quando l’emergenza sanitaria finirà, avere una politica meno isterica non potrà che aiutare ad affrontare l’altra emergenza, quella economica, con qualche anticorpo in più.

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