Matteo Salvini a Firenze per lanciare la campagna elettorale del candidato sindaco del centrodestra. Foto LaPresse

Salvini castrato sul codice rosso

Valerio Valentini

La figuraccia della Lega, sempre più succube del M5s. Così si oscura la stella del Capitano

Roma. Poco prima che il rodeo dell’Aula si scateni, il fidato salviniano Igor Iezzi butta giù un caffè alla buvette. “Perfino per questo, che è un governo del c..., sarebbe troppo cadere sulla castrazione chimica”. Ostenta una tranquillità che non è condivisa, tra i leghisti. E non certo perché qualcuno tema davvero ripercussioni sulla stabilità dell’esecutivo. “Il rischio è quello della figuraccia, con la maggioranza che va sotto per un provvedimento non concordato”, si sforza di spiegare Riccardo Molinari a Giulia Bongiorno, in mezzo al Transatlantico. Un dialogo concitato, quello tra il capogruppo e il ministro della Pa, che sull’emendamento volto a introdurre la castrazione chimica si è intestardita sin da giovedì scorso. “Il codice rosso era un pacchetto blindato, concordato con Bonafede. Lui poi ha fatto le sue aggiunte, perché noi dobbiamo rinunciare a una nostra battaglia?”, si è sgolata per giorni con Salvini. E lui, forse anche per placare i malumori della rispettabile avvocatessa costretta a condividere malgré soi le bizze giustizialiste grilline e diventata così la più intransigente dei sostenitori della crisi di governo, ha provato ad accontentarla: e così non si è accorto che si stava infilando in un vicolo cieco. “Ma se ne sono accorti, evidentemente, i deputati della Lega”, dice Maria Elena Spadoni, vice presidente della Camera del M5s. “Stavano andando contro un muro, e hanno frenato giusto in tempo”.

    

Succede infatti che, nel primo pomeriggio, sia la stessa Bongiorno a dovere annunciare il ritiro del contestato emendamento, per la gioia fugace dei grillini che vedono – ed è la terza volta in dieci giorni – l’alleato considerato imbattibile costretto a mollare. “Visto? Dite sempre che noi andiamo a rimorchio della Lega, ma da un po’ sono loro a doversi adeguare alle nostre volontà”, se la ride Sergio Battelli, tesoriere del gruppo, prima di darsi il cinque col capogruppo Francesco D’Uva. “Era successo già con la cittadinanza al piccolo Ramy – prosegue la Spadoni – su cui Salvini ha assecondato la richiesta di Luigi Di Maio. Poi, al congresso di Verona, il ministro dell’Interno ha dovuto ribadire che nessuno dei diritti acquisiti verrà messo in discussione da questo governo. Ora, il dietrofront sulla castrazione”. Segnali, certo. Incidenti di percorso su questioni marginali. E però bastano a oscurare il mito del Salvini stratega, del leader irriducibile che non cede mai. “Oggi approviamo il codice rosso. E’ una giornata troppo bella per le donne per perderla in polemiche”, prova a rimediare lui, con una giustificazione che sembra uscita dalla bocca di un Toninelli qualsiasi. “Una figura un po’ da peracottari”, sogghigna Fabio Rampelli, pretoriano di Giorgia Meloni, su un divanetto del Transatlantico.

    

“Era pure scritto coi piedi”, si sfoga un uomo di governo della Lega. “La castrazione si sarebbe applicata solo alle forme più lievi di reato: potevi stuprare una ragazzina, e andavi in galera normalmente; se invece palpeggiavi una donna in autobus, c’era la possibilità della castrazione”. Una sciatteria che testimonia di una perdita di lucidità, da parte di Salvini. Sui diritti civili così come sulle tattiche politiche, se è vero che dopo settimane di stallo surreale, alla fine in Piemonte il Carroccio ha accettato il candidato di Forza Italia, Alberto Cirio, per le regionali. Per non dire, poi, dei temi economici: “Su sblocca cantieri e crescita, noi andiamo avanti tranquilli”, dice Laura Castelli, viceministro del M5s a Via XX Settembre, come a volere sminuire le lamentele leghiste. “Non c’è nessun problema politico”, aggiunge. E in effetti, se è vero che Di Maio ha dovuto concedere qualcosa sulle soglie del subappalto, è anche vero che quasi tutti gli altri limiti suggeriti dall’Anac, di fatto, restano nel testo dello sblocca cantieri. “Non possiamo apparire come quelli che favoriscono la corruzione”, dice Stefano Buffagni, uscendo da Palazzo Chigi e ridimensionando, pure lui, le minacce leghiste. “Il governo? Regge, sia prima sia dopo le europee”, spiega il sottosegretario a cinque stelle. “Preoccupato”, ammette, “solo dai dati dell’economia”. Che poi, in fondo, “sono i soli – taglia corto il grillino Alessandro Amitrano – su cui davvero la maggioranza rischia di farsi male”.

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