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La bambolina e le sue famiglie cominciano il risanamento di Roma: auguri

Le famiglie grilline sono misteriose creature unificate da tratti deboli, una agenzia commerciale di comunicazione e un comico sempre pronto a dire “ma io scherzavo”. Partiti e associazioni di cultura politica non si portano più.
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La bambolina è partita con qualche impaccio. La sindaca ha goduto della graziosa definizione di De Luca, che non sarebbe mai stato rimbrottato per flagrante delitto di sessismo dai sepolcri imbiancati del pol. corr. se avesse definito pupazzo un avversario maschio, cosa che accade ogni giorno dovunque nel mondo (accadrà tra breve anche qui). Ha messo il bambolino suo figlio sullo scranno che sta sotto le palle di Giulio Cesare, un uso teatralmente spontaneo dell’infanzia, spontaneo, sì, molto spontaneo. Si è districata con alterni risultati nel dedalo di correnti, lobby e gruppi di pressione del partito dei cittadini, del circuito della rete intitolato a Rousseau, della band of brothers and sisters inventata dal compianto Casaleggio e dal sodale, lo statista e masaniello Beppe Grillo. E votata da un ingente numero di italiani che non so definire ma che provvederanno da soli a definirsi in base ai risultati della ribellione che tutti i reverendissimi amici dei media corteggiano.
 
Longanesi direbbe che sulla bandiera del Campidoglio risalta ora la scritta: HO FAMIGLIE. Le famiglie grilline sono in effetti misteriose creature unificate da tratti deboli, una agenzia commerciale di comunicazione e un comico sempre pronto a dire “ma io scherzavo”. Partiti e associazioni di cultura politica non si portano più. Campeggiano in tutta la loro penosa efficacia parole d’ordine banali, effimere, in cima alle quali sta la risibile richiesta di onestà-tà-tà (e mi sono stufato di spiegare perché persone oneste ritengono disonesto fare politica a colpi di onestà-tà-tà: se non lo capite ancora, se non avete ancora letto Croce e Schmitt, Balzac e Dumas, fottetevi). L’unico napoletano antipatico che conosca, il sempre ghignante Di Maio, dopo aver festeggiato il compleanno con la nuova sindaca a due passi dal tuffo di Beau Solomon nel Tevere, va in tour israelo-palestinese per far dimenticare l’amore del suo Leader Maximo per Ahmadinejad e compagnia. L’ambasciata americana era già stata sistemata all’inizio dell’avventura, per gli stati giustamente, nonché il denaro, nemmeno gli asini hanno odore. Il contatto con il vescovo della città è andato bene, l’assessorato “alle famiglie” (a proposito di Longanesi) lo hanno fatto a Torino, con quell’altra bambolina che si porta parecchio, e comunque sono cose che non spaventano più nessuno tranne me, Langone e Roberto Volpi, una constituency irrilevante.
 
Poi c’è Roma, la capitale della Mafia Capitale, che per un momento si è spostata a Milano, mi pare di capire, ma troverà il modo di tornare. Come dice Alessandro Giuli, a Roma comandano notoriamente l’Atac, l’Ama e i tassinari, per non parlare degli impiegati municipali. Quindi non c’è da preoccuparsi. Roma funziona. Maluccio, ma funziona. Certo la sindaca può dare il suo contributo all’incompetenza, al disordine, alla chiacchiera umile e devastante (le ricordo che il compianto Petroselli aveva una vena di creatività popolaresca, ma era una personalità arrogante e autoritaria), alla litigiosità d’apparato, ma quel che abbiamo visto con Ignazio Marino, un altro campione della società civile, un pupazzetto della società civile che aveva scassato le palle marmoree anche alla statua di Giulio Cesare, difficile fare peggio. Difficile ma non impossibile. Se lo studio Previti-Sammarco, che a occhio e croce sembrerebbe più attrezzato dello studio Casaleggio per affrontare le faccende SPQR, le mette una mano sul capo, alla nostra cara avvocatessa, c’è qualche speranza. Altrimenti, alla prossima, vediamo che si può fare per ingannarci ancora sulla lunga strada dell’autolesionismo.
 
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