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“No, la corruzione non si combatte così”

Claudio Cerasa

“Sblocca cantieri? Autostrade per i funzionari scorretti. Spazza corrotti? Occhio all’agente provocatore. La fine della prescrizione? Pericolosa. Roma? Il sistema corruttivo ha trovato nuovi referenti”. Intervista a Raffaele Cantone, capo dell’Anac

L’assurdità delle leggi contro la corruzione che rischiano di alimentare la corruzione. Il ritorno al finanziamento pubblico per combattere la corruzione nei partiti. La follia della legge che criminalizza il mestiere della politica. La comparsa improvvisa e inquietante dell’agente provocatore. L’idea schizofrenica della trasparenza nella contraddittoria stagione dell’onestà. Sono passati esattamente cinque anni dal giorno in cui Raffaele Cantone è stato nominato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione e a pochi mesi dal termine del mandato il numero uno dell’Anac accetta di dialogare a lungo con il Foglio su alcuni temi a cavallo tra la politica e l’economia che si trovano al centro del dibattito pubblico del nostro paese.

 

La nostra conversazione con Cantone comincia da uno spunto offerto qualche giorno fa ai nostri lettori da un articolo della così detta legge “spazza corrotti” che, equiparando ai partiti politici tutti gli enti del Terzo settore che abbiano all’interno persone che hanno fatto una qualsivoglia forma di attività politica negli ultimi dieci anni, non solo penalizza l’associazionismo ma che di fatto introduce in legislazione il principio che sia giusto prevedere una forma di penalità per la razza della politica. “Io – dice Cantone – credo che questa norma sia giusta in linea di principio. Nel momento in cui la politica si è spostata dai partiti alle fondazioni, le fondazioni dal punto di vista delle regole devono essere equiparate ai partiti. Il punto però è: come si fa individuare che una fondazione fa attività politica? La legge del governo ha provato con alcune semplificazioni a definire l’attività politica, ma è chiaro che questo diventa un errore se si innesca un meccanismo discriminante che porta a considerare il mestiere della politica come se fosse un mestiere che ti lascia addosso un cattivo marchio. Si tratta purtroppo di un riflesso condizionato che ci portiamo dietro da molto tempo, figlio di un modo esasperato di intendere l’antipolitica e anche per questo, ma non solo per questo, le ragioni del Terzo settore meritano attenzione e io credo che questa legge vada corretta per evitare il paradosso che una persona che ha fatto politica si trovi le porte chiuse persino per fare associazionismo. Però allo stesso tempo mi chiedo: perché non si prevede un regolamento per cui chi fa attività benefica ha una serie di regole di trasparenza? Perché da noi la parola trasparenza deve essere vista come una cattiva parola? Perché non si ha il coraggio di dire che non necessariamente avere una maggiore trasparenza significa avere una maggiore burocrazia?”.

 

Davvero presidente può negare che in Italia sia così raro ritrovarsi di fronte a episodi in cui l’aumento di trasparenza non diventa un aggravio di burocrazia? “Se io apro un piccolo negozio, devo presentare un bilancio abbastanza semplificato. Ma se faccio una fondazione che fa eventi benefici e che raccoglie un miliardo all’anno perché mai non devo avere regole diverse?”. Forse, però, prima ancora di parificare un’associazione a un partito bisognerebbe chiedere al legislatore perché prima di concentrarsi sulla legge per le associazioni politiche non ci si concentra sulla legge per i partiti politici. “Io sono favorevole a una legge e credo che la mancata applicazione dell’articolo 49 della Costituzione sia un vulnus grave. Ma dico di più. Non servirebbe solo una legge sui partiti ma servirebbe anche una legge per ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti”.

 

Cantone si spiega meglio. “Per fare politica servono soldi e se si chiude il rubinetto del finanziamento pubblico ai partiti i soldi vanno trovati in modi diversi, che purtroppo non sono sempre trasparenti. Un ritorno al finanziamento pubblico dei partiti aiuterebbe a mio avviso a combattere meglio la corruzione e sarebbe prezioso ma con un paletto ben piantato sul terreno di gioco: questo deve servire a finanziare la politica, dovrebbe essere pensato con una rendicontazione effettiva, dovrebbe esserci un bilancio rendicontato come se il partito fosse una società che si trova in Borsa e dovrebbe essere individuato un criterio preciso e solido sia in entrata sia in uscita”.

Il ragionamento di Cantone ci porta ad affrontare un tema legato alla natura ibrida di alcune forme di associazionismo politico e la domanda successiva che poniamo al numero uno dell’Anac è questa: ma se il legislatore decide in nome dell’onestà di essere severo con tutte le attività collaterali alla politica non sarebbe corretto che la stessa severità venisse utilizzata – pensiamo al caso Casaleggio anche per società private guidate da soggetti che si trovano a capo di associazioni che governano la vita di un partito? “Io sono per la trasparenza totale, quindi vorrei sapere tutto di tutti. Però dobbiamo garantire anche un criterio di parità di trattamento. Se ci si lamenta di un eccesso di trasparenza nei confronti delle fondazioni che hanno all’interno un politico non possiamo pretendere la trasparenza assoluta da un soggetto per il solo fatto che partecipa a un’associazione. Se creiamo il criterio per il quale dobbiamo fare trasparenza sui soggetti fisici che fanno parte di un’attività poi non la finiamo più. Se noi chiediamo a Casaleggio di fare trasparenza sulle sue società, poi lo dobbiamo chiedere anche all’avvocato che gestisce l’amministrazione di una qualunque fondazione”.

