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Il renzismo è in crisi o no? Cinque leve da azionare in fretta per lasciarsi alle spalle i ballottaggi

Riforma della giustizia, riforma della pubblica amministrazione, taglio delle tasse finanziato con taglio della spesa pubblica, piano di riduzione del debito pubblico, contrattazione aziendale. Il futuro del governo passa da qui.
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Che vinca a Milano o a Bologna o che perda a Torino e a Roma, una volta smaltita l’ubriacatura delle elezioni amministrative, Matteo Renzi dovrà capire in fretta che per arrivare in palla al referendum costituzionale potrà essere certamente utile anticipare il congresso del Pd, rimettere mano alla segreteria e usare il lanciafiamme per resettare il partito ma alla lunga, al netto del risultato dei ballottaggi di domenica, il punto è sempre lo stesso: il renzismo funziona e ha possibilità di affermarsi a livello nazionale solo a condizione che la macchina del governo riesca a mettere insieme populismo e riformismo, e a condizione che la ricerca del consenso sia finalizzata a creare le basi per poterlo sfruttare in chiave di governo e non solo in chiave elettorale. 
A prescindere dal risultato dei ballottaggi è evidente che la connessione sentimentale tra il presidente del Consiglio e un pezzo consistente del paese sia in una fase decisamente complicata ma se c’è una crisi del renzismo non lo si deve al livello della classe dirigente del Pd ma lo si deve a un fatto incontestabile.
 
 
Nei primi due anni di governo Renzi ha fatto molto e ha fatto cose che sono state rimandate per molti anni: la riforma del lavoro, l’abolizione dell’articolo 18, la riforma delle banche popolari, la legge elettorale, la riforma costituzionale, la legge sulla responsabilità civile dei pm, l’abolizione della tassa sulla prima casa, l’alleggerimento delle tasse sul lavoro e così via. Il problema di Renzi oggi non è, come ripete spesso il premier, comunicare meglio le cose fatte ma è riuscire a non perdere un’occasione d’oro: utilizzare un Parlamento come quello di oggi disposto a votare qualsiasi cosa pur di non cadere per mettere in cantiere alcune riforme e alcuni provvedimenti cruciali sui quali il premier sta misteriosamente ritardando. Renzi può compulsare quanto vuole i sondaggi e può considerare il voto dei ballottaggi più o meno significativo a seconda di ciò che gli conviene ma oramai il discorso dovrebbe essere chiaro: la chiave del Renzi rottamatore non funziona più, se fai politica e sei parte del sistema non puoi più cavalcare l’anti politica, e l’unica pancia del paese che puoi conquistare non è quella del ceto medio grillino ma è quella del ceto medio produttivo. Più che pensare a come usare il lanciafiamme sul partito, oggi Renzi dovrebbe pensare a come usare nei prossimi mesi il lanciafiamme per eliminare i lacci e lacciucoli che tengono ancora in ostaggio il paese e che non permettono all’Italia di avere una crescita e un’occupazione al livello della media europea. Per non perdere consenso e per tornare a sedurre quella parte di paese che un tempo era affascinata dal premier e che oggi invece non si sente più conquistata, Renzi deve riuscire a usare le cinque leve del buon senso che gli permetterebbero di costruire in vista del passaggio di ottobre un vero partito del referendum. Cinque leve cinque: riforma della giustizia (bloccata al Senato); riforma della pubblica amministrazione (finora annacquata); taglio delle tasse finanziato con taglio della spesa pubblica (e non con nuovi aumenti di spesa); piano di ristrutturazione del debito pubblico (tema tabù per Renzi); contrattazione aziendale con un nuovo modello lavoro incentrato sullo scambio tra salari e produttività (se non ora, quando?). 
 
 
Nei prossimi giorni e nelle prossime ore vedremo tonnellate di inchiostro utilizzato per analizzare i flussi elettorali, per capire chi ha votato Raggi e chi non ha votato Sala, per comprendere quanto ha perso il Pd e quanto ha guadagnato il Movimento 5 stelle ma alla fine dei giochi per mettere a fuoco il futuro del renzismo più che il contesto locale è bene non perdere di vista il contesto nazionale. Il partito è importante e i sindaci pure ma senza inquadrare il vero limite del renzismo non è possibile comprendere quali sono i veri ostacoli che attendono Renzi nei prossimi dodici mesi. Dodici mesi in cui – tra referendum, congresso e possibili elezioni anticipate – la presenza di un doppio semestre bianco in cui nulla si può fare per ragioni elettorali potrebbe essere per il presidente del Consiglio un problema persino più grave della semplice analisi dei flussi elettorali. 
Il futuro di Renzi passa da qui, prima ancora che dal voto dei ballottaggi. 
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