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La società aperta, antidoto contro i razzismi

Giuliano Ferrara

Il ripristino di una gerarchia chiusa tra etnie, popoli, nazioni, religioni e razze, caro Serra, è possibile solo se non si difende la società aperta

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Il grido “morte agli ebrei” del tempo delle Sturmabteilung (Sa) sotto certi profili non è così diverso dalla caccia agli zingari o dalla chiusura dei porti ai naufraghi o dalle sassate di ragazzi contro i lavoratori immigrati nel Foggiano. E non è così diverso dagli insulti di Trump contro le deputate di origini africane, il pogrom mentale dell’uomo che si vanta di aver trasferito a Gerusalemme l’ambasciata del suo paese. A sua volta, la detestazione per gli ebrei israeliani di una delle deputate colpite, afroamericana e musulmana, fa parte della serie. Una serie lunga, complicata, irradiata con il suo buio, la sua assenza totale di luce, in tutto il mondo da secoli. E il tranquillo, ordinario sentimento di protezione contro lo straniero emanato dal Truce o dalla Le Pen, che lo manipolano compulsivamente e strumentalmente, sta nello stesso novero dei razzismi a vario titolo. Per quanta buona o cattiva sociologia del rancore sociale si possa elaborare, razzismo e xenofobia, distinti come sono e apparentati o apparentabili da scaltri demagoghi, sono parte ineludibile dell’idea nazionalista plurisecolare, sono l’energia di superficie del più sofisticato sovranismo dei nostri tempi. Ma – attenzione – questi tratti dell’umanità concreta si sono impastati obliquamente anche nelle idee di progresso e di emancipazione: c’è una componente razzista o etnicista, una ristretta idea di umanità, anche nell’assimilazionismo degli illuministi (Marx credeva che l’emancipazione degli ebrei fosse l’emancipazione dal giudaismo), perfino in correnti del sionismo, la cui vittoria e statalizzazione dopo la Shoah è una benedizione per gli ebrei e per tutto il genere umano (le benedizioni superano e tendenzialmente annullano le contraddizioni). E infine va ricordato, a proposito dell’America, che l’appello al Creatore nel nome del quale gli uomini nascono eguali e liberi detentori di eguali diritti e doveri era coesistente con la pratica e la legittimazione etica della schiavitù, anche da parte dei Padri fondatori.

 

Ieri Michele Serra, con un esercizio di facilismo etico che non gli è proprio, si è chiuso nella sua certezza umanitaria e nello scandalo pieno di ribrezzo per il comportamento dell’Arancione, che semplificando è anche la mia certezza. Solo che dopo la petizione di principio deve cominciare il ragionamento fondato sui fatti storici e antropologici. La civilizzazione promette sempre il meglio, spesso realizza il meno peggio, e del meno peggio è parte il tentativo non scontato di debellare il residuo del peggio. A mio modo di vedere la globalizzazione, che ha certo generato delle controspinte all’insegna della protezione e chiusura sociale, partendo dall’insicurezza che è il bacino in cui nuotano i pesci grandi e piccoli del razzismo e del nazionalismo contemporanei, è l’unica vera soluzione, e probabilmente non sarà definitiva come niente è definitivo per statuto nella storia umana, del problema atroce che i movimenti antiglobalizzazione segnalano, con la teorizzazione della crisi dell’idea liberale e le pratiche tendenzialmente totalitarie innescate. L’essenza della globalizzazione è lo scambio libero tra individui giuridicamente eguali e dotati di eguali diritti e opportunità, quello scambio che qualunque bambino pratica spontaneamente nelle scuole multiculturali d’oggi, e all’infuori di questo c’è il demoniaco e l’illusorio ripristino di una gerarchia chiusa tra etnie, popoli, nazioni, religioni e razze. Nonostante il cinismo dei mercati, i trucchi e le truffe della finanza, nonostante la difficoltà di governare l’apertura istituzionale e culturale, questo è l’orizzonte ineludibile della nostra epoca.

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L’uomo nuovo non lo creerà nessuno, la creazione è stata già fatta e il suo legno è storto, ma se non un altro mondo, un’umanità appena migliore, formata e acculturata, sicura di una sua vita individuale e comunitaria protetta ma non chiusa, è possibile. Registrare il fatto del razzismo di Trump e dei suoi simili, dall’alto delle nostre certezze, non basta, perché razzista è la sua base elettorale, razzista ed etnicista e nazionalista è una parte rilevante del mondo. Papa Francesco dovrebbe pensarci: solo un Dio ci può salvare, come si dice en philosophe, e questo Dio, nonostante l’orrore antigiacobino che i sani liberali provano per il droit-de-l’hommisme, è l’individuo libero ed eguale nella società aperta dello scambio e dell’integrazione.

 

Governare questo processo, lungo e lento, di uscita dall’Ottocento e dal Novecento, vuol dire riconsiderare il facilismo politicamente corretto e fondare il tempo nuovo su criteri non negoziabili ispirati a una visione. La religione o il fondamento: che non saranno belli come la fede, che saranno pure un’usurpazione dei diritti del Dio trascendente, qualcosa di simile a una religione civile, ma sono gli unici legami resistenti su cui basare una convivenza possibile.

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