 

Se il punto di vista è questo, certo, ma chi teorizza il regime della trasparenza per tutti forse dovrebbe essere trasparente senza avere bisogno di una legge. Cantone concorda – “Dovrebbe esserlo, certo” – e poi però fa un passo in avanti nel suo ragionamento riflettendo con il suo interlocutore su un tema importante: ma il governo dei campioni dell’anticorruzione esattamente cosa sta facendo contro la corruzione? Cantone dice di non aver apprezzato il nome dato alla legge: “Spazza corrotti? Non mi piace l’idea che qualcuno possa essere spazzato: anche i peggiori delinquenti non devono essere spazzati via, gli dobbiamo solo impedire di fare i delinquenti” – e poi però entra nel merito e la mette così. “Sono perplesso sulla norma relativa alla non punibilità di chi denuncia: è pericolosa. Rischia di fare rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta, ovvero l’agente provocatore”.

 

“Se io decido di fare una trappola a una persona e gli offro una tangente, lo posso fare essendo sicuro dell’impunibilità. Questo meccanismo, evidentemente, rischia di sdoganare l’agente provocatore volontario. Nella norma, in realtà, è previsto un meccanismo che dovrebbe proibire l’agente provocatore, perché la causa di non punibilità non si applica nel caso in cui il soggetto abbia preordinato questa attività. Come è evidente, però, avere questa prova è impossibile, è del tutto soggettiva e finisce per provocare un paradosso: disincentivare coloro che vogliono pentirsi. Facciamo un’ipotesi: qualcuno mi vuole offrire una tangente, io la accetto e poi mi pento. Siccome la legge prevede che si debba accertare che io non lo faccio in malafede, significa che comunque sia dovrò essere indagato. Che senso ha?”.

 

Anche rispetto al tema del termine della prescrizione a partire dalla sentenza di primo grado Cantone mostra diverse preoccupazioni e offre uno spunto di riflessione utile. “Il problema della legge che prevede la fine della prescrizione non è la sua costituzionalità ma è la sua razionalità. Io temo che questo meccanismo rischi di fare allungare ancora di più i processi, perché la prescrizione è anche uno stimolo per fare processi più rapidamente e quando questo stimolo viene a mancare il rischio vero è che si crei l’effetto opposto. Se i processi si prescrivono perché c’è un problema organizzativo, noi non possiamo agire sulla prescrizione senza affrontare il problema organizzativo”.

 

Facciamo notare a Cantone che la Lega ha accettato di votare il cosiddetto “Spazza corrotti” sulla base di una promessa del Movimento 5 stelle che ancora non si è realizzata: dire di sì alla fine della prescrizione in cambio di una rapida riforma complessiva della giustizia finalizzata a ridurre i tempi dei processi. La riforma sulla prescrizione entrerà in vigore il primo gennaio 2020, è possibile in otto mesi riformare in questi termini la giustizia italiana? “Non credo sia possibile. E faccio notare che nella legge sulla prescrizione non c’è nessuna norma che subordina a una riforma della giustizia l’avvio dei nuovi termini della prescrizione: è solo un impegno morale, niente di più, purtroppo”.

 

Tra le problematicità relative all’approccio contro la corruzione scelto dal governo Cantone si concentra poi su un aspetto “oggettivamente preoccupante” contenuto all’interno del provvedimento dello “sblocca cantieri”: quello per cui gli appalti tra i 40 e i 200 mila euro potranno essere assegnati attraverso procedure semplificate, soltanto con tre offerte. Il punto, dice Cantone, è molto semplice: come fai a combattere la corruzione se poi moltiplichi le occasioni in cui la corruzione può maturare? “Noi – avverte Cantone – stiamo discutendo un testo che ancora non c’è. Il sistema salvo intese è pericolosissimo e per me è di dubbia legittimità costituzionale, anche se non è stato individuato da questo governo, ma il fatto che il testo in discussione prevede che la soglia dei lavori dai 40 mila ai 200 mila possa essere resa ordinaria con soli tre preventivi mi preoccupa. Tutti sanno che su questo campo le operazioni problematiche riguardano i mega appalti, non i piccoli appalti, e anche per questo motivo arrivare a una deregulation è pericolosissimo: non è una norma utile a rimettere in moto il sistema ed è molto pericolosa dal punto di vista della trasparenza. La corruzione si elimina con più efficienza, diminuendo la trasparenza sugli appalti l’efficienza non aumenta, ed è chiaro che in questo modo al funzionario scorretto stiamo regalando un’autostrada: chiedere tre preventivi per far partire un appalto è una misura di prevenzione che non serve a nulla, perché se io me li faccio portare tutti e tre da una sola persona ho risolto il problema. La filosofia di fondo di questa norma, noto con dispiacere, è che le regole sono un intralcio ed è un messaggio che mi preoccupa perché questa legge si applica alle opere pubbliche, quindi stiamo parlando di mettere a rischio i soldi dei cittadini. Per combattere la corruzione, se mi è concesso, servirebbe dell’altro”.

