Così Grillo vuole imitare Correa per le ragioni sbagliate
L’Ecuador che il M5s vuole prendere da esempio mantenne il dollaro e fu tutto meno che protezionista e statalista
Vuole uscire dall’euro e prende a modello un governo che ha posto al centro della propria economia la dollarizzazione! È la mossa di Beppe Grillo che approda all’elogio della “Rivoluzione Cittadina” di Rafael Correa in Ecuador come ideale culmine di tre settimane. Un arco di tempo in cui il Movimento cinque stelle era passato dall’alleanza con Nigel Farage all’accordo con i liberali europei dell’Alde di Guy Verhofstadt, per poi tornare di nuovo da Garage, il tutto suggellato con una lode a Trump e Putin, poi subito sconfessata. “Vogliamo esprimerle la vicinanza del M5s che, per molti aspetti, prende spunto proprio dalla Revolución Ciudadana e dai principi della democrazia partecipativa oggi in vigore in Ecuador”, è l’inizio della lettera che Beppe Grillo e Manlio Di Stefano hanno indirizzato a Correa. “Quando divenne presidente, Lei ereditò un paese in macerie per il debito estero e nel 2006 decise di non continuare a uccidere la sua popolazione, considerando persone non grate i rappresentanti della Banca mondiale e del Fmi; imponendo poi un audit sul debito che ne certificò l'immoralità e le irregolarità manifeste da parte degli istituti finanziari nord-americani ed europei”. Dunque, spiegano leader e responsabile agli Esteri dei Cinque Stelle, “quando noi andremo al governo prenderemo a modello queste Sue parole nei futuri rapporti con la Troika europea e del Fmi”.
Insomma, l’esatto contrario di quel che i Cinque stelle pensano dell’euro. Certo, ci sono altri aspetti in cui invece Correa e Grillo si assomigliano, come il carattere marcatamente iracondo e autoritario; l’antipatia per la stampa; l’antipolitica estrema. Se Grillo guida un partito senza candidarsi, Correa corse per la Presidenza senza appoggiarsi a nessun partito, e anzi chiedendo di non votare per il Congresso. Il suo partito saltò fuori quando dopo la vittoria convocò una Costituente, in cui ottenne 80 dei 130 eletti.
Dopo aver celebrato il 15 gennaio i suoi 10 anni di governo, Correa ha scelto però di non ricandidarsi il prossimo 17 febbraio. “Con la sua presidenza, l'Ecuador è tornato a essere uno stato sovrano, non più dipendente dai massacri sociali prodotti dalle rigorose condizionalità del Fondo monetario internazionale”, hanno commentato questo decennio Grillo e Di Stefano. Autoritarismo a parte, per molti anni l’Ecuador ha avuto effettivamente una crescita sostenuta. Da un anno, però, l’economia è entrata in recessione, con una contrazione dell’1,7 per cento. E il debito è risalito al 38 per cento del pil. Non solo sono crollati i prezzi del petrolio; non solo c’è stato un devastante terremoto: proprio la dollarizzazione, con l’apprezzamento della valuta americana, ha pesantemente danneggiato quell’export non petrolifero di cui Rivadeneira era tanto orgoglioso. Eppure, nessuno in Ecuador propone seriamente di rinunciarvi. Meno che mai Correa.