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Problemi suppletivi

Valerio Valentini

Le vittorie del centrosinistra a Napoli e a Roma sono un problema per il M5s ma anche per Salvini (dove va al sud?)

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Roma. Si tratta di due elezioni suppletive, certo, ma il segnale è comunque chiaro: sia le ambizioni nazionaliste di Matteo Salvini, sia le velleità autonomiste di Luigi Di Maio, crollano sotto il peso delle sconfitte di Napoli e Roma. Nel collegio del centro storico della Capitale, chiamato a scegliere il sostituto di Paolo Gentiloni alla Camera, l’anonima candidata grillina Rossella Rendina racimola la miseria di 1.422 preferenze. Eccolo quanto pesa, “l’alternativa a 5 stelle” che non vuole schierarsi né a destra né a sinistra: il 4,36 per cento. Più che una “terza via”, quella additata da Di Maio è una strada senza uscita. E il dato è così impietoso che Luigi Iovino, deputato campano fedele alla linea, di buon mattino sulla chat del gruppo commenta: “Prendiamo gli stessi voti dei comunisti e di Potere al popolo”. Certo, ha votato un romano su sei; certo, la riserva del Trionfale è il fortino romano della “sinistra ztl”. Però, anche solo confrontandolo col voto del 2018, il crollo del M5s è netto: due anni fa prese il 17 per cento.

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Roma. Si tratta di due elezioni suppletive, certo, ma il segnale è comunque chiaro: sia le ambizioni nazionaliste di Matteo Salvini, sia le velleità autonomiste di Luigi Di Maio, crollano sotto il peso delle sconfitte di Napoli e Roma. Nel collegio del centro storico della Capitale, chiamato a scegliere il sostituto di Paolo Gentiloni alla Camera, l’anonima candidata grillina Rossella Rendina racimola la miseria di 1.422 preferenze. Eccolo quanto pesa, “l’alternativa a 5 stelle” che non vuole schierarsi né a destra né a sinistra: il 4,36 per cento. Più che una “terza via”, quella additata da Di Maio è una strada senza uscita. E il dato è così impietoso che Luigi Iovino, deputato campano fedele alla linea, di buon mattino sulla chat del gruppo commenta: “Prendiamo gli stessi voti dei comunisti e di Potere al popolo”. Certo, ha votato un romano su sei; certo, la riserva del Trionfale è il fortino romano della “sinistra ztl”. Però, anche solo confrontandolo col voto del 2018, il crollo del M5s è netto: due anni fa prese il 17 per cento.

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“Tutto prevedibile: il nostro terzo polo è non pervenuto”, sbuffa il deputato Antonio Zennaro, che da tempo si sgola invano predicando la necessità di un’alleanza organica col Pd e che del resto, nel suo Abruzzo che s’avvia al voto nelle amministrative a primavera, tocca con mano “la totale disorganizzazione del Movimento”, che al momento ha presentato le liste in un solo comune sui 60 chiamati alle urne. E a null’altro che a una battaglia di testimonianza sono destinati i candidati grillini in Veneto e Puglia, così come in Campania se alla fine vincerà la linea di Di Maio: la stessa che ha preteso la corsa di Luigi Napolitano alle suppletive del 23 febbraio scorso nel centro di Napoli, conclusesi anche quelle con un bagno di sangue del M5s e una vittoria del centrosinistra. Mentre in Liguria, dopo le proteste dei parlamentari, mercoledì prossimo si dovrebbe votare su Rousseau per stabilire se andare col Pd.

 

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Ma ad uscire ridimensionato, dalla tornata di amministrative, è anche l’altro dioscuro del grilloleghismo: quel Salvini che insiste nel sognare lo sbarco al Sud del Carroccio. Né il centro di Napoli né quello di Roma danno per il momento buone risposte: e la battaglia emiliana ha dimostrato – per stessa ammissione del Truce – che senza i grandi centri urbani non si vince, al di fuori dei confini della Padania. È anche per questo che, in Campania, i sostenitori di Stefano Caldoro (cioè quasi tutta Forza Italia, ma non Mara Carfagna) ora provano a serrare le fila: “Se Salvini non vuole sostenerlo corra pure da solo”, se la ride Gianfranco Rotondi. “Vediamo quanti voti prende”.

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