La Camera dei deputati (foto LaPresse)

Reagire alla legge contro la razza politica

Claudio Cerasa

Una legge liberticida ha trasformato in reato il mestiere della politica, aggredendo diritti costituzionali, penalizzando l’associazionismo, favorendo partiti guidati da capi di srl private. Nuove ragioni per denunciare la truffa dello spazza corrotti

Il punto in fondo è tutto qui: nella classe dirigente italiana esiste qualcuno che abbia il coraggio di dire ad alta voce che il governo del cambiamento sta trasformando in un reato il mestiere della politica, estremizzando il sogno di Piercamillo Davigo? La storia che vi raccontiamo oggi riguarda una legge approvata dal Parlamento lo scorso 18 dicembre conosciuta con il nome di “spazza corrotti.

  

All’interno di quella legge, tra le molte mostruosità, a partire dall’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, c’è un passaggio importante destinato a tornare di attualità in questi giorni: l’articolo che equipara ai partiti politici tutti gli enti del Terzo settore che abbiano all’interno persone che hanno fatto una qualsivoglia forma di attività politica negli ultimi dieci anni. “Sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati (…) i cui organi direttivi siano composti in tutto o in parte da membri di organi di partiti o movimenti politici ovvero persone che siano o siano state, nei dieci anni precedenti, membri del Parlamento nazionale o europeo o di assemblee elettive regionali o locali ovvero che ricoprano o abbiano ricoperto, nei dieci anni precedenti, incarichi di governo al livello nazionale, regionale o locale ovvero incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate”.

  

 

In altre parole, chiunque abbia esercitato il mestiere della politica diventa sospettato fino a prova contraria di essere un potenziale veicolo di malaffare (in politica, come prevede la dottrina Davigo, non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora scoperti) e in modo implicito a tutte le associazioni, alle fondazioni e ai comitati desiderosi di non avere norme più restrittive rispetto a oggi si suggerisce di mettere fuori dai propri board gli appartenenti alla razza politica. Il tema è stato ricordato ieri sul Corriere della Sera da Ilaria Borletti Buitoni, ex sottosegretario ai Beni culturali nei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, oggi molto attiva nell’associazionismo, che ha invitato il governo a rivedere una legge costruita in modo tale da essere una sorta di Daspo esclusivamente indirizzato non a chiunque abbia lavorato nella Pubblica amministrazione ma solo a chiunque abbia fatto parte della razza della politica.

  

Nel mondo del terzo settore, il tema dell’equiparazione degli enti privati ai partiti politici – con estensione degli obblighi di trasparenza finalizzati alla prevenzione dei fenomeni corruttivi – negli ultimi giorni è tornato a essere di attualità per via degli obblighi legati alla certificazione entro il 31 marzo dei bilanci delle associazioni e delle fondazioni e il dissenso trasversale emerso nelle ultime settimane nel mondo dell’associazionismo ha spinto il presidente della Repubblica in persona a sensibilizzare le forze della maggioranza parlamentare affinché sia posto un qualche correttivo alla norma, come d’altronde già successo alla fine dello scorso anno, quando Sergio Mattarella portò Lega e Movimento 5 stelle a rivedere una misura inserita nella legge di Stabilità che aumentava l’imposta societaria del Terzo settore dal 12 al 24 per cento. Ma la mostruosità del metodo Davigo applicato al mondo dell’associazionismo è un tema che merita di essere messo a fuoco anche con una chiave di lettura diversa, che riguarda il significato per la politica di accettare in modo acritico l’ideologia dell’anticasta.

 

Questione numero uno: di fronte a un paese che ogni giorno fa un passo in avanti per trasformare la politica in un’arte dei senza mestiere, ci si può stupire se la nuova classe politica sia sempre più dominata da soggetti che scelgono di avvicinarsi a questo mestiere più per disperazione che per vocazione? Questione numero due: di fronte a un’opinione pubblica che da anni lavora per trasformare i campioni dell’antipolitica nei nuovi messia del cambiamento, ci si può stupire del fatto che i nuovi messia del cambiamento stiano facendo di tutto per trasformare la politica in una scatola vuota ripiena di burattini sotto ricatto? Ma a voler essere maliziosi si potrebbe dire che all’interno della legge che introduce il principio della trasformazione retroattiva della politica in un potenziale reato c’è anche un altro tema che, come ha giustamente segnalato Emanuele Boffi su Tempi, meriterebbe di essere affrontato con cura: perché alle associazioni e alle fondazioni è sufficiente avere un ex politico nel proprio board per essere equiparate ai partiti mentre alle società (come la Casaleggio Associati) guidate da persone (come Davide Casaleggio) che controllano associazioni (Casaleggio è presidente della Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau) che gestiscono la vita dei partiti (il M5s) è consentito non dover adempiere agli stessi obblighi di trasparenza e di rendicontazione? Non sarà mica perché c’è qualcuno che vuole rendere molto difficile e molto gravoso finanziare alcune associazioni dichiaratamente impegnate sul versante politico, limitando così un principio di rango costituzionale come la libertà di associazione, e rendere invece molto facile e poco gravoso finanziare blog e società di comunicazione che sono la spina dorsale del modello di un partito politico?

 

E’ possibile che nelle prossime settimane la legge che penalizza il Terzo settore venga cambiata. Ma se questo accadrà non sarà perché il Movimento 5 stelle e la Lega avranno valutato i rischi del portare avanti una campagna antipolitica. Sarà perché gli alleati di governo avranno capito che con una norma del genere non sarà facile far dimenticare a lungo che in Italia esiste una srl guidata da un soggetto che eterodirige per statuto un’associazione che telecomanda un partito politico che ha obblighi di trasparenza e di rendicontazione meno stringenti rispetto a quelli dell’associazionismo e del Terzo settore. Forse è meglio ascoltare il Quirinale e cambiare la legge.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.