 

Per esempio? “Io penso che bisognerebbe agire sulla qualità della legislazione. Le norme sono un incentivo alla corruzione perché sono scritte in modo incomprensibile non solo per i cittadini ma anche per gli addetti ai lavori. Bisogna tornare a scrivere le norme in modo chiaro e la prima cosa da fare sarebbe quella di istituire una commissione di tecnici per fare pulizia nella legislazione: penso che questo sia uno dei principali problemi del paese”.

 

Ci avviciniamo alla fine della nostra chiacchierata, Cantone dice di essere soddisfatto dei cinque anni passati all’Anac, sostiene di aver visto un paese che nonostante tutto è cambiato in modo positivo – “Quando abbiamo incominciato all’Anac, la trasparenza era un istituto che stava ancora facendo i primi passi mentre oggi è una realtà del paese: tutte le amministrazioni forniscono informazioni, il livello di conoscenza diretta dei cittadini è aumentato e questo è un passo in avanti gigantesco, senza che siano stati fatti grandi investimenti” – ma qualcosa che invece non è cambiato riguarda un terreno sul quale il presidente dell’Anticorruzione è spesso intervenuto in questi anni senza fortuna: far diventare parte di un’unica storia la lotta contro la corruzione e la lotta contro le inefficienze. E in questo senso la storia di Roma è purtroppo una storia esemplare. Chiediamo a Cantone: si può dire che un’amministrazione interessata a moltiplicare l’onestà di una città debba fare di tutto per ridurre lo spazio in cui l’amministrazione pubblica può intervenire nell’economia? “Assolutamente sì – dice Cantone – l’arretramento dello stato dalle attività non istituzionali è una cosa positiva ma non va fatto aggiungendo soldi pubblici laddove vengono tolti soldi pubblici. E a proposito di questo: sarei curioso di sapere che fine ha fatto una riforma approvata nella scorsa legislatura relativa alle società pubbliche. Era una legge molto rigorosa che costringeva le amministrazioni comunali a sopprimere gli enti pubblici non efficienti”.

 

A Roma, come sappiamo, nella Roma di Mafia Capitale, l’ultima campagna elettorale è stata giocata molto sul tema dell’anticorruzione. Chiediamo a Cantone dunque se per quanto lo riguardi esiste evidenza che nella Capitale d’Italia ci sia meno corruzione rispetto ai decenni precedenti. Cantone la mette così: “Non ho elementi sufficienti per giudicare, ma la vicenda che ha coinvolto Marcello De Vito è particolarmente significativa. A Roma sono finiti in carcere gli ultimi due presidenti del Consiglio comunale (prima di De Vito, arrestato con l’accusa di corruzione, ma naturalmente innocente fino a prova contraria, in carcere è finito anche Mirko Coratti, presidente del Consiglio comunale nella giunta Alemanno, condannato in via definitiva a quattro anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo di Mafia Capitale, ndr) ed è un segnale devastante per la città anche perché formalmente quella figura non ha poteri e anche perché ci ricorda che a Roma esiste un modus operandi che non può destare preoccupazione”.

 

In che senso? “Nel senso che esiste un dato di continuità preoccupante tra passato e presente nella misura in cui i faccendieri rappresentano ancora delle figure centrali e cariche di potere all’interno di un’amministrazione comunale. Non mi sento di dire che questa sia la prova che oggi c’è la stessa corruzione di prima, probabilmente non è così. Però il sistema corruttivo si è riorganizzato e ha trovato nuovi referenti. Se il sistema si riorganizza in soli due anni, significa che serve più del buonsenso, come ha di recente sostenuto un esponente del governo, per combatterlo: servono anticorpi”.

 

E, facciamo notare a Cantone, serve anche che la lotta contro la corruzione non diventi un pretesto per trasformare l’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita: “Bloccare tutto è ovviamente la soluzione peggiore, anche perché le vicende di questi mesi ci dicono che non è bastato fermare tutto per fermare la corruzione. Io penso che bloccare qualcosa debba essere una scelta dettata da una valutazione politica, non dalla paura di non sapere evitare le occasioni di corruzione. L’Italia, come abbiamo dimostrato con Expo, è un paese che con i giusti controlli può permettersi di non rendere incompatibile la parola sviluppo con la parola legalità. L’onestà della politica, come diceva Benedetto Croce, in fondo è questo: non è l’essere superiori come moralità, ma è essere superiori come capacità”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.